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EDITORIALE DI FEBBRAIO 2004 (N. 32)

L’ISOLA E IL NUOVO ANNO

Primo numero del 2004 e copertina doverosa ad uno dei massimi riferimenti culturali che il mondo dello “spettacolo” abbia avuto. Ora che è passato un anno dalla sua scomparsa, la nostra rivista ha voluto raccogliere testimonianze e ricordi dalla viva voce di tre personaggi che lo hanno conosciuto con angolature diverse (Luporini, Battiato e Quirici), unendole al ricco lavoro di analisi che i nostri collaboratori hanno preparato per riassumere la sua lunga carriera umana e artistica. Quello che ne esce è un quadro lucido, per certi versi impietoso, di un uomo che ha saputo raccontare come nessun altro debolezze e confusioni di una società che attanaglia gli individui e che progressivamente tende ad uniformare cose, usi, costumi e anche i sentimenti. Gaber (insieme a Luporini, non scordiamolo mai) ha denunciato con forza questi rischi (realtà?), a volte indicando esattamente il problema, altre volte chiudendosi in se stesso, in una riflessione intimista che chiedeva perlomeno partecipazione e confronto. Gaber è stato un grande e ora lascia un vuoto. Non è retorica o facile enunciazione di un principio. Provatevi a guardare intorno e chiedetevi chi riesce a portare su di un palcoscenico (che non sia teatro puro, visto che noi ci occupiamo di musica) concetti e diatribe personali/sociali così forti come faceva lui. Mai uno slogan di troppo, mai una volgarità per cercare l’applauso o il consenso facile. In questo senso è grande il vuoto di Gaber. Ma, visto, che state leggendo il primo numero del 2004 vorrei darvi qualche novità che ci riguarderà da vicino nei prossimi mesi. Il concorso lanciato nel numero scorso, per esempio, approderà ad una finale che già si preannuncia davvero interessante, visto l’alto numero dei partecipanti, di cui molti già conosciuti agli addetti ai lavori. Una fiducia e una stima che derivano anche dalla prestigiosa Giuria che dovrà “giudicarli”, anche se per questo capitolo vi rimandiamo a pagina 69. Avremo poi la nostra festa, a Maggio, in cui verranno premiati i vincitori del Referendum 2003. E poi ancora il Mantova Music Festival, che sebbene non sia ancora ben delineato nei suoi aspetti logistici e nei suoi obiettivi (solo musicali?) ci ha visti pubblicizarlo con entusiasmo, visto che le premesse per valorizzare un’altro tipo di musica che non sia quella sanremese c’erano e ci sono tutte. Al momento di andare in stampa non sappiamo ancora chi saranno gli ospiti e quali i giovani invitati, ma confidiamo che gli organizzatori e le varie giurie sapranno muoversi con esperienza. Speriamo di non assistere ad una duplicazione, in piccolo, della kermesse ligure, con “figli”, “nipoti” e “amici degli amici” che si dividono visibilità e palcoscenico.

Avremo tempo di parlarne, anche se un piccolo appunto all’organizzazione vorrei farlo ora. Quando si è cominciato a parlare dell’idea di un festival dedicato alla musica italiana, logica voleva che l’unica rivista di musica italiana, appunto, fosse invitata al tavolo. Se non subito, almeno “poco dopo”, come direbbe Albanese. Lo dico senza presunzione, anzi, l’occasione mi aiuta a ricordare quanta strada deve ancora fare una realtà come la nostra. Aggiungo però che L’Isola che non c’era può contare ormai su una sessantina di collaboratori sparsi in tutta Italia, che ascoltano almeno uno o due concerti a settimana, che siamo l’unica rivista ad avere una redazione fatta di dieci persone (e non da due o tre) che pur confrontandosi, a volte anche aspramente, riesce a dare un giudizio “democratico” e non oligarchico nella linea sua editoriale. E poi, seguiamo da vicino i più importanti festival/premi che ci sono intorno alla musica d’autore, sulle nostre pagine scrivono tra le più lucide e sagaci firme del giornalismo ‘nostrano’ che si occupa di musica ‘nostrana’, abbiamo un catalogo di CD che permette di rendere visibili (e acquistabili) realtà straordinarie che altrimenti rimarrebbero in ambito locale, organizziamo da ormai due anni nostre manifestazioni con una certa regolarità e successo di pubblico e critica, gestiamo un sito che raccoglie informazioni quasi introvabili nella rete.  Tutto questo per dire che non vogliamo sostituirci a nessuno, che non ci aspettiamo niente da nessuno, ma solo che in questi anni abbiamo cercato di aiutare la nostra musica in maniera concreta. Ecco perché l’idea di un nuovo - e importante - festival sulla musica italiana come quello di Mantova ci pareva una buona occasione per mettere a frutto e condividere un po’ di esperienza maturata in questi otto anni. Nel gruppo di persone che volevano rappresentare la “nuova” musica italiana L’Isola aveva le sue carte (o, se volete, le sue pagine) in regola per chiedere una sedia. 

Francesco Paracchini

 

EDITORIALE DI OTTOBRE 2003 (N. 31)

Nuovi cantautori crescono


Dopo una copertina “storica”, quella scorsa data a Luigi Tenco, ecco che sulla prima pagina di questo numero troneggia l’urlo di uno “semisconosciuto”: Pinomarino.
Come ormai sapete, sta diventando una nostra abitudine quella di dedicare di tanto in tanto una copertina a personaggi da scoprire, da valorizzare, o più semplicemente da far conoscere ad un pubblico più vasto possibile. Non vorrei dilungarmi a ripetere perché è giusto che una rivista come la nostra debba alternare grossi personaggi in copertina con altri meno conosciuti, abbiamo già spiegato altre volte che lo riteniamo insito nel nostro dna di collaboratori dell’unica rivista di musica italiana. Difatti, il nostro andare per concerti, l’ascoltare centinaia e centinaia di dischi ci pone in una situazione privilegiata nell’ambito della produzione di casa nostra e la scelta di dare forte visibilità a Pinomarino, per esempio, raccoglie la sintesi di tutto questo. Creativo nella stesura musicale, finissimo nell’uso della metafora, nelle pagine che seguono questo cantautore romano ci racconterà del suo nuovo (e secondo) lavoro e delle persone con cui ha camminato a fianco in questi anni. In un titolo interno accenniamo al “talento e alla pazienza”, la sua, così come quella di molti altri, che vedono allargarsi enormemente la forbice tra una bella produzione e il riconoscimento della stessa. Ora Pinomarino un disco nuovo fiammante ce l’ha e, come dicevamo, è scritto con talento, ma in merito alla pazienza invece... ci sembra che lui ne abbia avuta molta. Ora è il momento - per la produzione, distribuzione, management vari - di unire le proprie forze (e gli investimenti) e crederci fino in fondo. Oramai è risaputo e bisogna prenderne atto: scrivere belle canzoni non è semplice, ma anche quando ci riesci non basta ancora. Forse una volta bastava, ora no. Noi crediamo che in un clima di sfiducia generale e di ossessiva ricerca di un album che possa vendere milioni di copie, investire su progetti validi come questo possa pagare in termini di vendita in rapporto al capitale investito. Bisogna, però, crederci. Ognuno per la propria parte e senza lasciarsi influenzare dalle mode del momento, magari sperando nella clonazione di un prodotto (groove o artista che sia) che funzioni e che possa dare risultati una seconda, una terza volta e così via. Quando si hanno tra le mani progetti come quello di Pinomarino bisogna avere il coraggio di portarlo avanti con forza, ripeto, ognuno con le proprie responsabilità. A tutti i livelli.
Chiudo questo mio spazio invitandovi con piacere a leggere le pagine di Immersioni, una rubrica lanciata qualche numero fa e che sta riscuotendo un forte consenso tra i lettori. Questa volta abbiamo approfondito due album straordinari di De André e sono pronto a scommettere che alla fine dell’articolo la prima cosa che farete sarà quella di andarveli a riascoltare.
L’ultima annotazione vorrei spenderla per la grossa novità che L’Isola che non c’era lancia da questo numero: il concorso “L’artista che non c’era”. L’idea è quella di organizzare un Premio diverso dal solito, che sappia valorizzare chi suona da anni piuttosto che il ragazzino ventenne che voglia far conoscere la sua prima canzone. Non potendo offrire grandi premi in denaro la nostra contropartita, e garanzia, sarà quella di mettere in relazione una giuria fortemente qualificata (produttori, management, giornalisti, artisti affermati, operatori culturali, ecc.) direttamente con gli artisti che arriveranno alle fasi finali. L’obiettivo dichiarato è proprio quello di dare un’opportunità vera di “mercato” a chi ha le credenziali per chiederlo. Noi non siamo, ed io per primo, tra quelli che dicono “in Italia ci sono moltissimi artisti, bravi ma sconosciuti, che non hanno possibilità di farsi conoscere...”, mi sembra piuttosto che il problema vero sia che di artisti veramente validi e meritevoli (degni di avere un contratto discografico serio, una distribuzione seria ed una promozione adeguata) siano pochi. Ma il punto è che chi dovrebbe saperlo, e agire di conseguenza, non sempre lo sa. Ecco, il nostro concorso vuole avvicinare questi due mondi, tornare a farli parlare e incontrare, selezionando una dozzina di progetti che possano essere ascoltati e aiutati a crescere.
Francesco Paracchini

EDITORIALE DI LUGLIO 2003 (N. 30)

Alle radici della musica d’autore italiana


Sfogliando le prime pagine di questo numero e leggendo tra le righe di Paolo Jachia o di Alberto Bazzurro mi convinco ancora di più che la scelta di dare uno spazio così ampio e visibile ad un personaggio come Luigi Tenco sia per noi una tappa davvero importante. Sotto certi aspetti, parlare di Luigi Tenco è come parlare della pietra miliare della canzone d’autore italiana, un uomo che suo malgrado e senza accorgersene direttamente ha gettato i semi di un nuovo modo di scrittura e di analisi introspettiva vomitata addosso all’ignaro ascoltatore di inizio anni Sessanta. Nelle pagine a lui dedicate non troverete scoop sensazionali o novità clamorose (anche se l’intervista al fratello Valentino è da leggere tutta in un fiato), ma di certo saranno l’occasione per capire o ricordare l’influenza che la sua seppur breve vita artistica - e non - ha lasciato. Una copertina che giunge dopo 30 numeri (a questo proposito, ci autoauguriamo un bel buon compleanno!), e che ci dà quindi l’occasione per ripartire in età adulta con i piedi ben saldi nelle radici della musica d’autore del nostro paese.
Ma nel numero troverete altri articoli interessanti che vorrei segnalarvi, tra cui uno dedicato a Mauro Pagani, ritornato a produrre dischi, suoi intendo, e che in una lunga intervista ci racconta di come il concetto di musica di qualità sia un percorso in evoluzione e di come la sua, anzi le sue, lunghe esperienze in generi diversi lo hanno portato ad avere le idee più chiare su quali siano i binari in cui far confluire le emozioni. Altra segnalazione la spendo per il lungo articolo dedicato alla canzone ‘jazzata’ in Italia. Quattro pagine dense di nomi e di aneddoti che ripercorrono almeno sei decenni di un modo di fare musica che nasce come fenomeno di “importazione” ma che poi negli anni ha visto modificarsi e prendere una fisionomia tipicamente italiana.
Visto che parlavamo di compleanni, la nostra Festa l’abbiamo già celebrata il 15 maggio a Segrate, in occasione della consegna delle targhe del Referendum 2002. L’articolo che troverete a pagina 64 vi descriverà il clima, di festa appunto, che si è vissuto per tre ore e con un finale che ha coinvolto sul palco ben ventidue artisti cantare con Claudio Lolli (premiato come Artista dell’Isola 2003) il brano simbolo del ritrovato artista bolognese: Ho visto anche degli zingari felici.
Ma quella stessa sera, in una megacena finita a notte fonda, è stata anche l’occasione per parlare e discutere di nuovi e diversi modi di intendere la musica d’autore, visto che gli artisti che si sono avvicendati erano portatori di approcci diversi, sia da un punto di vista strettamente musicale che di sonorità, nonché di sensibilità descrittiva nei testi. Si ragionava, si rideva, si cantava e più si cercava di dare un senso a queste “diversità” più ci si ritrovava a fare i conti con il binomio Parto-Lolli, un’accoppiata su cui nessuno avrebbe scommesso mai stando seduti intorno ad un tavolo a ‘ragionare’... Ed ecco che alla fine tutto si riconduce al valore di un testo scritto bene e di una musica giusta che possa sostenerlo. Il fatto vero è che a volte manca una o manca l’altro. Quando l’osmosi riesce anche i generi lasciano il tempo che trovano. Sarà pure una frase finale degna del miglior Catalano di ‘Indietro Tutta’, quindi un ovvietà, ma l’essenza della musica che emoziona sta tutta qui.
Francesco Paracchini

EDITORIALE DI MAGGIO 2003 (N. 29)

Eppur (qualcosa) si muove
In un mare di sfiducia generale verso il “settore” musica, la nostra Isola continua il suo percorso. Sempre più spesso, parlando con operatori del settore quali discografici, negozianti, gestori di sale prove, manager, ecc, i discorsi cadono sempre sulla difficoltà di vendita di un prodotto, di quanto sia difficile dare visibilità ad un artista e di come la gente non “compri più come una volta”.
Ed allora giù con le solite accuse arcinote: pirateria e prezzo dei CD troppo alti. Concordiamo certo, motivi che hanno delle fondamenta solidissime, ma ogni volta che ne abbiamo la possibilità cerchiamo anche di instillare una sorta di esame di coscienza reciproca tra gli interlocutori, una riflessione che evidenzi la soluzione - o perlomeno la ricerca - del problema.
Una delle domande più classiche che (ci) facciamo è quanta importanza venga data alla creazione di un circuito serio di locali, di radio, di televisioni, di giornali, di siti che abbiamo a cuore la musica italiana di qualità. Mentre il business discografico classico gestito dalle major sa bene quali siano le regole per “imporre” un singolo o ben che vada un album (leggasi grandi investimenti pubblicitari, passaggi televisivi e rotazione continua sui network radiofonici), c’è un sottobosco impressionante di etichette e produttori, di artisti e di operatori che pur nella direzione giusta si muovono in maniera troppo isolata.
E mentre per i ‘grandi’ investimenti sui ‘grandi’ artisti si preannunciano tempi ancor più bui di quelli attuali, la sensazione che qualcosa si possa fare per tutto il resto è netta. Non che sia facile, ovvio, ma che si possa tentare di serrare le fila intorno a progetti importanti questo sì.
C’è bisogno di trovare dei punti di riferimento che facciamo da cassa di risonanza, che riescano a diffondere una notizia nel più breve tempo possibile e far sì che raggiunga il più alto numero di persone potenzialmente interessate a quel determinato album o concerto che sia. Lo abbiamo detto già altre volte, è vero, ma se siamo qui ancora a parlarne è perché la strada da fare è ancora molta. Nel nostro piccolo cerchiamo di essere vigili su quel che succede nel mondo della musica, ponendo attenzione a chi vuole raccontare delle storie perché ha qualcosa da dire, a chi ricerca nella musica un mezzo per comunicare in maniera nuova sensazioni vecchie come il mondo. Prodotti che abbiano un “consumo” lento, che non vengano studiati a tavolino per essere utilizzati in estate o solo perché si è indovinato un riff. Artisti validi ne conosciamo, ma ancora di più potrebbero essere quelli che a noi sfuggono. Ecco perché l’appello a far confluire notizie, date di concerti, nuove uscite, in un unico canale renderebbe più semplice la valorizzazione di un disco o porterebbe molta più gente in un locale, solo per il fatto che qualcuno ha comunicato qualcosa, scusate il gioco di parole, a qualcuno. In questo senso il nostro impegno futuro sarà quello di essere sempre più attenti a proseguire questo discorso, a cercare di convincere distributori e negozianti, conduttori radiofonici e promoter che si può creare un canale comunicativo snello e mirato.
Bisogna far cadere l’idea che un disco sia valido solo perché è passato parecchio in network o perché viene esposto in maniera visibile in una vetrina. Non troverete a fondo pagina la ricetta del problema, ma già porsi il problema di condividerne la ricerca ci sembra importante. Però, per esempio, si potrebbe tornare al passaparola di un tempo, quando un amico ne convinceva un altro facendogli ascoltare direttamente l’Lp.
I tempi sono cambiati, ma lo spirito deve tornare ad essere quello.
Meno sudditanza quindi verso prodotti imposti e più coraggio e voglia di trovare alternative. In questo saremo vicino alla buona musica, cercando di migliorare sempre di più le nostre ottanta pagine, di incrementare in maniera organica e con nuove rubriche il nostro sito (anzi, da questo numero parte un Forum sulla musica d’autore italiana www.lisolachenoncera.it/forum.htm/ a cui vi invitiamo a partecipare) e a diventare sempre più un “luogo” dove ci si possa incontrare e trovare informazioni utili alla valorizzazione o alla conoscenza di vecchi/nuovi artisti. Noi ci crediamo e per questo vi chiediamo di farlo anche voi. Magari iniziando proprio con il passaparola, dicendo che esistiamo, che un abbonamento alla nostra rivista va oltre i venticinque Euro. È un modo concreto per aiutare chi sta camminando a fianco della buona musica.


Francesco Paracchini

EDITORIALE DI FEBBRAIO 2003 (N. 28)

Sono ormai più di sette anni che dirigo questa rivista e ogni qualvolta devo scrivere un editoriale sono portato a raccontare quello che più mi ha colpito, in positivo o in negativo, del mondo musicale. Ma in questo inizio d’anno, la mente non riesce a mettere a fuoco i pensieri, non riesce a ricordare e a trasformare in concetti chiari quelle tremende difficoltà che pure attanagliano il nostro settore. Questa volta il mio pensiero viene catturato e schiacciato contro la parete della realtà, una realtà che sta muovendosi sotto i nostri piedi o, se volete, sulle nostre teste. Mi riferisco alla situazione internazionale e allo sciagurato vento di guerra che aleggia sulla zona mediorientale. Vorrei essere capace di non fare il moralista e di non aggiungere inchiostro a parole abusate come 'pacifismo' e 'disarmo globale', no, vorrei solo dare un piccolo contributo ad una riflessione che deve essere personale. Una coscienza critica che deve muoversi dal nostro interno e chiedersi fino in fondo se davvero ha senso scatenare una forza militare di quella portata giustificandola in maniera così grossolana. Ho provato a rispondere, senza peraltro riuscirci, alla candida domanda di mia figlia che ha dieci anni e che mi chiedeva perché l’America vuole fare la guerra a Saddam. Ci ho provato, giuro, ci ho provato, ma è difficile, dannatamente difficile dare una risposta plausibile. Sento il peso di essere occidentale e di essere “alleato” involontario di una coalizione (ma quale poi?) che deve bombardare la terra irakena in nome di una giustizia che certamente non mi appartiene. E vorrei che non appartenesse a molti altri italiani ed europei. Non posso pensare che ancora oggi, dopo 5.000 anni, l’uomo non riesca a dirimere le controversie se non con le armi. Arrivo fin a dire che in questo momento non mi importa proprio di convincere il popolo americano sull’ineguatezza di questa (di tutte, comunque) guerra. Vorrei solo che l’Europa, unita, dicesse un NO scritto a caratteri cubitali agli “amici” d’oltreoceano. Vorrei che il nostro Presidente del Consiglio si unisse a quanto hanno già fatto Germania e Francia e cioè una bella presa di distanza dall’arroganza e dalla fretta di Bush. Quando nel ’91 l’Irak occupò il Kuwait non sono sceso in piazza per fermare la guerra e probabilmente non ci andrò neanche adesso, ma ora ritengo che le condizioni siano diverse e sono anche certo di non essere il solo a pensarla così. Certo, mi consenta Cavaliere, preparare un sondaggio ad hoc su una questione così delicata sarebbe davvero troppo. Credo che il 98% delle persone rifiuterebbe una strategia così miope e priva di qualsiasi prospettiva. L’altro dato amaro che emergerebbe sarebbe quello dell’omogeneità del “rifiuto”. Qui non si tratta di quattro scalmanati che scendono in piazza e urlano Viva la Pace, c’è un senso comune del pudore che sta per essere superato. È un diniego trasversale che prende operai e imprenditori, leghisti e leoncavallini, atei e ciellini, padri e figli. Appoggiare una guerra non condivisa dall’Onu sarebbe un insulto alla nostra intelligenza e a due millenni di democrazia e di cultura italiana, un errore che macchierebbe in maniera indelebile l’Italia agli occhi dei nostri figli e nipoti. Chiudo ripetendo quello che dicevo prima: nessuno chiede il nostro parere, ma aggiungo anche che forse è arrivato il momento di farlo sapere lo stesso a chi ci sta intorno. Ognuno usi i canali che vuole e che ha a disposizione. Con gli amici, al lavoro, in famiglia, in vacanza, non possiamo permettere che i media ci ripetano che la guerra è inevitabile. Non è così. E anche se non ho saputo rispondere alla mia piccola intervistatrice ho cercato di scriverlo.

Francesco Paracchini

 

EDITORIALE DI OTTOBRE 2002 (N. 27)

Torniamo a farvi leggere ottanta pagine di musica italiana e lo facciamo con una copertina marchiata a rosso fuoco, con un nome che ai più potrà dire poco, ma che incarna fedelmente lo spirito che da sempre muove la nostra rivista. È quella voglia di essere vicino a chi ama la musica (da dieci anni, con centinaia di concerti all’anno, lui, con 27 numeri sudatissimi, noi) che ci accomuna e che ci spinge ancora di più a credere in qualcosa di diverso dall’ufficialità imperante. In un mercato discografico stantio e patinato per quel poco (o troppo) che basta, e che continua a puntare sui soliti nomi, foraggiando così sempre le solite manifestazioni o i soliti media, ecco che tra la “base” qualcosa si muove. La tenacia qualche volta paga. Non diciamo nulla di nuovo se ricordiamo che in Italia ci sono molti gruppi e singoli, che pur avendo un grosso seguito di pubblico (che compra regolarmente i loro dischi ai concerti), non riesce ad avere una distribuzione capillare e continuativa, così come esistono realtà editoriali che (pur avendo abbonati fedeli) non riescono ad arrivare a migliaia di potenziali lettori sparsi sul territorio. Nel mare della musica di casa nostra non è rimasto molto tempo e chi vuole portare ben alta la bandiera di una musica d’arte, di qualità, deve necessariamente fare quadrato. Noi siamo pronti a fare il primo lato. Più volte lo abbiamo ripetuto, è solo unendo le forze che credono in questo tipo di musica che si potrà diventare alternativa credibile al mercato delle major e dei media.

Quanti sforzi inutili e quanto narcisismo abbiamo conosciuto in questi anni.

Siamo tutti troppo “piccoli” per presentarci da soli su questo tipo di mercato. Riteniamo – e confidiamo di non essere i soli – che il momento sia maturo per far nascere una distribuzione seria e alternativa ai canali tradizionali. O che comunque li possa sfruttare, ma che sappia anche “inventarsi” nuovi strumenti che avvicinino fruitori ed artisti, prodotto e acquirente. La ricetta non ce l’ha nessuno, sia chiaro, ma la difficoltà del momento dovrebbe indurre molti soggetti a chiuderlo, quel benedetto quadrato. Auspichiamo quindi una sorta di “costituente”, che riesca a mettere intorno ad un tavolo distributori, produttori indipendenti, piccoli editori, tour manager, piccoli circuiti radio-televisivi, organizzatori di festival, e qualsiasi altro soggetto abbia voglia di unire le idee e far parte di un “mercato” parallelo. Tralascio i lati negativi del discorso, quelli li troveranno velocemente i detrattori, ma sottolineo solo quelli più interessanti. Essendo molto più vicino a chi fa musica e a chi l’ascolta, sapremmo prima e meglio quali sono gli artisti che “funzionano”, quelli su cui investire tempo e fiumi di inchiostro. Il nostro riscontro sarebbe immediatamente percepibile. Locali, riviste, radio, siti internet, punti vendita, festival, potrebbero così scambiarsi informazioni in tempi rapidissimi, senza gelosie e senza primogeniture. La “filiera” del prodotto musicale di qualità avrebbe un percorso chiaro e veloce, un passaparola invidiabile capace di parlare un linguaggio comprensibile ad un pubblico ricettivo.

A quel punto non ci sarebbe più “quell’umiliazione” perenne che si viene a creare con le grandi catene distributive, dove il disco di un giovane artista viene lasciato negli scaffali per qualche mese e poi reso introvabile. Migliaia di prodotti, tutti uguali, nascondono anche materiale valido, ma appunto, bisogna cercarlo con il lanternino. Ormai le regole sono ben chiare e chi non le ha capite ci sbatterà la testa ancora. Quello che invece serve è una svolta, una nuova vitalità e un’iniezione di fiducia negli artisti che hanno qualcosa da dire e nel pubblico che ha voglia di ascoltarli. E, in ultimo, una fiducia anche nei soggetti che potrebbero fare da collante. Noi ci crediamo, ma soli non faremo molto. Giusto solo un lato.

Francesco Paracchini  

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 EDITORIALE DI LUGLIO 2002 (n. 26)

Rieccoci a raccontare (una parte) di quello che succede in Italia da un punto di vista musicale. Il nostro angolo di osservazione, per sua definizione, non può essere completo e le pagine di una rivista come L’Isola possono solo aiutare a capire, scoprire, chi della musica italiana cerca la qualità piuttosto che la quantità. Premessa d’obbligo per introdurre un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che è stato oggetto di discussione in molte riunioni di redazione. Personalmente credo che L’Isola stia cambiando pelle, lentamente, ma inesorabilmente. Da puro prodotto editoriale nato più o meno sei anni fa, intorno a questa rivista si stanno raggruppando ora tutta una serie di persone, di etichette, di manifestazioni, di artisti, di lettori, di operatori, “contatti” che stiamo metabolizzando in maniera positiva e che ci portano a rivedere il nostro “ruolo”. La valorizzazione della musica italiana - e di chi la fa - è sempre stato il nostro obiettivo e proprio per questo è giusto fermarsi (in senso metaforico, ovviamente) e riflettere su questa enunciazione di principio. Attualmente in Italia non esistono molti punti di riferimento per la “musica d’autore” (ricordo sempre che quando noi usiamo questo termine, lo facciamo nel suo significato più ampio) e L’Isola che non c’era può annoverarsi tra questi. Ecco perché ora più che mai c’è bisogno di serrare le fila. È vero lo abbiamo detto già altre volte, ma la crisi del mercato discografico e la pochezza delle proposte musicali che ci vengono propinate dalla maggior parte dei media è sotto gli occhi di tutti. Non tutto è perso, ma urge rimedio. Caldeggiamo le joint-venture. Da semplice rivista, L’Isola ha il dovere “morale” di diventare un progetto che sia capace di catalizzare i soggetti (fisici o istituzionali) che vogliono percorrere questo tratto di strada con noi. Mi riferisco ad esempio alla possibilità di interagire in maniera più fattiva con alcuni locali sparsi per la penisola e che periodicamente ospitano artisti vicini al nostro modo di intendere la musica. Lo stesso dicasi per alcuni concorsi che hanno messo al centro delle loro attenzioni proprio la ricerca di nuovi talenti. Per non parlare di alcune piccole radio che stanno ritagliandosi sempre più programmi ad hoc o etichette più o meno piccole che hanno voglia di tornare a produrre giovani (non solo d’età) artisti che sappiano scrivere e comporre, che li ascoltino dal vivo senza chiedere prima una foto o un curriculum che dica quanti singoli sono già passati in radio…

Come dicevo siamo in piena riflessione e alcune resistenze interne sono dettate da un amore profondo verso la carta stampata, verso queste ottanta pagine che trasudano impegno e amore per la scrittura. Il rischio, che poi non è un rischio ma una certezza, è che la tempistica con cui la “rivista” esce si dilata con preoccupante frequenza, proprio per riuscire a gestire nuove iniziative e sondare nuovi gemellaggi. E di questo vi chiediamo pazienza. Però qualche “prova generale” l’abbiamo fatta, come ad esempio la grande Festa organizzata il 18 maggio a Milano in cui abbiamo riunito e fatto cantare (vedi pag. 40) alcuni tra i più rappresentativi artisti della scena musicale italiana, nuova e non. Tutto bello, tutto perfetto, o quasi, ma quanta fatica, quanto tempo ci ha richiesto la sua gestione pre e post evento. Ma ad ogni modo la soddisfazione è stata grande e con la Festa del 18 maggio ha preso corpo la consapevolezza che L’Isola deve essere pronta a giocare su più fronti. La valorizzazione di un artista non può più passare solo da una buona recensione o da un’intervista, deve crearsi un ponte reale tra chi ascolta e compra musica e chi la fa. E se non ci sono tante occasioni per farlo, vuol dire che dobbiamo fare anche noi la nostra parte. Senza dimenticare di dare una cadenza più rigorosa alla rivista. Non è facile, ma non è impossibile. Abbiamo creato un prodotto dal nulla, non ci spaventerà certo allargare il nostro progetto a chi saprà apprezzarne le potenzialità.

 

Francesco Paracchini

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EDITORIALE DI MARZO 2002 (n. 25)

In un mercato discografico sempre più aggrappato alle labbra (e alle vendite) di una ventina di artisti, mi ritornano in mente le parole di alcuni “operatori” che qualche anno fa infarcivano il sottoscritto e la redazione di consigli su come orientare le scelte editoriali di una rivista come L’Isola che non c’era. Certo, le pacche sulla spalla si sprecavano, “ottima l’idea, …è importante che una rivista parli solo di musica italiana, che abbia un suo spazio…” I più ‘delicati’ dicevano però che saremmo stati, inevitabilmente, fagocitati da logiche che ben poco avevo a che spartire con la “qualità” artistica, con la valorizzazione di un sommerso (qui sì, caro Silvio, che un aiuto ci vorrebbe…) che chiedeva voce e che invece si vedeva chiudere tutti i microfoni. Ci dicevano che continuavamo a dare troppo spazio ad artisti che vendevano si e no tremila o cinquemila copie o a gente ormai fuori mercato, certamente validi in passato, ma che adesso erano poco spendibili. Ed invece ecco che certe piccole soddisfazioni cominciano ad arrivare.

Oggi, anche quelle cinquemila copie cominciano a far gola a molti direttori artistici e responsabili marketing. In questo precipitare vertiginoso di copie vendute, poter contare su artisti che abbiano un pubblico fidato, fidelizzato, può rivelarsi quella “goccia” che non fa traboccare il loro vaso. Anche se pur sempre di gocce si tratta. Ma il punto non è questo. La riprova è che bisogna tornare a puntare sulla qualità dei prodotti, su artisti che abbiano voglia di (e qualcosa da) comunicare. È importante poter lasciar crescere l’artista, dargli fiducia, investire a medio e lungo termine su un personaggio. Scelta non sempre facile per carità, nulla da eccepire, ma la “facilità” con cui oggi si promuovono prodotti usa e getta e la ricerca di un ritorno immediato è sotto gli occhi di tutti. Milioni e milioni gettati alle ortiche su  ritornelli che ti entrano nella testa ma che non ti entrano nelle tasche.

La musica è cambiata, la sua fruizione è cambiata, il modo di viverla, di consumarla. Ormai siamo invasi da canzoni, o meglio da jingle, che ci bombardano il cervello mentre facciamo la spesa, prendiamo il metrò o guardiamo la televisione. Ma quella stessa musica che “subiamo”, spesso anche volentieri, non crea quel circuito che porta all’acquisto, al riascolto personale. In questo caso stiamo parlando di un modo di utilizzare la musica che ha delle logiche e dei meccanismi ben precisi, utilissima sotto certi punti di vista, ma che deve essere considerata una “parte” della musica, non “la” musica. Capisco perfettamente che il discorso diventa lungo, tortuoso anche, impervio e ricco di contraddizioni, ma il messaggio nuovo che sta passando, o se volete che sta ritornando, è quello di crearsi spazi alternativi ai canali usati normalmente. La radio, soprattutto, può e deve diventare il motore di questo nuovo cambiamento. Vorremmo qualche palinsesto mirato a far conoscere e a far parlare artisti che mettano al centro della loro “professione” la passione per la musica, la voglia di raccontare storie in maniera poco ovvia e più personale. E non c’è bisogno che a dare il “la” siano i grandi network nazionali, no certo. È sufficiente capire che il meccanismo innesterebbe un effetto a cascata, con realtà tipo la nostra che potrebbero pubblicizzare e amplificare il lavoro di venti piccole radio di provincia. Lo stesso identico discorso lo si può applicare ai locali o alle singole manifestazioni. C’è bisogno di mettere insieme le energie e creare un circuito che possa comunicare ed interagire in tempo reale. Se un artista nato in Piemonte suona e vende dischi ad ogni suo concerto (per esempio, cinquanta o cento copie sono tante o poche?) perché non deve avere la possibilità di suonare a Milano, Bologna, Roma e Bari, di veder trasmessa una sua canzone anche a Padova o a Catania e magari di poter leggere un articoletto su un giornale locale?

Oggi la risposta non è così ovvia. Ci sono difficoltà enormi nel preparare e gestire gli spostamenti, i passaggi radiofonici e gli spazi su carta stampata. O un artista ha un budget importante, oppure la promozione è lasciata al buon cuore di singoli. Così non ne usciamo più. La musica che piace a noi sta rischiando di rimanere soffocata, relegata al passa-parola. L’Isola il suo contributo a questo cambiamento lo sta portando avanti da tempo. Con la scelta delle copertine, per esempio, o più in generale con le interviste e gli approfondimenti. La copertina data a Sergio Cammariere va in questa direzione: un segnale di stima e di incoraggiamento a quel pubblico e a quegli artisti che da anni si spendono per “la causa” e un pugno nello stomaco per chi non lo conosce e che continuerà a batterci la mano sulla spalla.

Francesco Paracchini

 

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EDITORIALE DI DICEMBRE 2001 (n. 24)

 

Non è leggenda quella del Tenco come luogo unico in Italia per ascoltare buona musica e testi degni, per vedere trattata la canzone (o certa canzone) come cultura. E anche per passare tre giorni belli e intensi, con gradazioni alcoliche a scelta. È un’altra dimensione, l’abbiamo detto e ridetto più volte su queste pagine. E continueremo a farlo.

Certo i tempi cambiano. Non si può negare che a distanza di qualche anno dalla morte di Rambaldi, il creatore della rassegna, si avverte qualche comprensibile problema non tanto nel continuare, quanto sul come. Lui risolveva le cose tirando o un pugno sul tavolo o fuori il portafoglio. In generale usando il carisma che tutti quelli che l’hanno conosciuto ricordano. Quest’anno l’impasse è stata risolta con la grande intuizione di dedicare la rassegna a Sergio Endrigo, di far cantare sue canzoni a tutti quelli che c’erano. Speriamo e crediamo che nella prossima edizione ci siano altre idee di tal livello. Anche magari riprendendo buone abitudini del passato. Ad esempio fino a pochi anni fa ad affiancare la rassegna c’era un convegno. Ora non più. Si può obbiettare che ultimamente l’affluenza di pubblico non era da stadio, che c’era forse la tendenza a guardarsi l’ombelico, e così via. Ma crediamo che quel momento avesse un’importanza pari e parallela a quella della rassegna stessa. Teoria e pratica stavano sotto lo stesso tetto. In questo contesto ha colpito (i pochi che l’han saputa) la notizia delle dimissioni dal direttivo del Tenco (che è fatto di cinque serie e appassionate persone) del responsabile culturale, che fra l’altro era proprio l’organizzatore di quei convegni. Scricchiolio quasi impercettibile all’esterno, ma che non vorremmo annunciasse crepe più o meno profonde. Non crediamo però che sia una crepa l’assenza dei Guccini e dei De Gregori. Animo! Vent’anni fa i De Gregori, i Guccini, ecc. erano più o meno gli attuali Cristiano De André, Sergio Cammariere, Capossela, Parto delle Nuvole Pesanti... Sospetto: non è che in fondo bisogna avere il coraggio di svecchiare un po’ il parco invitati senza rinunciare a presenze artistiche di spessore? Il problema è che bisogna rimettersi “in cammino” per l’Italia, andare ad ascoltare musica nei locali, verificare i finalisti di altri festival, rimettersi ad ascoltare decine, centinaia di demo, di opere prime. Questa è la vera scommessa dell’organizzazione, non certo quella di riuscire a portare sempre e comunque i “soliti noti”. La linfa vitale del Tenco sta anche nella capacità di essere “sulla” novità, prima degli altri. Lo è stato per anni e questa deve continuare ad essere la sua missione.

Altro punto critico. Molti si lamentano per non essere invitati al Tenco. Dovrebbero però tener presente che i posti a disposizione non sono sterminati, anzi. Sono 18 o 19 gli artisti che si esibiscono nelle tre sere. Conti alla mano, tolti i vincitori (6 o 7), gli ospiti o i premiati stranieri (3 o 4) e un sacrosanto posto fisso a un esponente del folk italiano (2), restano ben poche caselle libere. Che, per intenderci, solitamente non vengono riempite con i Lunapop (i quali peraltro sono stati votati per la miglior opera prima lo scorso anno da qualche giornalista birichino). A proposito. Come ogni anno in quest’edizione sono arrivate critiche sull’assegnazione delle Targhe Tenco. Molte a sproposito, perché fatte senza conoscere il regolamento, che è di una precisione millimetrica. Magari senza neanche sapere che le targhe Tenco vengono assegnate da una giuria di una settantina di giornalisti musicali e non dal Club Tenco, che ha solo cinque voti a disposizione. Oppure che i dischi che possono essere votati sono quelli usciti tra il 1° settembre dell’anno precedente e il 31 agosto dell’anno in corso. Però. Però quando abbiamo visto i risultati di quest’anno ci hanno colpito non tanto i vincitori, ma piuttosto un signore siciliano, Carlo Muratori, che ha avuto pochissimi voti nella categoria “miglior album in dialetto” per il suo “Plica polonica”. Visto che il voto è segreto a meno che non sia il votante a dirlo…. noi lo diciamo. Due di quei voti sono quelli del direttore e del vicedirettore di questa rivista. Tutto è soggettivo ma ci pare che il disco di Muratori (e il suo percorso artistico complessivo) meritasse di più. L’abbiamo anche scritto nell’intervista che gli abbiamo fatto qualche mese fa. Un album del genere (fra l’altro di impronta fortemente cantautorale, da Tenco insomma) aveva tutti i requisiti per vincere la Targa. Il punto è che probabilmente quei settanta votanti forse non hanno più il polso della situazione. Si son persi questo disco, forse anche solo perché è uscito per una piccola etichetta e non è stato presentato in laute conferenze stampa a Roma o a Milano. Non sappiamo dire.

Fatto sta che un album bello, forte e importante non è stato praticamente considerato. Ma il discorso potrebbe essere più ampio. Quello di Muratori è solo un esempio, una spia rossa che si è accesa sul cruscotto. Qualcosa non quadra. Meglio controllare il motore. Ad esempio forse è il caso perlomeno di allungare la lista dei giurati con una ventina di nomi che si guardino attorno un po’ di più. Ne ha bisogno il Tenco, ma ancor di più ne ha bisogno il sempre più disorientato ascoltatore italiano.

 Francesco Paracchini & Enrico Deregibus