Andrea
Mirò
Non il solito live-riempitivo. Piuttosto un cd
propedeutico. Farebbero bene a mandarlo a memoria i poveri di spirito
cantautorale che popolano le consorterie televisive del nostro scontento. Andrea
Mirò è in stato di grazia e nel disco si vede e si sente. Ispirata,
eclettica, una e trina - voce, chitarra e tastiere -, capace di coniugare
refrain dall'aria pop e incisi che rimandano alla sua estrazione classica.
Azzardare il rock, quindi stemperarlo in toni più morbidi, sorretti da una
tecnica che basta a se stessa. E a volte riesce persino a fare a meno
dell'orchestra (ascoltare, per credere, le splendide versioni acustiche di Notte
di Praga e La scelta di Silvia). Il disco si apre sotto
l'egida doc di Enrico Ruggeri, chiamato al duetto in Nessuno tocchi
Caino (qualcuno ne confronti il peso specifico con il dittico vincente
di Sanremo e poi ci faccia sapere se il Festival è o no una cosa seria). La
musicista piemontese procede in scioltezza con gambe e voce proprie,
attraversando tre brani inediti, interamente scritti da lei (L'uomo di
metallo, Io cambio, Le ali del soldato) e i
restanti undici, testimonianza dell'aria che tira ai suoi concerti. Il supporto
dei ruggeriani Luigi Schiavone (chitarre) e Davide Brambilla
(fisarmonica) concorre alla resa degli ottimi arrangiamenti, che si misurano con
gli originali senza stravolgere. La scaletta rende giustizia a quanto fin qui
espresso dalla Mirò. Con un sentito omaggio alla deandreiana Un giudice.
Troppo zucchero per una recensione? Troppa grazia, invece, per un disco solo.
Visti i tempi che corrono, poi.
Mario
Bonanno
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