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Incontro sull'Isola n. 7

 

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Parlando coi pesci di Davide Van De Sfroos  

 

 

di Giorgio Maimone

 

Ha scritto un libro con la velocità di un treno, ha scritto un libro con la levità di gatto, ha scritto un libro con la maestosità di un falco. Solo 90 pagine, ma, a modo suo è epica. Davide Van De Sfroos è riuscito a stupire una volta di più, come quando, di fronte all’ennesima domanda sulla sua discussa vicinanza alla Lega ha risposto: “Certo che uno può mettere il bollino della banana Chiquita su un pomodoro, ma appena gli dai un morso ... capisci subito che è improbabile!” 

Non più cantautore di storie del lago, ma scrittore e scrittore serio, in lingua, di un’opera che attinge spesso ai cieli della poesia. “Ci credo, ho fatto a pezzi almeno 40 poesie per scriverlo!”  L’incontriamo alla Feltrinelli, poco prima di una presentazione al pubblico del suo libro.

Affabile, cordiale e ben disposto a spiegarsi, Davide è un giovane signore pacato che parla di libri e di letteratura, ben distante da qualsiasi forma esteriore che ci faccia pensare di trovarci di fronte a una rockstar e anche di buon successo commerciale. La sensazione è che tenga molto a questo lavoro e il libro ha tutte le caratteristiche per piacere a un pubblico molto ampio, che può tranquillamente trascendere quello normale dei suoi concerti.

 

Ho trovato un solo difetto in questo libro:  è corto…

 

Dai ti ringrazio… stavo già prendendo nota di cosa potesse essere! Sulla brevità del libro beh, è quello che voleva essere: il libro nasce corto. Mi è stato richiesto di fare un libro tascabile, piccolo di 100 pagine che potesse essere imboscato da qualunque parte. Il libro lo può leggere un bambino e suo padre e suo nonno, il Meccanico, il personaggio che guida il battello e quello che fa le pulizie al Bennet. Mi piace proprio l'idea che sia imboscabile dovunque, non impegnativo.

 

Leggere il tuo libro mozza il fiato. Ha dentro la musica, ha dentro il ritmo. Mi ha ricordato in qualche modo Dylan, ma non inteso come Bob, bensì come Dylan Thomas. In particolar modo il Dylan Thomas dei radiodrammi come "Sotto il bosco di latte". Ebbene, tra le tue ascendenze letterarie, c’è anche Dylan Thomas?

 

Parlando di riferimenti letterari, pensa a un ragazzino che cresce sul lago e scende con la corriera in città e va a comprare un libro; gli vengono consigliati i libri perché fa il liceo classico questo ragazzo, anche se non finisce bene questa avventura... io mi ricordo sempre una volta che ero da mia nonna a Como a dormire per motivi di levatacce mattutine e un pomeriggio sono andato in un negozio di libri e ho comprato le poesie di Dylan Thomas. Mi ricordo che era inverno e ho letto questo libro che per me era ancora un po' difficle, perché Dylan Thomas, con quel modo di scrivere, quelle iperboli, queste forme particolarissime che non capivo, era... lo riconoscevo come troppo avanzato per me. Non ero sicuro di capirlo, ammesso che la poesia si possa "capire", però mi rendevo conto che era grande. Ed ero presissimo da lui.

 

Dylan Thomas per me è sempre stato un personaggio della serie "ubriachiamoci insieme e non preoccupiamoci più di tanto di quello che succede". Non ho letto “Sotto il bosco di latte” ma mi ricordo le poesie, come mi ricordo quelle lunghe di Garcia Lorca. Sono poesie in cui ti perdi. Ma è un perdersi che serve, che se hai il coraggio di navigare con loro arrivi sicuramente oltre. Dylan Thomas è una sorta di assenzio che ogni tanto devo andare a bere.

 

Ero contentissimo quando arrivavo alla fine di quelle due o tre pagine di deliri, senza aver capito probabilmente quello che passava per la sua testa, ma contento di aver visto quelle immagine. Sai, come quando uno si mette davanti a un caleidoscopio e alla fine dice “Che bello, mi è piaciuto tantissimo!” Poi se gli chiedi che cosa ha visto non te lo sa spiegare, ma gli è proprio piaciuto. Quindi ti ringrazio per avermi detto questa cosa. Non era mai uscito il riferimento a Dylan Thomas, ma sicuramente c'è e tu l'hai trovato.

 

 

Il tuo libro mi è sembrato uno di quei libri da leggere ad alta voce. Sei d’accordo? E se sì hai pensato alla possibilità di farlo?

 

Beh, ho scritto questo libro sul finire dell'estate, ma in realtà sono gli scritti di una vita. E nel momento in cui mettevo su carta ogni storia, tornavo a casa e la leggevo a voce alta o a mia moglie o a un amico, o a Ugo Marchetti che è il mio consulente sui pesci. Quindi tu non ci crederai ma io ho letto a tutti a voce alta questo libro. E prima ancora di averlo tutto scritto.

 

Eh sì. Ci vorremmo provare qualche volta a fare un reading pubblico, anche perché si presta.  Non è “Delitto e castigo” che ci metti tre giorni. Si può scegliere una storia e leggerla. E se uno decide può leggerle anche tutte perché si legge velocemente. Dentro questi racconti c'è una musica e inoltre mi è sempre piaciuto ascoltare il narrato, o la lettura. Quindi è ovvio che nel momento in cui ti trovi a scrivere racconti sono la versione scritta della storia che tu vorresti raccontare ad alta voce.

 

Una delle idee che vorrei realizzare è quella di leggerlo nell'ex manicomio di Como. Posto tremendo e bellissimo, lì da dove è partito tutto, dove è cominciato il progetto di luoghi non comuni. Sarebbe bello andare in quelle stanze particolari e lì leggere il libro. Ovviamente vorrei anche farlo nella “Pensione Magnolia” citata nel libro, che esiste veramente, anche se io l’ho trasformata in una pensione e in realtà è semplicemente il “Circolo alla magnolia”.

 

Lo vedrei bene anche come sceneggiato televisivo. Sai ... una cosa alla Maigret

 

Magari! Bene, essendo fatto di racconti bisogna essere furbi nel trovare un fil rouge degno, però potrebbe adattarsi molto bene. Perché no?

 

Il tuo primo disco si chiamava Manicomi, molti dei personaggi delle tue canzoni sono uomini ( o donne) il cui senno galoppa libero nella prateria. E’ evidente che c’è un’attenzione particolare tua per questo tema. Da dove ti arriva questa passione?

 

Non è tanto una passione, è qualcosa che ho dentro. Lo dicevo anche prima che “Qualcuno volò sul nido del cuculo” è stato un film che mi ha segnato profondamente, forse più di tutti gli altri. Il diverso mentale, quello in cui non capisci mai il confine fra il genio che sta vedendo tutta la realtà e chi non riesce esprimerla ... è qualcosa che mi ha comunque sempre affascinato.

 

Io me ne sono reso conto in un momento di stress, quando lavoravo in una ditta di trasporti, parecchi anni fa. Ero arrivato molto vicino ad un esaurimento nervoso, niente di particolare, ma mi ha aperto una finestra su questo mondo. Mi sono poi reso conto parlandone come la gente faceva in fretta a dire: “non è più lui…”.

 

Sai,  quando hai il raffreddore sei Giovanni che ha il raffreddore, se ti sei rotto una gamba sei Giovanni che si è rotto una gamba, se sei impazzito sei Giovanni che non è più lui. Ti viene tolta anche l'identità, capisci?  Poi ho passato dei pomeriggi interi con questa gente, ascoltandoli. Non era morbosità sicuramente, ma era rendermi conto di avere un radar particolare. Io riuscivo a capire di più alcuni di loro ... anche quelli che non parlavano, anche quelli che ripetevano venti volte la stessa cosa che non i discorsi quotidiani degli amici. Mi rendevo conto di avere una valvola aperta di fronte a queste ondate.

 

Ascoltarli era forse anche un modo di indennizzarli di questa perdita di identità

 

Forse sì, ma credo sia stato anche l’aver sfiorato quel mondo. Come uno che ha il permesso di vedere dentro la scatola proibita senza entrarvi. Come Ulisse quando è sceso agli inferi. Mi son detto “ecco ho capito cos'è, ho sentito i pesci pensare. Forse mi fa bene, forse mi fa male”. Quando Ulisse agli inferi dice ho voglia di casa e qualcuno lì sotto gli fa notare  “ma non capisci che è il viaggio stesso a tenerti in vita”.

 

Se noi pensiamo a Ulisse che, finita la guerra torna a casa subito, beh, non ci sarebbe stato il libro. Ci sarebbe stata l’Iliade e basta. E allora ecco questo viaggio, questa dannazione, questa cosa faticosa, il meccanico, la valigia, gli oggetti che cadono, il percorso, la memoria,  l’esser andato, l'essere tornato, l'aver rotto la valigia, l'aver fatto cadere gli oggetti sono tutte tappe fondamentali. Altrimenti non si sarebbe potuto dar vita a tutte queste cose che ci sono state. E’la memoria che ha fatto rivivere queste persone altrimenti dimenticate.

 

Questo esercizio, questo allenamento con un “corto” ti è servito a pensare che potresti provare a misurarti con qualcosa di più lungo? Un romanzo?

 

Questa è la prima volta che scrivo in prosa e mi è piaciuto poter arrivare alla fine, vedere questo percorso sicuramente più marcato e faticoso. Ma sono contento e visto che poi ognuna delle dieci storie è legata ad uno degli oggetti contenuti nella valigia e le storie sono poi concatenate tra loro formando un tutt’uno, mi piacerebbe poter scrivere qualcosa di ancora più lungo, magari provando a vedere cosa può succedere senza tagliare come racconti, oppure facendo vivere una storia unica passando attraverso altri.

 

Diciamo che raccontare le microstorie è sempre stato una mia mania, anche perché vengo da un luogo dove la gente è abituata a contarsi microstorie. Ma non è tutto; io sono anche un'amante delle lunghe saghe quindi perché non provare a fare una storia vera e propria qualche volta?

 

Ci sono altri cantautori che hanno scritto libri. Ultimamente Giorgio Conte ha pubblicato un disco con allegato un libro, o viceversa, dicendo che il libro di racconti è da leggere ascoltando alcuni brani del disco. Che ne pensi?

 

Bello. Mi sembra un esperimento molto coraggioso; è stato bravo a fare un esperimento del genere. Ho conosciuto una persona che mi ha detto che secondo lei avrebbero dovuto dare delle musiche per visitare una mostra di quadri, o un museo o un tale evento... Io credo che leggere un libro scegliendo una colonna sonora è un privilegio che meritiamo, e se qualcuno propone già un piatto abbinando pietanze e contorno è sicuramente bello.

 

Per il tuo disco potrebbe esserci un discorso simile?

 

Io non me la sento di dire che chi legge questo libro deve ascoltare il mio disco perché sarebbero due cose che vanno incrociarsi. Sicuramente però c'è una musica anche perché in alcuni racconti vengono citate delle musiche. Essendo dieci storie potrebbero esserci più colonne sonore, così magari se stai leggendo la “Megatiroide” puoi ascoltare Cole Porter e se stai leggendo “Il violinista di nebbia” potresti ascoltare un certo pianismo molto soffuso raffinato che crea proprio questo clima di nebbia. Ma potrebbero esser anche i Genesis… E guarda caso alcuni racconti hanno già come protagonista, oltre ai personaggi, una musica”.

 

Fino al punto che almeno un personaggio delle tue canzoni compare in scena e dice “Qualcuno un giorno scriverà una canzone su di me”. Qualcuno che ora ci è molto vicino ...

 

E sì, alla fine c'è un personaggio che ho trasposto anche in musica, anche se è un “Sugamara episode one” perché non è ancora il Sugamara che ha combinato le cose della canzone, però è sicuramente la storia del giovane Sugamara”.

 

Dei libri degli altri cantautori io ricordo sicuramente i libri di Guccini che ultimamente si dà al giallo e secondo me fa bene. Poi ci sono stati Ruggeri, Vasco Rossi  e Jovanotti. Oppure possiamo pensare a Nick Cave, o a Leonard Cohen. Ma quello è stato prima un poeta poi un cantautore.

 

A cosa è dovuta la scelta di scrivere in italiano?

 

Parliamoci chiaramente, se io scrivessi un libro tutto in dialetto e in prosa sarebbe comunque qualcosa da relegare dentro alla sua particolarità; la difficoltà di leggere il dialetto è totale; le persone che parlano benissimo in dialetto non hanno alcuna capacità né di scrittura né di lettura nel 90% dei casi. Qui si voleva scrivere un libro da italiani di un'Italia, di una parte d'Italia.

 

Chi ha mai detto che Van De Sfroos debba scrivere sempre in dialetto? Non ho fatto nessun contratto di questo genere. Il dialetto è ovviamente la mia passione ed è la cosa che mi ha portato fortuna, ma questo qua è un libro ed è un libro nella mia lingua, che è l’italiano, e che è la lingua che poi il mondo ci invidia.

 

E le poesie?

 

Le poesie non si sono fermate: in questo momento si sono travestite da racconti. Credo veramente di poter dire che dentro queste 100 pagine almeno 40 poesie sono state dilatate in racconti di immagini.

 

Senti Davide, a proposito del tuo uso delle metafore… sono bellissime, ma sembra che tu le debba mettere per contratto! Non sono mai meno di due per pagina. (ride)

 

Già le metafore… sai ieri in Internet mi prendevano in giro a questo proposito,  anche perché è diventato una cosa che si sta espandendo. Anche nei concerti e nel parlare sto forse diventando un po' troppo “Toro seduto”, quello che parla per sentenze.  Nel libro di metafore ce ne sono almeno due per pagina, infatti per prima cosa devo darmi una regolata con le metafore… ma almeno ho finalmente capito da dove arrivano: mi arrivano dalla mia terra, una terra di persone che sia quando parlano in dialetto che in italiano sono sempre molto molto vicini alla metafora (un rat che l’andava cume la locomotiva - la veniva giò grosa cume michett?)

 

Cosa c'è nella tua valigia?

 

Gran parte di quello che c'è nella valigia l'avete visto facendola cadere casualmente.  Nel futuro spero di riuscire nel mio desiderio famoso di mettere in musica le paure di casa nostra, le storie un po’ gotiche delle leggende del lago, delle nostre streghe. Ma non una cosa pulp. Però mi piacerebbe davvero raccoglierle… pensa al “Mistero della settima luna” oppure “Nightmare befere Christmas”.

 

Ecco, ricorderete ne “L’albero degli zoccoli” il contadino che racconta? La voglia è quella: di prendere maghi e streghe, passando attraverso le falde popolari e arrivando a un simbolismo in canzone con sonorità cupe e gotiche, con una tinta abbastanza fosca. 

 

 

novembra 2003

 

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