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Intervista con Valentino Tenco, dal n. 30, luglio 2003

 

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MIO FRATELLO CHE GUARD(AV)I IL MONDO

di Alberto Bazzurro

Quanto segue è il frutto di un pomeriggio a Recco, in casa Tenco. Quella di Valentino e Graziella, non più di Luigi, che pure vi aveva trascorso, magari un po’ di sfuggita, gli ultimi passaggi della sua troppo breve esistenza. Era la fine del 1986, e chi scrive stava preparando qualcosa che sarebbe poi uscito su un quotidiano genovese nel ventennale della morte di Luigi (il 27 gennaio 1987, quindi). Di quel pomeriggio, di quelle ore passate a parlare con Valentino Tenco, trovate qui il resoconto fedele. Fedele ma parziale. Ci è parso infatti il caso di spogliare quella pur preziosissima testimonianza di tutto quanto riferito alla morte di Luigi e a tutti i nodi, allora come ora mai completamente sciolti, che ne sono seguiti. Questo per un doppio ordine di motivi. In primo luogo perché di quella morte, della sua genesi e delle sue cause - anzi: della sua stessa natura - si è detto e scritto fin troppo, in particolare proprio in questi ultimi mesi, in cui si è arrivati a riaprire la cartella giudiziaria ad essa collegata, non si sa fino a che punto per la volontà di cercare una verità comunque tardiva se non del tutto improbabile, e quanto invece per le abili pressioni di chi di quella strana morte sanremese ha tutto l’interesse che non si smetta di parlare. Il secondo motivo riguarda invece specificatamente Valentino Tenco, il quale, dopo di allora, ha in parte mutato giudizi e valutazioni espresse quel pomeriggio, sempre alla ricerca com’era (lui sì) di un punto fermo. E ciò fino alla sua morte, avvenuta esattamente trent’anni dopo quella di Luigi, nel 1997.

Cominciamo col parlare di “scuola genovese”…

Tutte storie! Come si fa a parlare di “scuola” quando ci sono semplicemente dei ragazzi che si mettono a scrivere canzoni, senza nessun intento così speciale? Luigi, per esempio, ha iniziato veramente per caso. Fu un professore universitario, che passava l’estate in un hotel sopra a Stresa, a invitare lui e altri ragazzi che si dilettavano di musica (c’erano Reverberi, Gaber…) ad andare a suonare lassù. Fu lì - doveva essere il 1958 - che Luigi scrisse le sue prime canzoni. Le regalò tutte.

Che facoltà frequentava?

Ingegneria elettronica. Poi è passato a scienze politiche.

 

A che punto è arrivato?

Non lo ricordo di preciso. Comunque penso avesse l’intenzione di finire. La tiritera in casa nostra era: prima finisci, prendi un pezzo di carta, poi fai lo spazzino, il cantante, quello che vuoi. Per il momento togliti da questo giro. Noi siamo di origine contadina, e nella cultura contadina chi canta è un po’ come chi va a caccia, o per tartufi: non fa nulla di significativo, nella vita. Anche Luigi, in fondo, condivideva questa mentalità. In ogni caso ce l’aveva nel sangue. Una cosa di cui io mi sono sempre pentito, dopo la sua morte, è di non averlo seguito abbastanza nella musica, intenzionalmente, proprio perché sia io che nostra madre si voleva che finisse gli studi. Ci sembrava assurdo che ciò non accadesse, perché Luigi aveva una facilità di apprendimento straordinaria.

 

Che maturità aveva preso?

Scientifica, al Cassini di Genova, anche se gli ultimi due anni li aveva frequentati da privatista. Era fatto così: non era metodico.

 

Facciamo un passo indietro: come siete approdati dal Piemonte a Genova?

In tempo di guerra vivevamo a Ricaldone, a casa dei nonni. Devo dire che non abbiamo vissuto angosciosamente quegli anni. Eravamo una famiglia molto unita. Comunque subito dopo io sono venuto a studiare a Varazze, e Luigi, a cui era stato consigliato il mare per certi disturbi ghiandolari, veniva periodicamente a trovarmi. Da Varazze siamo poi passati a Sant’Ilario, sulla riviera opposta, vicino a Nervi. Da qui ci siamo poi trasferiti più in centro, verso la Foce, poi da altre parti, e infine qui a Recco.

Con quali fra i futuri cantautori Luigi legò per primo?


Direi Bruno Lauzi, che era suo compagno di classe. Quando si frequenta una scuola, un quartiere, si conosce un certo numero di persone. Bene: Luigi aveva la particolarità di legarsi soprattutto con chi aveva qualche problema - problemi interiori, intendo - vale a dire con chi di regola viene preso di mira, viene emarginato. Lui la pensava in maniera esattamente opposta: legava particolarmente con questo tipo di persone. Lauzi, per esempio, aveva il complesso della statura… Luigi sapeva lasciare in chi lo conosceva un’impronta speciale. Questo perché aveva una grande disponibilità verso il prossimo. Ogni problema che toccava qualcuno a lui vicino, lo colpiva nel profondo, come se lo riguardasse personalmente. Era lontano mille miglia dalla maggioranza dei suoi coetanei. Sono cose difficili da spiegare, e che non so fino a che punto chi ascolta soltanto le sue canzoni può cogliere.
Direi invece che sono cose che traspaiono piuttosto nitidamente da quanto ha scritto.
Non del tutto. Arriverei a dire che, sotto un certo profilo, Luigi era un predestinato. Per quanto posso aver capito io, nella vita era uno che o avrebbe fatto parlare molto di sé, in positivo (non necessariamente come cantante), o altrimenti sarebbe diventato lo scocciatore di turno. In ogni caso non era destinato a un’esistenza mediocre, perché aveva il coraggio di dire quello che pensava e di agire di conseguenza. Se ne infischiava dell’eventuale biasimo della gente. Era un personaggio pubblico, ma non amava esibirsi, anzi ne pativa. Non si è mai integrato nell’ambiente della canzone. Era troppo cosciente che è tutto un gran carrozzone. Aveva un rapporto un po’ speciale con Fabrizio De André, che certo di quel mondo non faceva minimamente parte. Quando recitò nel film ‘La cuccagna’, volle a tutti i costi inserirvi una sua versione di una canzone dell’amico, La ballata dell’eroe. Lui era così, l’ho già detto: mai dalla parte di chi detta legge. De André, all’epoca, non lo conosceva nessuno. Per quanto possa sembrare incredibile, e pur avendo una grande curiosità in proposito, io l’ho incontrato per la prima volta solo due anni fa, proprio al Premio Tenco. Mi ha detto cose su Luigi che non avevo mai sentito. Ovviamente mi ha fatto molto piacere: bé, guarda - mi sono detto - fra tanti almeno ce n’è uno che ha capito veramente Luigi, che ne riconosce il ruolo. Perché è vero che certi valori sarebbero emersi comunque, però è giusto riconoscere a Luigi un certo ruolo di apripista. È stato il primo a smuovere una data situazione di stallo. E si badi: non riteneva affatto di poter emergere in quel mondo, se non forse all’ultimo, quando capì che attraverso le canzoni si può arrivare a dire qualcosa alla gente. Perché una canzone possiede un’incisività tutta particolare.


Questa, del resto, sarebbe stata poi la funzione primaria di una certa canzone d’autore.


Per l’appunto. E in effetti, alla fine, Luigi scriveva canzoni - per me le sue migliori - di peso, tipo E se ci diranno, Li vidi tornare, che si riallacciano a Cara maestra, la prima del filone.

Che gli costò fra l’altro una lunga quarantena in RAI. Del resto, quelle pubblicate nel ’72 dalla Joker in “Ballate e canzoni” - Giornali femminili, Ballata della moda, Vita sociale, Vita familiare, eccetera - nemmeno poterono uscire su disco, con Luigi in vita.

Non solo: non furono neppure accettate dalla Siae, cosicché poi è toccato a me depositarle. Ma in quel disco ci sono anche canzoni di altri: Jannacci, De André, Dylan… Perché Luigi, quando qualcosa meritava veramente, si batteva per inciderlo, anche se non erano cose sue. Tornando agli inediti, ci sono altre canzoni che non gli furono mai pubblicate. Per esempio Padroni della terra. Non era ancora il tempo della cosiddetta canzone d’autore, come dicevamo. E comunque solo l’anno dopo la morte di Luigi, a Sanremo vinse Sergio Endrigo, un cantautore. Complesso di colpa? Certo è singolare, come coincidenza, anche se Endrigo non ha mai ammesso questa eventualità. Ecco perché io dico che a Luigi qualcosa devono. E invece è stata molto più spesso la gente comune a riconoscere il suo ruolo. Un grosso conforto, fin dall’inizio, sono state tutte le lettere arrivate dopo la sua morte. Anche per mia madre, che è venuta a mancare dieci anni dopo di lui.


È stato quindi l’ambiente musicale in sé a non rispondere com’era lecito attendersi.


Esattamente, tranne poche eccezioni. È innegabile, comunque, che i riconoscimenti più importanti siano arrivati quasi tutti dall’esterno. Mi piace qui menzionare per esempio il formidabile articolo scritto da Quasimodo subito dopo la morte di Luigi. Evidentemente quel mondo era più vicino alla sensibilità di mio fratello che non quello della canzone. Esistono due tipi di persone: quelli in buona fede e quelli in malafede. Ecco: spesso ho avuto la sensazione che certe cose - positive, intendo - scritte a proposito di Luigi non fossero sincere. Le si è scritte perché così doveva essere, quasi che non si potesse farne a meno. Non è una bella sensazione. Naturalmente ancora peggio è quando i giudizi sono negativi. Non mi riferisco ai giudizi artistici, che possono non farmi piacere ma che rispetto, ma a quando si è voluto giudicare mio fratello come individuo, alla luce di quella che è stata la sua fine. È un terreno troppo delicato, troppo personale, perché qualcuno possa permettersi di entrarci così, tanto per farlo. Prendiamo la Chiesa - e mi scuso se salto un po’ di palo in frasca - che pure nella sua storia ha delle pagine da far rabbrividire: come si potrà immaginare, dare a Luigi un funerale religioso, soprattutto all’epoca, costituiva un grosso problema. Per mia madre, però, era una cosa determinante. Noi abbiamo avuto la fortuna di trovare un prete che si è battuto per questo. “Signora - ha detto a mia madre - non si preoccupi: alla disperata vengo io a dire una messa per suo figlio, a casa, o in mezzo alla strada, se necessario”. Non a caso era considerato un po’ fuori dalla norma, uno di quelli che danno fastidio.


Qual era la posizione di Luigi nei confronti della religione?


Un po’ particolare, come in tutte le cose. Faccio un esempio: ci fu una volta in cui gli venne in mente di diventare un ciclista. Io gli comprai una bicicletta e lui tutte le mattine alle sei partiva e andava ad allenarsi. Un’altra volta iniziò a leggere una storia delle religioni, e lo colpì la figura di Sant’Ignazio di Loyola. Poi lesse un libro sull’Inquisizione di Spagna, e se avesse potuto i preti li avrebbe bruciati tutti. Si infervorava, non tollerava l’ingiustizia. Era fatto così. Da ragazzino, è chiaro, perché poi anche lui ha trovato un proprio equilibrio. Comunque nessuno in famiglia era particolarmente religioso, e presto a Luigi capitò di schierarsi ideologicamente con correnti sinistrorse - anche qui in modo un po’ a sé stante, per la verità - per cui i preti erano dei nemici. Ci fu comunque anche un momento in cui credo - ma fu solo una mia impressione - che, come capita a molti ragazzi, fu attratto dall’idea di farsi frate. Una cosa di poco conto, sia quel che sia. Insomma, per farla breve, Luigi non era un credente, ma neppure un anticlericale come spesso lo si dipinge. Era invece molto sensibile alle religioni, a tutte le religioni, che considerava sostanzialmente sullo stesso piano.

E nei confronti del militare?


Voleva fare l’obiettore di coscienza. C’è voluta tutta per convincerlo a partire. Si è arruolato in fanteria, a Firenze. Tutti gli volevano un gran bene, lo tenevano sempre in mezzo, perché non marciava al passo, non faceva niente, e gli altri lo coprivano. A militare ha vissuto però anche un’esperienza molto brutta, che gli lasciò un segno profondo dentro. C’era nostra madre che doveva essere operata d’urgenza in Svizzera, questione di vita o di morte. Qualcuno doveva accompagnarla. Mia moglie non aveva il passaporto, a me non lo timbravano perché anni addietro avevo suonato uno e mi ero dimenticato di farlo togliere dalle mie… note caratteristiche. Insomma: ci poteva andare solo Luigi, che il passaporto l’aveva. Fu così che andai in fretta e furia a parlare col comandante della caserma di Luigi, spiegandogli che era indispensabile che lo lasciasse andare, perché se nostra madre non era su il tal giorno, l’operazione saltava. Il colonnello fece chiamare Luigi. Gli chiese di mostrargli il passaporto. Luigi non ci pensò su due volte e glielo diede. “Bene, adesso questo lo tengo io - disse il colonnello - nessuna licenza”. Ora io so benissimo che per un militare ci sono dei problemi a espatriare, ma il caso era veramente eccezionale. E invece niente: non lo lasciarono nemmeno venire a casa a vedere sua madre per quella che poteva essere l’ultima volta. Perché i medici erano stati chiari: novantasette fagioli neri e tre bianchi. Bisogna mettere la mano nel sacco e tirare su. Per fortuna trovammo un’amica che accompagnò nostra madre, e tutto andò bene. Ma - ripeto - quell’esperienza lasciò un segno profondo in Luigi. Un certo suo antimilitarismo si deve anche a quello.

Come si sarebbe inserito nel fenomeno vero e proprio della canzone d’autore, una volta ratificata la sua esistenza “ufficiale”?

Non saprei neppure dire se avrebbe continuato a scriverne, di canzoni. Rimango dell’idea che per lui non fosse così basilare. Certo non avrebbe più scritto canzoni “piacevoli”. Perché ammettiamolo: quelle poche canzoni di Luigi che sono diventate dei bestsellers erano sì diverse dalla produzione media, ma non quanto le sue più vere. Penso a Mi sono innamorato di te, Ho capito che ti amo, Quando… Potevano piacere anche a un pubblico medio.
Tanto è vero che, in un’intervista, Luigi dichiarò, a proposito di Mi sono innamorato di te, che evidentemente doveva esserci qualcosa che non andava, se aveva incontrato così facilmente il gusto del pubblico.

Certo. Soprattutto alla fine, non gli importava più se una data canzone aveva o non aveva successo. Il successo era semplicemente un veicolo per arrivare a più gente possibile con un dato messaggio.
Tutto ciò, però, non si accorda con la decisione di andare a Sanremo.

Se è vero quanto mi risulta, Luigi è andato a Sanremo perché la sua casa discografica, la RCA, voleva a tutti i costi portarci Dalida. Sembra che le abbiano inviato, su una lacca, due provini. Non canzoni di Luigi. Sul retro della lacca, però, c’era incisa Li vidi tornare, cioè la prima versione di Ciao amore ciao, con lo stesso refrain e strofe diverse. Dalida si intestò che o andava a Sanremo con quel pezzo, o niente. Il coinvolgimento di Luigi come secondo interprete è stato ancora successivo: lui non ci voleva andare per niente, al punto da proporre a un suo amico, uno che cantava per diletto ma che in realtà lavorava alla Fiat, di andarci al posto suo…! Quando appariva in TV, quasi si vergognava, con noi di casa. Nostra madre in particolare non lo poteva vedere in quella veste. Gli sembrava sprecato, privo di uno scopo, di una funzione reale nella vita.

Come si poneva di fronte alla creazione di una canzone?


Non era metodico, come in tutto. Io, per esempio, non l’ho mai visto mettersi alla scrivania e scrivere una canzone. Secondo me buttava giù un testo quando gli veniva. Ne ho ancora qualcuno sparso, con cancellature, correzioni…


Quindi nascevano prima i testi delle musiche?


Sì, perché Luigi dava molta più importanza al testo che alla musica. Non scriveva mai tanto per scrivere: ogni canzone rispecchia un determinato momento della sua vita.


Parliamo un attimo degli inediti: mi risulta che in casa ne abbiate parecchi, ma che siate molto restii a divulgarli.


È vero, di materiale inedito ne abbiamo molto. Alcune cose sono di un livello e di una fattura che consiglierebbero la divulgazione, però noi abbiamo sempre pensato che se Luigi non aveva pubblicato questo o quel pezzo doveva esserci un motivo. Magari lo avrebbe fatto quanto prima, ma noi non possiamo sapere quale brano sì e quale no. Ormai aveva raggiunto una propria collocazione, e posso dire che, se credeva veramente in una canzone, la pubblicava. Ne aveva la possibilità, intendo dire. Quando la RCA lo mise sotto contratto, non credo si aspettasse da lui un fatturato da capogiro. Penso invece che lo prese un po’ come un fiore all’occhiello. Tutto ciò è dimostrato dagli ultimi pezzi pubblicati da Luigi - Io sono uno, E se ci diranno, Ognuno è libero - che sono molto diretti, espliciti, cose che certamente qualche anno prima avrebbe incontrato molte difficoltà a farsi pubblicare. Quindi io resto dell’idea che se quello che è rimasto in casa non era ancora uscito quando Luigi è mancato, non tocca a noi cambiare questo stato di cose. E poi mi sembrerebbe quasi di voler speculare su di lui. Un discorso un po’ diverso riguarda canzoni precedenti che non gli furono pubblicate nel periodo Ricordi. Ho già citato Padroni della terra, ma c’è ad esempio anche una canzone scritta poco dopo la morte di John Kennedy in cui Luigi mostra di aver capito cose sulla famiglia Kennedy che il mondo avrebbe compreso solo molto più tardi. Certe contraddizioni, intendo dire, che lui già denunciava allora. È evidente che in quel momento la canzone fu respinta vigorosamente. Sia quel che sia, il materiale di nastri che possediamo è ingente, e voglio trovare una volta o l’altra il tempo di ascoltarlo e riordinarlo tutto.

E di altro, cosa conservate di Luigi?


Un sacco di cose. Tanti suoi libri, per esempio, lettere scritte o ricevute, anche abbozzi di canzoni buttati giù su qualche foglietto volante. A volte ci capita anche di dare un piccolo ricordo a gente che ci viene a trovare. C’è stato chi è venuto qui in viaggio di nozze, magari da molto lontano. Come fai a rimandarli indietro a mani vuote?

 

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