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INTERVISTA AD ALBERTO FORTIS

La Roccia che sale dall’Acqua: la comunicazione dell’autentico

Testo e foto di Paola Piacitelli

  Il protagonista ha la sensazione di essere avvolto da un gran numero di Ali, di colore Bianco, Verde, Azzurro-Blu. Improvvisamente gli viene in mente un posto meraviglioso che chiameremo “l’Antico Posto delle Fragole”, un prato annunciato da un cancello armonioso, severo, pieno di Fragole, di Rose, e di Fragole…"1

“Universo Fortis” è il tuo ultimo album, la parola “Universo” rimanda all’idea di un Tutto. La scelta di questo titolo, in sé, appare molto impegnativa.

Esattamente. Questo è il primo greatest hits ufficiale, include anche quattro brani inediti. “Universo Fortis” è la documentazione del mio mondo; abbraccia, dall’inizio ad oggi, tutto quanto riguarda il mio itinerario artistico e personale. C’era però anche un altro aspetto che mi divertiva nella scelta del titolo: il nome della mia etichetta discografica è “Universal”! C’è stata, quindi, questa cosa tra il serio e l’omonimia, l’assonanza che mi piaceva molto.

 

Quindici brani, che appartengono alla tua storia, presentati in modo cronologico. Tu, però, come hai riascoltato il tuo intero lavoro: seguendo l’istinto o in modo cronologico?

L’ho riascoltato cronologicamente; da subito si voleva dare l’idea di un percorso storico…

 … Deve essere stato un momento molto particolare: quale sensazione hai provato nel riascoltare tutte le tue canzoni?

È stato molto emozionante, per me, risentire tutta la produzione in pochi giorni; è qualcosa che normalmente non fai, cioè ogni tanto puoi ripescare qualcosa, ma solo così, direi, si può avere una traccia totale delle cose fatte. Di solito, l’ascolto di un album prima della sua uscita implica un'attenzione, una frenesia tali che, in qualche modo, le tue emozioni sono gravate da un ipercriticismo, avvertendo anche i pericoli e le tensioni che metti nell’analisi di questo materiale. Diverso è, invece, ascoltarlo con la pace e la tranquillità di qualche anno dopo.

Talvolta si dice: “Ogni scarrafone è bello a mamma sua”. Cosa ti ha guidato nel delicato e difficile compito di selezionare, poi, solo alcune canzoni?

La cosa è avvenuta, per certi aspetti, in modo molto istintivo; con l’ascolto e il disincanto di dopo delle cose fatte, si sono accomunate emozioni che, alle volte, si sono ribaltate. Faccio un esempio: Svegliati amore”, che appartiene all’album “El niño”, era una canzone che mi lasciava, allora, un po’ perplesso; trovavo fosse, come dire, troppo facile ma riascoltarla oggi mi ha dato la sensazione come di bere un bicchiere d’acqua bello, semplice e puro, rispetto ad un cocktail con millecinquecento aromi. Ho detto: ma è bellissima, è la Vita! Lo svegliarsi con un amore accanto… L’ho trovata, per mio gusto, molto beatlesiana; questo è stato uno dei motivi e delle sorprese.

La consequenzialità, invece, del tuo ascolto e della presentazione?

Questo è un altro aspetto ancora; la presentazione della mia storia, mi auguro, vada anche a dimostrare, sia dal punto di vista di scrittura che di produzione, la coerenza di vent’anni di carriera artistica. Per rimanere nell’esempio: “El niño” che veniva dopo “Fragole infinite” e “Tra Demonio e Santità” dopo “Alberto Fortis”, non sono tra loro slegati ma espressione di un cammino molto coerente.

“E se ne è andata anche lei/ in un soffio di poesia/ se ne è andata quando la mia energia/ ha voluto amarsi;/ si è scritta da sola, senza badare al niente/ per liberarsi, stringendosi alla gola/ quel dispiacere che l’ha cercata/ per una volta ancora…”

A proposito di scrittura, è possibile rilevare un cambiamento nel suo carattere, tra quella del tuo penultimo disco “Angeldom” e i quattro inediti; quest’ultimi appaiono più fluidi rispetto al gruppo precedente che sembrano, invece, più minimalisti.

Mah, il “carattere”, di per sé, fa’ un po’ parte delle onde tue, del rapporto, combinazione che esiste tra le parole e la musica, quindi, certe scritture ti permettono di essere più fluide. Anche se io non sono d’accordo su quanto tu dici di “Angeldom”; quello che tu leggi come minimalismo secondo me è, invece, sintesi nel senso di come usare la chiave visiva del testo. La progressione che, a mio parere, la parola nella musica deve fare è liberarsi da una certa enfasi, aspetto aulico e progredire anche con la velocità di comunicazione, avvicinarsi sempre più al linguaggio visivo. Una cosa che, invece, io ritengo molto bene riuscita di “Angeldom” era che ogni linea poteva essere l’immagine di un clip.

Molto immediato, quindi…

Sì, era molto immediato dove però la storia era anche organica. La scommessa di “Angeldom”, però, era in oltre di fare in modo che ogni linea potesse avere un significato a sé. Anche questi ultimi testi hanno il medesimo intento, forse, l’alchimia tra parola e musica può, a chi è esterno, risultare diversa per certe combinazioni che quasi non si esprimono nel perché uno scriva una canzone in un certo modo; semplicemente essa, così, è.

Nelle tue canzoni spesso sono presenti i colori, gli elementi della natura, i fenomeni atmosferici, mezzi di trasporto, gli astri… È tutto un universo in grandissimo movimento, ed aleggia l’idea di una presenza nell’assenza. È anche evidente un passaggio, rispetto ai tuoi due primi album, la svolta è avvenuta ne “La grande grotta”. Nel penultimo album è poi presente, in modo esplicito, il tema dell’angelia…

… Fa parte della natura itinerante, di chi, come me, è dei Gemelli. Itinerante anche spiritualmente; è un dovere del non sentirsi al centro dell’assoluto. Io detesto chi afferma le grandi verità; credo che la cosa più saggia nella vita sia di relazionarsi con l’universo circostante, quindi, di conseguenza sentirsi protagonista ma anche spettatore e persona, presenza che condivide questa cosa. Probabilmente anche l’appartenenza, in qualche modo, che io ho nel cuore, un po’ nell’anima e che rispecchia il mio percorso territoriale artistico, ai diversi habitat di questo nostro pianeta. Io sono, così, attratto dalla indianità dell’est sia da quella del sud-ovest degli Stati Uniti. Mi piace il paese dove vivo, ho il fascino dei territori legati ad una certa mitologia che riguarda il nord dell’Europa. Apparentemente sono cose lontane ma in realtà fanno parte di un cerchio di pensiero, con radici storiche e geografiche ben precise, cercando di andare verso un livello superiore che è materia dell’angelia. Essa, in certo qualmodo, non vorrei essere frainteso, non in maniera presuntuosa, cerca di vedere le cose un po’ più dall’alto, quindi, di non soffrire di quella schizofrenia da coinvolgimento che molte volte porta proprio a perdere il lume della ragione. Credo che questo faccia parte di un mio tratto genetico… Ma anche nel secondo album abbiamo trattate queste tematiche…

Sì, gli ultimi tuoi lavori, però, hanno proprio un carattere più spirituale, “Tra demonio e santità” trovo, invece fosse più viscerale, come se lì si testimoniasse di una ricerca…

Questo carattere è presente anche in “Angeldom” e la ricerca che tu suggerisci, così come il rapporto con la realtà, sono rappresentati nella canzone finale Hey Mama di “El niño” L’orchestra in apertura ripercorreva, proprio come in un decollo di astronave, i brani dell’album stesso vedendoli nella dimensione progressiva del distacco (Il Nostro apre proprio con questa canzone ogni suo concerto N.d.R.). Senz’altro è anche un’attrazione nei confronti di determinate materie, tra cui appunto l’angelia, che si riferiscono più propriamente al piano spirituale. Tali argomenti pertanto ti attraggono e ti stimolano a un certo tipo, forma di creatività.

“…La profondità, la proiezione è l’inganno/ ciò che è vero, ciò che è nostro è piatto/ è toccabile, è comprensibile./ Quando dilatiamo cerchiamo noi stessi/ quando ci ritroviamo tutto è semplice/ piano e bianco e anche i muri/ ci potrebbero abbracciare.”

Possiamo meglio comprendere cosa tu intenda per “distacco”? Spesso sei stato frainteso, dalla critica e dal pubblico, per questa tua ricerca.

Sì, è vero; credo di essere stato molto vittima di un tale fraintendimento, anche nel momento in cui certe mie grandissime, invece, presenze e partecipazioni a una realtà sociale, umanitaria e umana, sono sempre state vissute con l’idea della “distanza”. La trovo una mancanza e lo dico, per assurdo, perché molte volte, mi sono trovato e mi trovo a parlare di cose che fanno parte proprio della nostra natura.

Come, ad esempio, il tema della reincarnazione o del Karma presenti nella canzone “Qui la luna”?

Sì, desidero spezzare una lancia in nome di una certa comunicazione che succede intorno all’Arte in Italia e agli artisti; alle volte si presuppone che il nostro pubblico voglia ascoltare cose banali. Ora questa, secondo me, è una guerra santa che io conduco con buone motivazioni: la crisi generale nel settore dell’Arte, del disco, oltre a motivazioni di carattere economico-commerciale, secondo le statistiche e leggendo i diversi articoli, è attribuibile al fatto che abbiamo fatto disinnamorare il nostro pubblico del CD, dell’album come testimonianza della vita, della carriera di una persona.

Volendo, allora, approfondire i tuoi interessi, come sei arrivato a occuparti di queste tematiche?

Sono convinto che questi interessi fanno un po’ parte del tratto genetico che una persona ha nella sua composizione chimica di nascita. Accade, poi, che in qualche modo le avverti, le ascolti, le fai tue e crescono oppure le fai restare silenti. Sono aspetti che ognuno di noi, senz’altro, ha in sé a livello potenziale. Certamente poi i tempi, la cultura, nel rapporto con la società, il livello di attenzione prestato a questi argomenti, evidenzia come non siano temi favoriti, in termini di percentuale di impegno, di attenzione che uno può dare...

Sono cercati ma non coltivati…

Sì, seppur presenti, non sono giustamente coltivati. Succede, poi, per un sentore, un’antenna che puoi avere con te stesso, di decidere, invece, di non farle rimanere silenti: sempre più sei stimolato a scoprire cosa c’è dietro l’angolo. Dipende dal tuo percorso, gli incontri nella vita… Io come dico: “Siamo tutti sotto le stelle”, quindi, un po’ che ti ascolti, un po’ anche, credo, per destino. Il viaggio che hai fatto in quel posto, in quel periodo certo è stata una tua decisione ma non è detto che potesse sortire lo stesso effetto; se soltanto tardavi un mese poteva non esserci l’incontro che sarebbe poi stato la chiave di volta nella tua vita. Parlo, per esempio di come è nata “La grande grotta”: la collaborazione con questi grandi musicisti che vi hanno suonato, è avvenuta in modo del tutto casuale.

Puoi raccontarci, brevemente, com’è avvenuto questo incontro?

Sì, l’aneddoto è molto curioso; io andai per la prima volta negli Stati uniti, a Los Angeles, subito dopo l’esperienza di “Tra Demonio e Santità”, per questioni del tutto personali. Una sera mi viene consigliato di andare in un club chiamato Baked Potato con una grande tradizione musicale, soprattutto fusion. Era un posto normalissimo, piccolo, con pochi strumenti messi nell’angolo e non ti aspetteresti, come poi succederà, che dei nomi grossissimi suonino in situazioni del genere… Comincio a sentire questo quintetto, che proprio mi sbalordisce e vengo a scoprire che i musicisti sono: Abraham Laboriel, Alex Neciosup-Acuña, Paulinho da Costa, Sanchez, John F.Phillips e, ad un certo punto, arriva anche Al Jarreau che si fa una cantatina! Vengo in qualche modo messo a mio agio, ma nella mia testa, dalla figura del bassista Abraham Laboriel, di origine messicana, il quale spiega che il loro itinerario musicale è spirituale. Il nome del loro gruppo, tratto dalle lettere di San Paolo e tradotto, è Luce per i miei occhi. Ascolto e, io che tendenzialmente sono, soprattutto in queste situazioni, molto riservato, mosso da chissà cosa, vado lì accanto, gli spiego un po’ della mia storia e gli dico che, per me, sarebbe un onore, un giorno, riuscire a collaborare con loro. Questa persona, con assoluta tranquillità, mi dà il suo biglietto da visita con i recapiti telefonici, e mi dice: chiamaci. Non appena realizzo tutto questo, torno in Italia e, morale della favola, ce la faccio a realizzare questo progetto, grazie anche all’aiuto di Claudio Fabi, mio Produttore storico e, allora, Direttore Artistico. Ritorniamo a Los Angeles e, in un battibaleno, registriamo “La grande grotta” che rimane, ad oggi, l’album mio più riconosciuto dal mercato. Per dirti, quindi, una casualità sì, mossa dal mio sentire, ma davvero molto fortuita tradottasi, poi, nella comunicazione che tu dai agli altri.

“…Una delle fonti principali a cui il produttore dovrebbe attingere, è l’INTUITO TERRITORIALE, inteso come l’aggancio più incosciente e primitivo all’energia viscerale, da sempre il veicolo della comunicazione vera. Comunicazione capace di entrare in contatto immediato con l’irrazionale, il sognato e non con i codici di mediazione razionale quasi sempre inibitori…”

…E questa esperienza l’hai portata dentro di te come un bene prezioso e fonte rinnovabile di energia; negli anni, vedi “Angeldom” hai riproposto questa collaborazione.

La Bellezza e il modo in cui ho concepito le arti musicali, l’Arte, per me, è un po’ missione. Tendenza, forse, data dalla tradizione medica della mia famiglia, di me stesso, della mia idea di terapia. Questo mi ha portato ad affascinarmi al percorso sciamanico, quindi, alla scoperta del nostro sé più bello e possibile, condiviso con gli altri. Nel tempo con questi musicisti ho sedimentato oltre che un rapporto professionale anche di amicizia. È, per me, una bella pietra miliare del mio percorso artistico e umano, soprattutto anche della voglia che ho di condivisione, del senso di globalità. Sono convinto che la musica debba parlare questo linguaggio. Si sa che l’aspetto artistico è un po’ sottovalutato nell’immediato bilancio delle cose. Quando si parla di aspetti primari della vita non si pone mai in evidenza l’attenzione all’Arte, questo, però, ha portato a un disequilibrio nel nostro pianeta, economico e proprio politico; è come negare che la persona è fatta di corpo e di anima, spirito, comunque di intelletto. Per assurdo, è come se un medico ti diagnosticasse le cose sempre e soltanto per una risultante fisica. Abbiamo anche un cervello, motore del nostro organismo, i modi di lavoro dipendono dal pensiero. L’arte, quindi, deve essere terapia, deve essere benessere.

Nella Splendida metà il tema è proprio quello della condivisione…

Sì, è un viaggio a tinte calde ambientato in un deserto aspro, un itinerario viscerale che ha come obiettivo finale, ovviamente, la condivisione della propria vita con qualcun altro, con questa splendida metà che, credo, sia la cosa più meravigliosa possa succedere a un Uomo nella sua vita. Ognuno di noi, però, ha una sorta di entità dentro di sé, la somma dei propri egoismi, delle difficoltà di comunicazione, degli ego vari, delle gelosie, e crea un parallelo, sia d’itinerario sia sentimentale. Io ho voluto proprio, in qualche modo, visualizzare nella canzone, questa entità, cui chiedo: liberami, perché ho voglia di condividere la mia esistenza con qualcun altro. Essa può essere anche il guerriero, il nativo d’America, l’indiano ferito di cui si parla, che ha nel suo karma la ricerca territoriale e umana. È importante che ognuno di noi crei il binario parallelo; è umano il dissidio tra le proprie emozioni e la condivisione delle stesse: sono proprio come le due famose rette parallele che poi non è vero che non s’incontrino mai…

Perché in un’altra geometria, interpretazione della realtà

In un’altra geometria, all’infinito, dovrebbero incontrarsi…

Come deve lavorare la musica rispetto a questo vissuto, esperienza. Come vorresti, secondo le tue intenzioni, agisse la Musica su questo universo di giovani?

Secondo la forza innata, naturale, umana che può sedimentare in tutti noi; non bisogna farsi il brain-washing da tutto ciò che comunque, a livello pubblicitario o di stampa, comunicazione in generale, ti può arrivare. È vero che, nel bene e nel male, viviamo in un mondo di pubblicità ma ogni volta, nelle questioni dell’arte, l’Uomo ha comunque dato il colpo di coda a favore dell’umanità e di una valutazione umana. Attenzione: io non sono contro la telematica o contro il progresso o Internet. Saprai, per esempio, è una canzone che parla proprio del rapporto tra l’uomo e la macchina, come nel film “Matrix” e, in particolare, in questo senso, del rapporto Uomo- Internet e dove la soglia, appunto, si contempla. Internet, in qualche modo, cerca di attirare l’uomo in questo cerchio sciamanico telematico, però, nello stesso tempo, s’ingelosisce anche lui dell’uomo. Tutto è simboleggiato con l’atto del bacio, il famoso bacio biblico del tradimento, dove la macchina dice all’uomo: comunque, se quando la sera tu mi spegni e te ne vai, almeno, dammi un bacio.

“…Il tendere alla fonte, al di là di ogni manierismo, nasce dal bisogno di credere molto all’Origine e non troppo a se stessi”

Intendi una comunicazione dell’uomo in senso lato: coraggiosa, senza mistificazioni?

È la voglia estrema, in ogni caso, di vivere le parti di paura dell’uomo. È un po’ anche il richiamo al film “Il cielo sopra Berlino” di Wenders, lo stato appunto dell’uomo-angelo che, però, per amore, lascia la corazza, cade e vede il sangue. Sul piano della comunicazione, in musica, l’immagine, il senso del mio discorso, si traduce nei casi, ad esempio, di una ragazzina, Alanis Morissette, che, anche con una produzione azzeccata ma molto immediata, senza alcuna ricercatezza, vende del suo disco venticinque milioni di copie nel mondo. Era già successo a Tracy Chapman e, ora, in maniera un po’ diversa, ad Alicya Chease

…Sono tutte donne!

Eh sì, tutto questo è successo prima di tutto alle donne. Questo è un grosso sostegno; con la forza che ha la donna della procreazione, questo tratto naturale benedetto dal Signore e istintivo, riesce anche, come si diceva prima, ad avere una forza che è meno preoccupata e che, quindi, produce, un’azione deflagrante ma naturale. Questo dimostra che, tutto sommato, le cose vere hanno possibilità.

“…A quel punto il protagonista affidandosi al volere del Destino (…) prosegue verso e in un luogo indecifrabile; certo il “Posto dei sogni” (…) Un Manto Blu incastonato di pietre preziose, una Veste rossa e l’immagine di un’Ala verde, una Bianca e ancora per Amore del Superiore, suo e degli Altri, conclude la Visione.”



1.  Le citazioni sono tratte da: A.Fortis, Dentro il giardino, Tranchida Editori Inchiostro, 1994

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