ARCHIVIO

CHI SIAMO

LINK

DOVE TROVARCI

CONTATTACI

Intervista con Carmen Consoli, dal n. 24, dicembre 2001

ARCHIVIO INTERVISTE

MILLE VIOLINI SUONATI DAL VENTO...

di Francesco Paracchini

Dolce e irriverente, calda e impertinente, la Carmen nazionale entra nel nuovo anno con lo slancio di chi sa di aver colpito nel segno. Il 2001 è stato per lei un anno straordinario e come nei versi di una famosa canzone legata alla sua infanzia, quella sera al Teatro Greco di Taormina, i violini sembravano davvero mille. Un’emozione che rimarrà indelebile nella sua carriera artistica. Simbolo delle nuove teen-ager e riferimento musicale per molte giovani cantautrici, Carmen Consoli si è ritagliata uno spazio significativo e personalissimo nel panorama della musica italiana. Ed è decisa a restarci a lungo.

È da molto che avevi in testa di registrare un album con un’orchestra a tua disposizione?

È sempre stato il mio sogno, uno dei miei sogni. Anche un po’ azzardato, se vuoi. Ripensando alla preparazione che c’è dietro questo lavoro mi vengono i brividi. Tutto nasce l’inverno scorso e nonostante io arrivassi da un tour estivo che era andato molto bene (avevo suonato ovunque) sentivo l’esigenza di continuare a suonare. Volevo trovarmi un pretesto, un motivo logico, per continuare a farlo.

Nel senso che rischiavi una crisi di astinenza, sei così “dipendente” dal rapporto palco-pubblico?

Esatto, per me il palco è terapeutico. Ho bisogno di suonare, è indispensabile per il mio equilibrio. Ecco perché ho insistito tanto per poter preparare un tour teatrale. Avevo voglia di provare qualcosa di nuovo, l’esperienza in acustico, per esempio. Poi, man mano, dall’idea iniziale di due chitarre e basta prese piede l’idea di andare oltre, di preparare nuove versioni dei miei brani con l’aggiunta di due archi, un contrabbasso, una batteria molto dolce e il mandolino. Un’atmosfera un po’ gipsy, nomade, del mio repertorio.

 

Ne uscì un tour molto impegnativo, con decine e decine di date…

Una trentina, se non ricordo male, ed alla fine di quell’esperienza il Maestro Buonvino, sentendo questi arrangiamenti quasi da “camera”, mi chiese di poterci lavorare in maniera più completa, proponendomi una serata clou al Teatro Greco di Taormina. La mia risposta fu lapidaria: “… tu sì pazzo completamente…”. Poi invece le cose hanno preso una piega diversa e il risultato è stata una serata indimenticabile, riassunta in un disco che non snatura quella magia.

Un’esperienza così ‘unica’ che non vedremo mai sviluppata in un tour tradizionale…

È vero, anche se due “bis” ci saranno. Due date, una al Santa Cecilia di Roma e una al Leoncavallo di Milano. In entrambi i concerti saremo al completo.

 

È interessante notare i due luoghi scelti. Ovviamente non è casuale…

Mi piaceva dare questa idea del contrasto nella comunicazione. La musica deve essere accessibile a tutti, non deve esistere un luogo preciso per un “tipo” di musica preciso. Qualunque musica può essere contestualizzata. Non volevo fare un progetto d’élite o troppo raffinato. E poi è stata anche una scelta di cuore. Da una parte volevo una cosa popolare e dall’altra coronare un altro dei miei sogni: suonare, non avendoci potuto studiare, nella prestigiosa Accademia romana. La scelta del Leoncavallo è legata invece ad alcuni ricordi adolescenziali. Passando spesso da Milano, è stato il luogo musicale che più ho frequentato. Avevo l’opportunità di vedere concerti a prezzi accessibilissimi e proprio lì ho vissuto momenti indimenticabili.

 

Per esempio?

Suzanne Vega che presentava anche il suo libro, gli Almamegretta, Max Gazzè e tanti altri.

 

Torniamo al tuo disco. Ascoltandolo sembra quasi un lavoro da studio e anche nei crediti viene sottolineata la cura e l’alta tecnologia utilizzata in sede di registrazione.

Diciamo che Maurizio Nicotra ci teneva moltissimo alla resa audio ed ha utilizzato tutto ciò che poteva servire allo scopo. Abbiamo usato microfoni valovolari e un mixer analogico che, se non ricordo male, è lo stesso utilizzato nelle esibizioni di Pavarotti. Un lavoro curato anche per ogni singolo professore d’orchestra…

 

Passando dalla dimensione “rock” a quella di un’atmosfera più sofisticata o comunque più “curata” è cambiato qualcosa, c’è un approccio diverso nel ricantare i tuoi brani?

Sì, certo. Anche se vorrei aggiungere che io non mi sono mai sentita “rock”, nel senso classico del termine. Credo di essere molto legata alla definizione per cui “rock” è tutto ciò che è destabilizzante. Quando ho visto il concerto di Ani Di Franco, voce e chitarra, e poi quello dei Blink 182, ho avuto un ulteriore conferma di quanto le canzoni di Ani fossero più rock. E non era una questione di ‘muro sonoro’, ma di ‘intenzione’. Ho sempre pensato che Cesaria Evora fosse più dirompente di Tina Turner…

 

La cosa buffa è che però anche i Blink 182 dicono la stessa cosa… che è una questione di attitudine…

Sicuramente loro sono un gruppo rock, però io il rock lo concepisco come un urgenza di comunicare delle cose. Non conosco la loro vita, ma quello che dice Ani Di Franco nei suoi testi mi sembrava più intenso.

 

Torniamo alle tue canzoni, agli arrangiamenti e al nuovo “vestito” che gli hai cucito addosso. Non ritieni che questo lavoro sia risultato più facile o comunque più naturale per il fatto che i tuoi brani nascono solo con la chitarra? Intendo dire che quando un brano nasce da uno strumento e da una voce ha una sua forza intrinseca, che può essere quindi rimescolato, rigirato ed è pronto a ricevere qualsiasi tipo di arrangiamento.

Sono assolutamente d’accordo, difatti è questa la mia dimensione. Quando compongo prendo la chitarra e cerco di trasmettere negli accordi e nelle melodie tutto il senso di quello che potrebbe essere il prodotto finale. Un brano voglio che funzioni, che abbia un suo perché, anche suonandolo da sola nella mia stanza. Poi faccio sentire il tutto alla band e insieme cerchiamo di vestirlo al meglio. Non penso affatto che le mie canzoni siano dei capolavori, ma trovo che se hanno un po’ di valore questo sia legato al fatto che le ho scritte istintivamente ed esprimendo quello che sentivo. Ho sempre paragonato la canzone ad un corpo, un bel corpo, che può essere vestito sia da sera che da mattina. Può avere diversi styling, ma sostanzialmente rimane bello. Ecco, io credo che la musica sia il contenuto, mentre tutto ciò che gira “intorno” alla musica sia la stoffa del vestito.

 

Ed ora, dovendo lavorare a materiale inedito, quale tipo di “sarta” ci troveremo di fronte, quale stile o stilista ti sta affascinando ora?

Sono in bilico tra echi rock, valvolari, energici e sonorità più morbide. Ho già pronti sei o sette brani, divisi a metà tra queste due anime. Non ho ancora bene in mente quale direzione prenderà tutto il nuovo lavoro. So per certo che in questo momento mi sto divertendo molto. Con Max Gazzè, per esempio. È un ‘complice’ che condivide molte mie sensazioni sulla musica. Ci divertiamo a rifare brani dei Ricchi e Poveri oppure di Al Bano e Romina. Ci piace ripescare alcune cose tipiche della musica italiana e rivestirle di arrangiamenti particolari.

 

È appena uscito un libro-biografia, hai ricevuto importanti riconoscimenti, ora un disco live. Possiamo azzardare che sei nel bel mezzo di una svolta, di una presa di coscienza di ciò che hai fato finora. Qualche rimpianto o cose di cui vai particolarmente fiera?

Sono fiera di aver avuto al mio fianco, fin dall’inizio, gli stessi collaboratori. Si è instaurato un rapporto sincero di amicizia, anche al di fuori del lavoro. Massimo Roccaforte, Salvo Di Stefano, Santi Pulvirenti, Maurizio Roccaforte, sono parte della mia “famiglia”. Non mi sento mai sola, sono un contraltare molto importante. Più in generale sono soddisfatta di tutte le mie scelte, anche se non penso che sia necessario esserlo di tutte. Diciamo che non ho rimpianti. Da ogni situazione negativa ho sempre cercato di coglierne il lato che mi facesse crescere.

 

Se anziché leggere una tua intervista su una rivista di musica leggessimo di te su un periodico più glamour, forse sapremmo più cose della tua vita privata… È risaputo ormai, che oltre ad aver “colpito” nel segno delle sette note, hai mosso l’attenzione anche di altri settori, extra-musicali, come la moda o riviste dedite a scavare meglio nell’immagine pubblica. Ti da fastidio questa curiosità, a volte morbosa, oppure no?

Mi piacerebbe rispondere con particolari piccanti… Che fossero reali, però. Ma in realtà la mia vita è abbastanza ordinaria. Dovessi scrivere una mia biografia, la troverei noiosa. La cosa che più mi eccita è il riuscire a cucinare gli involtini di melanzane con la mozzarella filante e riuscire a portarli in tavola prima che la mozzarella stessa si indurisca. La mia grande passione, dopo la musica, è proprio la cucina. Passo ore e ore a scrivere ricette. Amo la tranquillità famigliare, condividere momenti di serenità con amici, parenti e persone care. Mi verrebbe da dire che avrei vissuto bene nell’800: casa, famiglia, figli e focolare in campagna. L’unico elemento di trasgressione della mia vita, forse, è la musica. E anche nel vestire, quando mi muovo nel mondo dello spettacolo, non dico che mi travesto, ma di certo faccio cose che a S.Giovanni La Punta - il paese da cui provengo - non farei. Mi piace giocare con la mia immagine, travestirmi come una bimba davanti ad uno specchio...

Come quella volta a Sanremo…

Già, fu proprio divertente. Durante l’ultima mia partecipazione al festival comprai una parrucca bionda ed andai in giro fingendomi Anna Oxa…

 

Spostiamoci di pochi chilometri. Parlaci un po’ della tua esperienza in terra francese…

Con i miei collaboratori più stretti ci siamo detti: “perché non ci prendiamo un furgoncino e ce ne andiamo a suonare in Europa?” Per fare questo, però, c’era bisogno che qualcuno pubblicasse un nostro disco. Tramite la Mercury e la Polygram francese la cosa prese forma. Andammo così in Francia e iniziarono i concerti. Prima Parigi, poi ad un Festival a Nizza, precedendo niente meno che Henri Salvador. Abbiamo iniziato dal “basso”, da posti piccoli e senza pretese e anche se ci vorrà molto tempo (o forse non riusciremo mai) a raccoglierne i frutti, sono sempre stata convinta che il vero modo di diffondere la propria musica sia quello di andare e di suonare. Anche davanti a dieci persone, rischiando ogni volta di dover ricominciare tutto da zero.

 

Un po’ di tempo fa, intervistandoti, ci parlasti di cinema, di come ti piaceva interpretare, quasi recitare, le tue canzoni. Ora eccoti sul set de ‘L’ultimo bacio’ un film che, grazie soprattutto al tuo video omonimo, hai contribuito ad ispirare. Come hai vissuto questa novità?

È stata una parentesi brevissima e penso che resterà unica e sola. È tutto così diverso. Io non sono mai stata, o quasi mai, un’interprete di cose altrui, cosa che invece è una prerogativa dell’attore. È un compito difficile. Devi diventare credibile, pur ripetendo dieci volte la stessa battuta. Puoi esserlo la prima volta, ma dopo rischi di perdere in spontaneità. Muccino, il regista, mi ha fatto ripetere all’infinito la mia “brevissima” battuta. Diceva che non ero “credibile”, che il messaggio non arrivava. In quella breve, ma intensa esclamazione, dovevo racchiudere non solo la parte verbale, ma anche e soprattutto la scena che mi stava intorno, quindi la delusione, la tristezza che il copione richiedeva. Un’esperienza che mi porta dire che di certo non inizierò a fare l’attrice…

 

Quindi non rischiamo di perdere Carmen Consoli musicista… Chiudiamo tornando alla musica, vorresti suonare qualche altro strumento, perderci delle ore, studiarlo, oppure è una componente del tuo percorso che non ti interessa?

Quasi tutti i giorni studio armonia, cerco di allenarmi scrivendo dettati musicali oppure esercizi di solfeggio. Ultimamente, più che su un altro strumento (comunque da qualche mese ho imbracciato il basso, così, per avere un’altra visione della struttura musicale) sto dedicandomi allo studio dell’armonia, alle chiavi dei diversi strumenti, alle scale musicali. Mi affascina molto il fatto che se ad un accordo semplice aggiungi una “sesta” o una “nona” possa diventare, di colpo, portatore di malinconia. Il solo spostamento di un semi-tono può determinare il modo dell’accordo, la sua atmosfera. Tutto questo è fantastico ed intrigante insieme. Diciamo anche che dopo quest’ultima esperienza a Taormina sono stata “costretta” ad approfondire questi temi, per poter dialogare meglio con quei musicisti di estrazione classica. Io ero abituata a dire frasi del tipo: “prova ad entrare nel secondo inciso”, con loro dovevi esprimerti con “provi ad intervenire alla 98esima battuta…”.

 

ACQUISTO E ABBONAMENTI | ARCHIVIO INTERVISTE