Incontro sull'Isola n. 8
Il primo disco live di Fabio Concato
esce con la leggerezza di un voilà
“Erano
almeno quindici anni che mi chiedevano un live. Non mi sono deciso prima perché
lo trovavo un po’ presuntuoso, dev’esser stato un eccesso di pudore. È una
cosa che va guadagnata, meritata”.
Ha ragione, Fabio Concato:
un disco dal vivo va pubblicato quando gli arrangiamenti sul palco valgono alle
canzoni un vestito tutto nuovo.
La scaletta di “Voilà.
Concatolive” (Universal) pesca soprattutto dalla pancia di questi suoi
ventisei anni di carriera (l’esordio è del 1977 con “Storie di sempre”).
“È stato
giocoforza doloroso eliminare dei titoli, ma il progetto è nato come cd singolo
e questi 74 minuti sono il limite fisico possibile. Nonostante non sia un autore
particolarmente prolifico, avevo comunque oltre un centinaio di canzoni. M’è
piaciuto mettere delle cose molto conosciute vicino ad altre magari più
piccine”.
Il disco ha una sua
semplice omogeneità, la voce da clarinetto gentile dell’autore milanese
s’infila fra chitarra, tastiera, basso e batteria, senza che ci siano sbalzi
con i brani in cui compaiono gli ospiti e che sono stati registrati in studio.
“Le
partecipazioni sono abbastanza particolari perché il senso era fare delle cose
con artisti apparentemente molto diversi da me. Anna Oxa è una vocalist
purissima, aveva già cantato delle mie canzoni e qui canta “Trattoria”, che
è una canzone molto lontana dalle sue corde.
Ci
son poi Samuele Bersani e Lucio Dalla.
“Samuele era uno
che da giovane, quando il mio raggio d’azione stava fra Bologna e Rimini, si
faceva trovare davanti al camerino per parlare. Quando gli ho proposto
“Gigi”, che è una canzone che lui ama moltissimo, ha sgranato gli occhi e
mi ha detto “Porcamiseria, proprio questa!?”. Volevo che “Gigi” fosse
cantata da un artista che avesse una personalità forte, e Samuele non è uno
che si può confondere.
“A Lucio avevo
proposto di cantare con me “051/222525” già nell’88, però mi disse che
non ce la faceva perché era troppo commovente (fu scritta per finanziare
Telefono Azzurro, ndr). Devo dire che è venuta una cosa speciale, perchè non
l’ha semplicemente cantata, l’ha proprio interpretata, come se avesse avuto
un transfer con il bambino abusato. Gli vengono dei suoni dalla gola che sono
anche un po’ inquietanti, c’è una partecipazione che è sconvolgente”.
Ed
infine il sassofono di Stefano Di Battista.
“Lui invece lo
conosco da poco tempo. Suona qualsiasi cosa, predilige il jazz ma è un
musicista pazzesco, a tutto tondo, con un’intonazione micidiale. È uno di
quelli proprio forti. M’aveva detto “Oh, chiamami per qualsiasi cosa”, è
arrivato immediatamente”.
Il live è stato
registrato in due sere, al Teatro Comunale di Cervia.
“La scelta
chiaramente non è casuale: io non amo i mortaretti, quello è un piccolo posto,
ci stavano duecento persone che sapevano cosa stava succedendo. Loro han cantato
ma col timore di rompere le scatole, n’è uscito un canto lontano. Quando
siamo arrivati in studio e abbiamo aperto le tracce, ci siamo resi conto che
eravamo già al 95% del lavoro, quindi ci siamo tenuti anche magari qualche
sporcizia ma il posto era talmente “pulito” che non poteva venire una roba
molto da rimaneggiare”.
Un live può valere anche
un’antologia.
“Per l’antologia
non ero ancora pronto. E poi sarebbe stato un prodotto dai costi industriali
diversi. Io volevo fare una cosa molto leggera, molto snella, con un ascolto che
passasse via senza turbare”.
Una
cosa molto tua: se c’è una cosa che non fai è proprio turbare!
Una
decina d’anni fa hai partecipato alla messa in musica del “Piccolo
Principe” di Antoine de Saint-Exupéry. Un libro fondato su quella sensibilità
‘bambina’ che ti ha accomuna un po’ a Bersani.
“La sensibilità
del fanciullino che c’è in noi.. Quella è una cosa nata abbastanza per caso,
mi hanno chiamato domandandomi se avevo mai fatto la voce narrante in un
audiolibro. Ho riscoperto “Il Piccolo Principe” che mia mamma tentava di
farmi leggere quando ero piccolino e io mi facevo due balle così; il fatto di
doverlo rileggere mi ha fatto riscoprire una cosa di una potenza che mi ha
fulminato di bellezza. Quello è un libro da grandi, che possono leggere anche i
piccoli, ma è un libro da grandi. Io mi definisco un po’ naif.”
All’uscita di una
raccolta (che sia in studio o live) ci si pone sempre la domanda se possa
servire a far conoscere ulteriormente l’artista, magari anche ad un pubblico
più giovane di quello che ti caratterizza. Vieppiù in un caso come il tuo; sei
in giro da anni ma sicuramente non sotto i grandi riflettori e la volta che sei
andato a Sanremo sembravi stritolato…
“Sì poi io non
sono molto capace di sgomitare, non m’interessa nemmeno. Ho capito che la cosa
importante nelle canzoni è non legarsi a fatti di attualità - a meno che non
sia per una questione particolare - perché quello dà veramente il tempo alla
canzone. Coi ragazzi mi succede una cosa strana, ai miei concerti c’è della
gente inaspettata, trovi anche quello col chiodo che alla domanda “Ma che ci
fai qua?” risponde che c’è il tempo, le fasce orarie, per ascoltare tutta
la musica, l’importante è che sia buona musica. Io mi rendo conto che proprio
perché mi sono dato poco a livello di media, sono ancora piuttosto vergine, mi
sembra ancora di poter cantare e fare tutto o quasi - e questa è una cosa che
mi piace molto, perché vuol dire che non mi sono esaurito.”
A
proposito dello scorso album (“Ballando con Chet Baker”) dicevi di aver
trovato un produttore giovane che ti aveva dato un nuovo respiro.
“Bruno Zucchetti è un’arrangiatore pazzesco, un giovane talento
che non mi conosceva molto. Gli abbiamo dato una serie di dischi vecchi, per
farlo entrare nel mio mondo. Un mio grande amico che è il fonico di tutti i
miei lavori discografici in studio, aveva lavorato con lui e mi aveva detto
“Guarda che secondo me c’è proprio del genio in questa persona e mi
piacerebbe che tu almeno lo conoscessi”. Io poi ho deciso di affidargli il
lavoro perché è un tipo molto particolare, è una persona speciale; gli ho
fatto sentire i provini e dopo un po’ di giorni è venuto fuori questo modo di
arrangiare, e mi sono accorto che può suonare qualsiasi cosa. Magari non
conosce bene la musica brasiliana che per me è fondamentale, ma ce l’ha
dentro. Questo è stato micidiale, la sua potenza è che ha tutto dentro anche
se probabilmente non gliel’ha insegnato nessuno, è una cosa anche misteriosa.
Poi vabè, è anche uno che con le tecnologie ci sa fare, però che non ha perso
il cuore, l’emozione, le sensazioni belle della musica; non è un tecnocrate,
è uno che se ne serve perché sono utili e molto veloci, ma c’ha un testone
per la musica che è pazzesco.”
Invece,
con un altro che sicuramente non è un giovane tecnocrate, Sergio Bardotti, hai
ripreso Todo o sentimento
di
Chico Buarque de Hollanda.
“Sergio
era l’unico possibile in questo Paese,
è proprio il traduttore per antonomasia. La cosa carina è che questa canzone,
nonostante la conoscesse e l’amasse molto, non l’aveva mai tradotta; per
cui è stato un doppio piacere. L’ho
scelta perché è una delle cose più belle che la musica brasiliana abbia mai
prodotto. Il mio amore per quel Paese nasce dall’ascolto di molta musica
brasiliana e molto jazz quand’ero piccolo, perché mio padre la suonava e
l’ascoltava, è stato il mio imprinting musicale. Poi ho avuto una storia
molto normale, più simile alle altre, quindi con il jazz-rock, col pop più
sinfonico; però gli inizi sono stati proprio quelli di Jerry
Mulligan e Miles Davis.”
Ora
cosa ascolti?
“Tutto, tranne
l’Opera, nonostante sia nipote di cantanti lirici, non so, forse perché
nessuno mi ci ha mai portato. La musica classica l’ho scoperta un po’ in
ritardo e l’amo molto. Buoni dischi ultimamente? ci sono delle
rimasterizzazioni di Stevie Wonder
che sono fulminanti, è a mio parere il più grande cantante di sempre, insieme
a Nat King Cole. Di italiani ci sono molte cose nuove, però mi
sembrano tutte un po’ simili. Poi ci sono personalità della voce come Niccolò
Fabi e Samuele Bersani, che sono riconoscibili subito e questo credo sia il
pregio di ognuno di noi. Ma di cose ultime in Italia percui gridare al miracolo,
mi sembra proprio di no.”
Sei
curioso?
“Abbastanza, non
sempre e comunque, però se mi capita, volentieri. Ascolto anche molto del
materiale che mi danno i ragazzi; non riesco mai a scoprire nulla, perché c’è
il clone del clone del clone.. e non si capisce nulla perché ti arrivano già i
provini con gli arrangiamenti, i riverberi sulla voce… Ma basta! Fammi sentire
se c’è la canzone, voce e piano e basta, non c’è bisogno di andare in
studio, spendere soldi…”
E
la tua generazione?
“Ci riflettevo
ascoltando il nuovo di Antonello Venditti,
è un bel recupero, gli ultimi da un po’ erano sul limite dell’imbarazzo, già
nello scorso c’era qualcosa che ‘contaminava’. Mi rendo conto che se
voglio sentire una cosa un po’ importante che abbia spessore vado ancora a
parare lì. Su alcune cose di Pino
Daniele, su alcune di Lucio Dalla.
E su quei trentenni, che nel frattempo sono diventati delle certezze.”
dicembre 2003
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