Incontro sull'Isola n. 3
STEFANO BOLLANI: IL
JAZZ DI OGGI
di
Sandra
Garbarino
Abbiamo
intervistato Stefano Bollani, uno dei migliori pianisti jazz della scena
musicale italiana di oggi, che spesso e volentieri ha incrociato sul suo
percorso la canzone.
Quali
musicisti hanno avuto maggior peso nella tua formazione musicale? C’è un
elemento comune tra le loro composizioni?
Sono
tanti...ho sempre cercato di ascoltare e studiare la musica che mi emoziona,
senza badare al genere cui appartiene. In questo senso sono stati fondamentali Charlie
Parker e Duke Ellington, i miei "primi amori" nel jazz,
conosciuti all'età di 13 anni. Mi sono innamorato della musica cosiddetta
"colta" relativamente tardi, negli ultimi anni del conservatorio - e
dell'adolescenza - diventando un divoratore delle avanguardie del primo
novecento, da Stravinsky a Prokofiev, da Satie a Poulenc.
Nel rock ho qualche punto di riferimento inossidabile...fondamentale è la
figura di Frank Zappa, genio e regolatezza. Ma potrei continuare a lungo, passando per i grandi cantautori
brasiliani, i Beatles, Sinatra e ancora Miles Davis, Mingus...
La
tua produzione musicale passa spesso attraverso una sorta di rivisitazione –
letteraria (I fiori blu) o musicale (l’album “Abbassa la tua radio”,
rivisitazione di brani degli anni ’30 e ’40) – c’è un motivo
particolare?
Forse
sono un nostalgico. In entrambi i casi si trattava di qualcosa che ricordava la
mia adolescenza...ho letto tutto Queneau ai tempi del liceo e sin da
bambino ho nutrito una passione quasi perversa per la musica leggera italiana
del passato, tanto da scrivere all'età di 11 anni una lettera a Renato
Carosone che nella risposta mi consigliò di studiare "il blues, che è
alla base di tutto". Tutto forse si rifà a una voglia di
"leggerezza" nel senso che dava a questo termine Calvino nelle
sue “Lezioni americane”, un senso altamente positivo, vitale,
benefico.
Nell’album
“Les fleurs bleues” hai inserito brani come Dans Mon Ile di Henri
Salvador, Se non avessi più te di Morandi e Un giorno dopo l’altro
di Tenco. Se si indovina facilmente il perché della presenza di Salvador,
quella di Morandi e Tenco si capisce un po’ meno… Ce la puoi spiegare?
Volevo
che ci fosse un po' di aria degli anni '60 nel disco. E' il periodo in cui il
romanzo è stato scritto e almeno in parte è ambientato. Per questo sono andato
a pescare due fra le più belle canzoni dell'epoca - a mio opinabilissimo parere
- ma anche Chippie di Ornette Coleman che negli
stessi anni (!!) agitava le acque nel mondo della musica contemporanea
inventandosi l'idea di Free jazz.
La
presenza di “Un giorno dopo l’altro” spicca anche nell’album di Bobo
Rondelli…
L’amore
per Tenco è quello che ci accomuna maggiormente; in Bobo è vissuto ancora più
visceralmente, perchè Bobo si sente - e per molti versi E' - un maledetto, come
Tenco appunto o come Piero Ciampi.
Hai
voglia di raccontaci il perché della scelta di Bisio e Irene Grandi per lo
spettacolo di Genova su “Les fleurs bleues”?
Scelta
quasi casuale. L'idea è stata, in entrambi i casi, del regista Giorgio
Gallione. Irene e io siamo grandi amici da anni e, anche se i nostri
percorsi ci portano in direzioni diverse, approfittiamo di qualsiasi occasione
per fare musica insieme. Recentemente ho suonato un brano nel suo nuovo disco e
ho curato la produzione artistica di una versione "alternativa" di una
canzone scritta per lei da Paolo Benvegnù che è uscita come "lato
B" del primo singolo. Bisio è stata una rivelazione totale per me, un vero
animale da palcoscenico, molto disponibile e ricettivo. Mi piacerebbe rifare
qualcosa insieme, magari ancora con il Teatro dell'Archivolto, che è un posto
stimolante dove mi trovo sempre a mio agio.
Se
non erro, in quella serata avete inserito anche brani tratti da “La gnosi
delle fanfole”, come a creare lo spettacolo degli spettacoli bollaniani…
Ti va di parlarcene?
Quello
sì che era un disco strampalato. Lo registrammo Massimo Altomare e io
cinque anni fa - è già uscito da qualsiasi catalogo - mettendo in musica le
poesie metasemantiche del grande Fosco Maraini, con il suo permesso e la
sua collaborazione. Mi fa un enorme piacere vedere che altri cantanti (Irene, ma
in altre occasioni anche Marco Parente, Barbara Casini) abbiano
deciso di rileggere insieme a me alcune di quelle canzoni, entrando a piedi
uniti nel gioco, che è un gioco sulla forza del suono delle parole, poichè le
poesie di Maraini sono scritte in un italiano inventato, che evoca, suggerisce,
ma di fatto non dice nulla di preciso (l'esempio più lampante: "Il lonfo
non vaterca nè gluisce e molto raramente barigatta"...CHIARO, NO?).
Nel
tuo curriculum spiccano molte grandi collaborazioni. Quali sono quelle che ti
hanno maggiormente soddisfatto e perché? Sono state casuali o volute?
L'incontro
più importante della mia carriera è stato quello nel 1996 con Enrico Rava,
col quale collaboro tuttora. Mi ha dato la spinta necessaria per dedicarmi alla
mia musica, al mio mondo e per scegliere le persone con cui lavorare in base a
esigenze artistiche. Molte delle più belle esperienze che ho vissuto - e sto
vivendo - nascono da incontri quasi casuali, da Antonello Salis a Ares
Tavolazzi fino a Phil Woods o Hector Zazou e altre da amicizie
fiorentine di vecchia data, come i già citati Irene e Marco Parente. Un
incontro che ho fortemente voluto è quello con l'Orchestra Regionale Toscana,
con cui sto registrando un Concerto per pianoforte e orchestra (Concertone)
scritto a quattro mani insieme a Paolo Silvestri. E' un ensemble
favoloso, a partire dal primo violino Andrea Tacchi. Avevo già avuto
modo di lavorare con alcuni di loro per un progetto di Richard Galliano
su musiche di Piazzolla.
Visto
il tuo marcato interesse per la letteratura, quali sono i tuoi autori preferiti?
Hai un libro che tieni sempre sul comodino?
Tutto
Achille Campanile. Tutto Queneau. E il “Don Chisciotte” di Cervantes,
da rileggere ogni tanto integralmente. Fra gli autori italiani contemporanei, ho
un amore ormai inossidabile per Sebastiano Vassalli e Sandro Veronesi.
E' un periodo in cui, dopo anni di disamoramento, mi sto riavvicinando alla
letteratura americana - la mia carriera di lettore è iniziata con gli scrittori
della beat generation - in particolare a Paul Auster, Jonathan Lethem
e David Antrim. Mi sembra un buon momento per il genere romanzo, alla
faccia di chi ne predica la fine...d'altronde capita lo stesso con il jazz, che
sarebbe agonizzante da quaranta anni e più a star dietro a certi critici.
E un
CD da cui non ti separeresti mai?
In
questo momento, dovendo proprio scegliere, ti direi “Live in Montreux”
di Joao Gilberto. Un capolavoro assoluto.
Come
si diceva spesso in epoca festivaliera, "le possibilità musicali sono
finite". Sei d’accordo con questa affermazione?
No.
C'è ancora tanta bella musica da scrivere in do maggiore, come diceva Schonberg
quasi un secolo fa. Certo che non sarà il festival di Sanremo a portare
ventate di bella musica, questo mi sento di escluderlo. Ma fuori dalle logiche
delle major discografiche si muovono tante cose, in tutti i settori, e il
pubblico se ne accorge, con buona pace di tutti quei lobotomizzati che pensano
che fuori dalla televisione non esista nulla.
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