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L'EVENTO SEGNALATO

LUCIANO LIGABUE - Milano, 5 luglio 2002

Venerdì da stadio pieno. Il popolo del Liga, cinquanta(sessanta?)mila facce dalle braccia che tappezzano di rosa i tre anelli e che saltano sempre, pure sui lenti, e anche l'area vip, isolata con il nastro bicolore, ci sta spesso dentro.

Il circo é fatto di mille luci, filmati sul maxischermo (come Gino Strada di Emergency che dice “la guerra e’ una scelta, non e’ inevitabile” prima di Il mio nome é mai più), fuochi d’artificio,

un ponte che spunta portandolo su un cubo in mezzo al prato.

Concerto da stadio, cioè: non si sente una mazza e quel poco che si sente si sente da cani, Ligabue potrebbe cantare baglionate e farebbe lo stesso, perché va bene così. Un giornalista commenta: “Pazzesco che uno come Ligabue trascini così tanta gente, capisco Vasco Rossi, ma lui..”

Invece la cosa è comprensibile. Meno comprensibile è lo scarto allucinante che sta fra i centomila delle due sere milanesi per lui (“come Ronaldo, re della musica”) e i cinquemila scarsi per Daniele-De Gregori-Mannoia-Ron alla prima di Mantova, di pochi giorni precedente.

Perché Il Liga trascina?  Vasco rappresenta lo sporc-rock d’Italia, lui incarna l’irresistibile Effetto Squadra. Ligabue canta il sentimento comune, instaura lo spirito che spinge il gruppo, gli fa affrontare il mondo. Ed il mondo è quello “degli altri”, quelli che “ci hanno fregato il futuro”, quelli con cui bisogna lottare a mandibola scoperta.

Perché Ligabue parla declinando al “noi”, ed il noi sono quelli cui tocca vivere “in un mondo del cazzo”, quelli che “non c’è tempo per noi e forse non lo sarà mai” perché “ci han concesso solo una vita: soddisfatti o no qua non rimborsano MAI”.

La carica dalla provincia sprofondata, che nel suo caso sa della terra e delle strade lunghe d’Emilia (l’on the road all’italiana). Lo spirito della squadra medio-piccola che va all’arrembaggio del campionato mordendo gli stinchi ai pieni-di-soldi (“una vita da mediano”..); quelle società che lottano per non retrocedere e che, se la stagione va alla grande, con un decimo dei miliardi ‘gliela facciamo vedere e andiamo in UEFA, tie’.

Consapevolezza di partire in svantaggio con la vita per colpa di altri, l’unico scampo è “l’unione fa la forza”: mai pensare di giocarsela alla pari (ci si chiede però: se sai che devi combattere, non perdere tempo a lamentarti e alza le chiappe, e poi perché non puoi puntare in alto anche tu, diamine!?).

Ligabue é uno da birra al bar, in jeans, non da vino al ristorante, con il biliardino e le corse in motocicletta: giochi di.. squadra, tuttiperuno e noi contro gli altri. Al Bar Mario non si sta ad un tavolino, si sta al bancone gomito a gomito. Ecco perché il Liga trascinando vince. Comunque.

Perché sono pochi quelli che non si riconoscono anche solo in parte nello spirito alla Salvatores (vedi a alla voce “Radiofreccia”), che oltre a questo implica il fatto di vivere sempre come se avessi venticinque anni (e lui ne ha quarantadue).

Allo stadio c’erano anche parecchi uomini in camicia appena usciti dall’ufficio – quelli che magari t’ingrugnano dall’alto in metropolitana - che smontata la cravatta e lasciata la ventiquattrore in macchina urlavano a braccia alzate “certe notti ti senti padrone di un posto che

tanto di giorno non c’è”.

Il Liga capace anche di far poesia con gli scarti della lingua (canzoni come Ho perso le parole sono pezzi di vetro che brillano al sole fra i sassi dei campi), e filosofo che santoneggia irretendo il pubblico con discorsi sinceramente evitabili (a questo punto viva il mutismo di De Gregori).

Ma, al di là di tutto: di sudate così, chi non ne ha mai avuto voglia?

Giorgia Fazzini

    

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