Incontro sull'Isola n. 4
La
Roccia che sale dall’Acqua: la comunicazione dell’autentico
Testo
e foto di Paola Piacitelli
“Universo Fortis” è il tuo ultimo album, la parola
“Universo” rimanda all’idea di un Tutto. La scelta di questo titolo, in sé,
appare molto impegnativa.
Esattamente. Questo è il primo greatest hits
ufficiale, include anche quattro brani inediti. “Universo Fortis” è la
documentazione del mio mondo; abbraccia, dall’inizio ad oggi, tutto quanto
riguarda il mio itinerario artistico e personale. C’era però anche un altro
aspetto che mi divertiva nella scelta del titolo: il nome della mia etichetta
discografica è “Universal”! C’è stata, quindi, questa cosa tra il serio
e l’omonimia, l’assonanza che mi piaceva molto.
Quindici brani, che appartengono alla tua storia,
presentati in modo cronologico. Tu, però, come hai riascoltato il tuo intero
lavoro: seguendo l’istinto o in modo cronologico?
L’ho riascoltato cronologicamente; da subito si
voleva dare l’idea di un percorso storico…
… Deve essere stato un momento molto particolare:
quale sensazione hai provato nel riascoltare tutte le tue canzoni?
È stato molto emozionante, per me, risentire tutta
la produzione in pochi giorni; è qualcosa che normalmente non fai, cioè ogni
tanto puoi ripescare qualcosa, ma solo così, direi, si può avere una traccia
totale delle cose fatte. Di solito, l’ascolto di un album prima della sua
uscita implica un'attenzione, una frenesia tali che, in qualche modo, le tue
emozioni sono gravate da un ipercriticismo, avvertendo anche i pericoli e le
tensioni che metti nell’analisi di questo materiale. Diverso è, invece,
ascoltarlo con la pace e la tranquillità di qualche anno dopo.
Talvolta si dice: “Ogni scarrafone è bello a
mamma sua”. Cosa ti ha guidato nel delicato e difficile compito di
selezionare, poi, solo alcune canzoni?
La cosa è avvenuta, per certi aspetti, in modo
molto istintivo; con l’ascolto e il disincanto di dopo delle cose fatte, si
sono accomunate emozioni che, alle volte, si sono ribaltate. Faccio un esempio: “Svegliati
amore”, che appartiene all’album “El niño”, era una
canzone che mi lasciava, allora, un po’ perplesso; trovavo fosse, come dire,
troppo facile ma riascoltarla oggi mi ha dato la sensazione come di bere un
bicchiere d’acqua bello, semplice e puro, rispetto ad un cocktail con
millecinquecento aromi. Ho detto: ma è bellissima, è la Vita! Lo svegliarsi
con un amore accanto… L’ho trovata, per mio gusto, molto beatlesiana; questo
è stato uno dei motivi e delle sorprese.
La consequenzialità, invece, del tuo ascolto e
della presentazione?
Questo
è un altro aspetto ancora; la presentazione della mia storia, mi auguro, vada
anche a dimostrare, sia dal punto di vista di scrittura che di produzione, la
coerenza di vent’anni di carriera artistica. Per rimanere nell’esempio: “El
niño” che veniva dopo “Fragole infinite” e “Tra Demonio e
Santità” dopo “Alberto Fortis”, non sono tra loro slegati ma
espressione di un cammino molto coerente.
“E se ne è andata anche lei/ in un soffio di poesia/
se ne è andata quando la mia energia/ ha voluto amarsi;/ si è scritta da sola,
senza badare al niente/ per liberarsi, stringendosi alla gola/ quel dispiacere
che l’ha cercata/ per una volta ancora…”
A proposito di scrittura, è possibile rilevare un
cambiamento nel suo carattere, tra quella del tuo penultimo disco “Angeldom”
e i quattro inediti; quest’ultimi appaiono più fluidi rispetto al gruppo
precedente che sembrano, invece, più minimalisti.
Mah, il “carattere”, di per sé, fa’ un po’
parte delle onde tue, del rapporto, combinazione che esiste tra le parole e la
musica, quindi, certe scritture ti permettono di essere più fluide. Anche se io
non sono d’accordo su quanto tu dici di “Angeldom”; quello che tu
leggi come minimalismo secondo me è, invece, sintesi nel senso di
come usare la chiave visiva del testo. La progressione che, a mio parere, la
parola nella musica deve fare è liberarsi da una certa enfasi, aspetto aulico e
progredire anche con la velocità di comunicazione, avvicinarsi sempre più al
linguaggio visivo. Una cosa che, invece, io ritengo molto bene riuscita di “Angeldom”
era che ogni linea poteva essere l’immagine di un clip.
Molto immediato, quindi…
Sì,
era molto immediato dove però la storia era anche organica. La scommessa di “Angeldom”,
però, era in oltre di fare in modo che ogni linea potesse avere un
significato a sé. Anche questi ultimi testi hanno il medesimo intento, forse,
l’alchimia tra parola e musica può, a chi è esterno, risultare diversa per
certe combinazioni che quasi non si esprimono nel perché uno scriva una canzone
in un certo modo; semplicemente essa, così, è.
Nelle tue canzoni spesso sono presenti i colori, gli
elementi della natura, i fenomeni atmosferici, mezzi di trasporto, gli astri…
È tutto un universo in grandissimo movimento, ed aleggia l’idea di una
presenza nell’assenza. È anche evidente un passaggio, rispetto ai tuoi due
primi album, la svolta è avvenuta ne “La grande grotta”. Nel penultimo
album è poi presente, in modo esplicito, il tema dell’angelia…
… Fa parte della natura itinerante, di chi, come
me, è dei Gemelli. Itinerante anche spiritualmente; è un dovere del non
sentirsi al centro dell’assoluto. Io detesto chi afferma le grandi verità;
credo che la cosa più saggia nella vita sia di relazionarsi con l’universo
circostante, quindi, di conseguenza sentirsi protagonista ma anche spettatore e
persona, presenza che condivide questa cosa. Probabilmente anche
l’appartenenza, in qualche modo, che io ho nel cuore, un po’ nell’anima e
che rispecchia il mio percorso territoriale artistico, ai diversi habitat di
questo nostro pianeta. Io sono, così, attratto dalla indianità dell’est sia
da quella del sud-ovest degli Stati Uniti. Mi piace il paese dove vivo, ho il
fascino dei territori legati ad una certa mitologia che riguarda il nord
dell’Europa. Apparentemente sono cose lontane ma in realtà fanno parte di un
cerchio di pensiero, con radici storiche e geografiche ben precise, cercando di
andare verso un livello superiore che è materia dell’angelia. Essa, in certo
qualmodo, non vorrei essere frainteso, non in maniera presuntuosa, cerca di
vedere le cose un po’ più dall’alto, quindi, di non soffrire di quella
schizofrenia da coinvolgimento che molte volte porta proprio a perdere il lume
della ragione. Credo che questo faccia parte di un mio tratto genetico… Ma
anche nel secondo album abbiamo trattate queste tematiche…
Sì, gli ultimi tuoi lavori, però, hanno proprio un
carattere più spirituale, “Tra demonio e santità” trovo, invece fosse più
viscerale, come se lì si testimoniasse di una ricerca…
Questo carattere è presente anche in “Angeldom”
e la ricerca che tu suggerisci, così come il rapporto con la realtà, sono
rappresentati nella canzone finale Hey Mama di “El niño”
L’orchestra in apertura ripercorreva, proprio come in un decollo di astronave,
i brani dell’album stesso vedendoli nella dimensione progressiva del distacco
(Il Nostro apre proprio con questa canzone ogni suo concerto N.d.R.).
Senz’altro è anche un’attrazione nei confronti di determinate materie, tra
cui appunto l’angelia, che si riferiscono più propriamente al piano
spirituale. Tali argomenti pertanto ti attraggono e ti stimolano a un certo
tipo, forma di creatività.
“…La profondità, la proiezione è l’inganno/ ciò
che è vero, ciò che è nostro è piatto/ è toccabile, è comprensibile./
Quando dilatiamo cerchiamo noi stessi/ quando ci ritroviamo tutto è semplice/
piano e bianco e anche i muri/ ci potrebbero abbracciare.”
Possiamo meglio comprendere cosa tu intenda per
“distacco”? Spesso sei stato frainteso, dalla critica e dal pubblico, per
questa tua ricerca.
Sì, è vero; credo di essere stato molto vittima di
un tale fraintendimento, anche nel momento in cui certe mie grandissime, invece,
presenze e partecipazioni a una realtà sociale, umanitaria e umana, sono sempre
state vissute con l’idea della “distanza”. La trovo una mancanza e lo
dico, per assurdo, perché molte volte, mi sono trovato e mi trovo a parlare di
cose che fanno parte proprio della nostra natura.
Come, ad esempio, il tema della reincarnazione o del
Karma presenti nella canzone “Qui la luna”?
Sì, desidero spezzare una lancia in nome di una
certa comunicazione che succede intorno all’Arte in Italia e agli artisti;
alle volte si presuppone che il nostro pubblico voglia ascoltare cose banali.
Ora questa, secondo me, è una guerra santa che io conduco con buone
motivazioni: la crisi generale nel settore dell’Arte, del disco, oltre a
motivazioni di carattere economico-commerciale, secondo le statistiche e
leggendo i diversi articoli, è attribuibile al fatto che abbiamo fatto
disinnamorare il nostro pubblico del CD, dell’album come testimonianza della
vita, della carriera di una persona.
Volendo, allora, approfondire i tuoi interessi, come
sei arrivato a occuparti di queste tematiche?
Sono convinto che questi interessi fanno un po’
parte del tratto genetico che una persona ha nella sua composizione chimica di
nascita. Accade, poi, che in qualche modo le avverti, le ascolti, le fai tue e
crescono oppure le fai restare silenti. Sono aspetti che ognuno di noi,
senz’altro, ha in sé a livello potenziale. Certamente poi i tempi, la
cultura, nel rapporto con la società, il livello di attenzione prestato a
questi argomenti, evidenzia come non siano temi favoriti, in termini di
percentuale di impegno, di attenzione che uno può dare...
Sono cercati ma non coltivati…
Sì, seppur presenti, non sono giustamente
coltivati. Succede, poi, per un sentore, un’antenna che puoi avere con te
stesso, di decidere, invece, di non farle rimanere silenti: sempre più sei
stimolato a scoprire cosa c’è dietro l’angolo. Dipende dal tuo percorso,
gli incontri nella vita… Io come dico: “Siamo tutti sotto le stelle”,
quindi, un po’ che ti ascolti, un po’ anche, credo, per destino. Il viaggio
che hai fatto in quel posto, in quel periodo certo è stata una tua decisione ma
non è detto che potesse sortire lo stesso effetto; se soltanto tardavi un mese
poteva non esserci l’incontro che sarebbe poi stato la chiave di volta nella
tua vita. Parlo, per esempio di come è nata “La grande grotta”: la
collaborazione con questi grandi musicisti che vi hanno suonato, è avvenuta in
modo del tutto casuale.
Puoi raccontarci, brevemente, com’è avvenuto
questo incontro?
Sì, l’aneddoto è molto curioso; io andai per la
prima volta negli Stati uniti, a Los Angeles, subito dopo l’esperienza di “Tra
Demonio e Santità”, per questioni del tutto personali. Una sera mi viene
consigliato di andare in un club chiamato Baked Potato con una grande
tradizione musicale, soprattutto fusion. Era un posto normalissimo, piccolo, con
pochi strumenti messi nell’angolo e non ti aspetteresti, come poi succederà,
che dei nomi grossissimi suonino in situazioni del genere… Comincio a sentire
questo quintetto, che proprio mi sbalordisce e vengo a scoprire che i musicisti
sono: Abraham Laboriel, Alex Neciosup-Acuña,
Paulinho da Costa, Sanchez, John F.Phillips
e, ad un certo punto, arriva anche Al Jarreau che si fa una
cantatina! Vengo in qualche modo messo a mio agio, ma nella mia testa, dalla
figura del bassista Abraham Laboriel, di origine messicana, il quale spiega che
il loro itinerario musicale è spirituale. Il nome del loro gruppo, tratto dalle
lettere di San Paolo e tradotto, è Luce per i miei occhi. Ascolto e, io
che tendenzialmente sono, soprattutto in queste situazioni, molto riservato,
mosso da chissà cosa, vado lì accanto, gli spiego un po’ della mia storia e
gli dico che, per me, sarebbe un onore, un giorno, riuscire a collaborare con
loro. Questa persona, con assoluta tranquillità, mi dà il suo biglietto da
visita con i recapiti telefonici, e mi dice: chiamaci. Non appena realizzo tutto
questo, torno in Italia e, morale della favola, ce la faccio a realizzare questo
progetto, grazie anche all’aiuto di Claudio Fabi, mio Produttore
storico e, allora, Direttore Artistico. Ritorniamo a Los Angeles
e, in un battibaleno, registriamo “La grande grotta” che rimane, ad
oggi, l’album mio più riconosciuto dal mercato. Per dirti, quindi, una
casualità sì, mossa dal mio sentire, ma davvero molto fortuita tradottasi,
poi, nella comunicazione che tu dai agli altri.
“…Una delle fonti principali a cui il produttore
dovrebbe attingere, è l’INTUITO TERRITORIALE, inteso come l’aggancio più
incosciente e primitivo all’energia viscerale, da sempre il veicolo della
comunicazione vera. Comunicazione capace di entrare in contatto immediato con
l’irrazionale, il sognato e non con i codici di mediazione razionale quasi
sempre inibitori…”
…E questa esperienza l’hai portata dentro di te
come un bene prezioso e fonte rinnovabile di energia; negli anni,
vedi “Angeldom” hai riproposto questa collaborazione.
La Bellezza e il modo in cui ho concepito le arti
musicali, l’Arte, per me, è un po’ missione. Tendenza, forse, data
dalla tradizione medica della mia famiglia, di me stesso, della mia idea di terapia.
Questo mi ha portato ad affascinarmi al percorso sciamanico, quindi, alla
scoperta del nostro sé più bello e possibile, condiviso con gli altri. Nel
tempo con questi musicisti ho sedimentato oltre che un rapporto professionale
anche di amicizia. È, per me, una bella pietra miliare del mio percorso
artistico e umano, soprattutto anche della voglia che ho di condivisione, del
senso di globalità. Sono convinto che la musica debba parlare questo
linguaggio. Si sa che l’aspetto artistico è un po’ sottovalutato
nell’immediato bilancio delle cose. Quando si parla di aspetti primari della
vita non si pone mai in evidenza l’attenzione all’Arte, questo, però, ha
portato a un disequilibrio nel nostro pianeta, economico e proprio politico; è
come negare che la persona è fatta di corpo e di anima, spirito, comunque di
intelletto. Per assurdo, è come se un medico ti diagnosticasse le cose sempre e
soltanto per una risultante fisica. Abbiamo anche un cervello, motore del nostro
organismo, i modi di lavoro dipendono dal pensiero. L’arte, quindi, deve
essere terapia, deve essere benessere.
Nella Splendida metà il tema è proprio
quello della condivisione…
Sì, è un viaggio a tinte calde ambientato in un
deserto aspro, un itinerario viscerale che ha come obiettivo finale, ovviamente,
la condivisione della propria vita con qualcun altro, con questa splendida
metà che, credo, sia la cosa più meravigliosa possa succedere a un Uomo
nella sua vita. Ognuno di noi, però, ha una sorta di entità dentro di sé, la
somma dei propri egoismi, delle difficoltà di comunicazione, degli ego vari,
delle gelosie, e crea un parallelo, sia d’itinerario sia sentimentale. Io ho
voluto proprio, in qualche modo, visualizzare nella canzone, questa entità, cui
chiedo: liberami, perché ho voglia di condividere la mia esistenza con qualcun
altro. Essa può essere anche il guerriero, il nativo d’America, l’indiano
ferito di cui si parla, che ha nel suo karma la ricerca territoriale e umana. È
importante che ognuno di noi crei il binario parallelo; è umano il dissidio tra
le proprie emozioni e la condivisione delle stesse: sono proprio come le due
famose rette parallele che poi non è vero che non s’incontrino mai…
Perché in un’altra geometria, interpretazione
della realtà…
In un’altra geometria, all’infinito, dovrebbero
incontrarsi…
Come deve lavorare la musica rispetto a questo
vissuto, esperienza. Come vorresti, secondo le tue intenzioni, agisse la Musica
su questo universo di giovani?
Secondo la forza innata, naturale, umana che può
sedimentare in tutti noi; non bisogna farsi il brain-washing da tutto ciò che
comunque, a livello pubblicitario o di stampa, comunicazione in generale, ti può
arrivare. È vero che, nel bene e nel male, viviamo in un mondo di pubblicità
ma ogni volta, nelle questioni dell’arte, l’Uomo ha comunque dato il colpo
di coda a favore dell’umanità e di una valutazione umana. Attenzione: io non
sono contro la telematica o contro il progresso o Internet. Saprai,
per esempio, è una canzone che parla proprio del rapporto tra l’uomo e la
macchina, come nel film “Matrix” e, in particolare, in questo senso, del
rapporto Uomo- Internet e dove la soglia, appunto, si contempla. Internet, in
qualche modo, cerca di attirare l’uomo in questo cerchio sciamanico telematico,
però, nello stesso tempo, s’ingelosisce anche lui dell’uomo. Tutto è
simboleggiato con l’atto del bacio, il famoso bacio biblico del tradimento,
dove la macchina dice all’uomo: comunque, se quando la sera tu mi spegni e te
ne vai, almeno, dammi un bacio.
“…Il tendere alla fonte, al di là di ogni
manierismo, nasce dal bisogno di credere molto all’Origine e non troppo a se
stessi”
Intendi
una comunicazione dell’uomo in senso lato: coraggiosa, senza mistificazioni?
È la voglia estrema, in ogni caso, di vivere le
parti di paura dell’uomo. È un po’ anche il richiamo al film “Il cielo
sopra Berlino” di Wenders, lo stato appunto dell’uomo-angelo che, però,
per amore, lascia la corazza, cade e vede il sangue. Sul piano della
comunicazione, in musica, l’immagine, il senso del mio discorso, si traduce
nei casi, ad esempio, di una ragazzina, Alanis Morissette, che, anche con
una produzione azzeccata ma molto immediata, senza alcuna ricercatezza, vende
del suo disco venticinque milioni di copie nel mondo. Era già successo a Tracy
Chapman e, ora, in maniera un po’ diversa, ad Alicya Chease…
…Sono tutte donne!
Eh sì, tutto questo è successo prima di tutto alle
donne. Questo è un grosso sostegno; con la forza che ha la donna della
procreazione, questo tratto naturale benedetto dal Signore e istintivo, riesce
anche, come si diceva prima, ad avere una forza che è meno preoccupata e che,
quindi, produce, un’azione deflagrante ma naturale. Questo dimostra che, tutto
sommato, le cose vere hanno possibilità.
“…A quel punto il protagonista affidandosi al volere del Destino (…) prosegue verso e in un luogo indecifrabile; certo il “Posto dei sogni” (…) Un Manto Blu incastonato di pietre preziose, una Veste rossa e l’immagine di un’Ala verde, una Bianca e ancora per Amore del Superiore, suo e degli Altri, conclude la Visione.”
1. Le citazioni sono tratte da: A.Fortis, Dentro il giardino, Tranchida Editori Inchiostro, 1994
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