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L'EVENTO SEGNALATO

Luciano Ligabue, Avellino, Teatro Carlo Gesualdo  3 febbraio 2003

 

Mettete una sera, sul palcoscenico di un teatro, Luciano Ligabue, insolitamente inchiodato alla sedia, insolitamente fornito solo di chitarra acustica, con la sua band e la maestria geniale di Mauro Pagani. Il risultato? Un concerto insolito per lo “Springsteen” di Correggio: non la dispersiva e fortemente mediatica atmosfera del concerto da stadio, non gli effetti speciali, gli schermi giganti, le passerelle (da evento) del concerto rock ma l’atmosfera amena, raccolta, calda del teatro. Un Ligabue cantautore, insomma, e poco rocker. Insolito ma, a pensarci bene, mica tanto. Ricordiamo il Liga in versione acustica proprio nel “regno dei cantautori”, il Premio Tenco. E, se la memoria non tradisce, il primo incontro artistico con Pagani avvenne proprio nell’edizione 2000 del Tenco, quando Luciano fu accompagnato dal viaggiatore di tante odissee musicali (la più ricordata è “Creuza de ma”, con De Andrè). Indimenticabile in quell’occasione il duetto Ligabue-Guccini, con Pagani e Flaco Biondini ad accompagnare. Musicista vero, capace di reinventare senza storpiare, disgustare, Pagani lo accompagna adesso nella sua prima tournee teatrale: collaborazione felice. La sostanza rimane, comunque, quella di sempre: il racconto ruvido e spigoloso di un mondo periferico e sognante. Ma più intimo, a teatro. In un Avellino gelida e innevata, lo scenario è solare: il teatro “Gesualdo” è stato inaugurato nel dicembre 2002. Dopo quasi cent’anni Avellino si riappropria del suo teatro. La sala contiene 1200 posti a sedere e l’acustica è perfetta. In città si spera che il teatro possa diventare il nuovo motore della realtà culturale irpina. Quella di stasera è la “prima volta” per il Gesualdo di un concerto di musica leggera e nei posti a sedere esauriti si trepida dall’attesa. In scaletta mancano le “rumorose e urlate” In pieno rock’n’rock, Nato per me, Si viene e si va, A che ora è la fine del mondo, L’odore del sesso, Libera nos a malo, Balliamo sul mondo ma anche Non è tempo per noi, Ho messo via, Ho perso le parole. Inserite, inopinatamente ma più consone all’atmosfera, Camera con vista sul deserto, dove la voce del Liga si appoggia sulla musica, sui virtuosismi del violino elettrico di Pagani, Dove fermano i treni, molto ritmata con Pagani all’armonica a bocca e poi al flauto, Angelo della nebbia. Camicia blu sopra un jeans scuro, chitarra e canto tutt’uno con lui, la faccia da indiano col sangue emiliano è meno fisico, meno veloce nell’esecuzione, più attento al canto. E al racconto: come quello dell’incontro con una “mia vecchia amica femminista che mi trovava, a distanza d’anni, immaturo e patetico macho nelle vesti di cantante, per poi parlarmi con entusiasmo di sua figlia che fa concorsi di bellezza, che tenta la strada della velina” ed attacca Miss Mondo. Come la denuncia civile di “1 miliardo e 300 persone in Africa senza acqua potabile, 24 conflitti nel mondo, il 93% di vittime civili, di cui 1 su 3 è sempre bambino, 110 milioni di mine sparse per il mondo” ed ecco Metti in circolo il tuo amore e Il mio nome è mai più. Poi legge “i belli che non resistono, che si trovano nell’angolo della stanza e che lasciano i brutti alla loro vita”, si tratta di Charles Bukoswki definito “proprio un grandissimo sborrone”. Due gioielli su tutti: Voglio volere, con assolo sognante di Pagani al mandolino e di Fede Poggipolini alla chitarra, e Sarà un bel souvenir. Poi Eri bellissima, Vivo morto o x, Leggero e finale (da stadio) con Urlando contro il cielo. Ligabue è un suono fuori moda, anche se lui va di moda. E’ una ballata rock dalla voce potente e lo sguardo fisso che ti sbattono in faccia le sue storie con solidità. E’ uno stivale a punta che batte con decisione sul tappeto del palco ad accompagnare il ritmo della chitarra. Tanti hanno cambiato con disinvoltura dal palasport al teatro, lui medita tutto quello che fa. E’ proprio vero che “tutti vogliono viaggiare in prima”. Ma solo pochi possono permetterselo e tra questi Ligabue. Perché lui viene dalla scuola della seconda classe.

                                                                                                                           Mario Victor Barbati

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