Regolamenti FJJI 1924 e FILG 1927

 

 

Secondo il regolamento della Federazione Jiu-Jitsuista Italiana (1924) i praticanti si dividevano in Maestri (cintura nera), Esperti (blu) e Lottatori (bianca), distinti in professionisti e dilettanti. Si diveniva Maestro o Esperto, abilitati all'insegnamento e all'arbitraggio, superando gli esami annuali banditi dalla FJJI.

Cinque erano le categorie di peso: piuma (fino a 60 kg), leggeri (fino a 70), medi (fino a 80), medio-massimi (fino a 90), massimi (oltre 90). Gli incontri dovevano disputarsi tra atleti aventi la stessa qualifica e peso, e solo i professionisti potevano mettere in palio il titolo in combattimenti al di fuori delle gare organizzate annualmente dalla Federazione. Gli incontri, sia tra dilettanti che tra professionisti, si disputavano in tre riprese, con intervalli di due minuti, di durata complessiva non superiore a trenta minuti. Risultava vincitore chi si aggiudicava almeno due riprese, ma l'arbitro poteva sospendere il combattimento per resa o manifesta inferiorità tecnica di uno dei contendenti.

La materassina, «imbottita di lana, crino o segatura», misurava non meno di 4 metri per lato (con spazio libero circostante di almeno 1 metro) e appoggiava su pavimenti di legno. Gli atleti indossavano la casacca bianca e i calzoncini. Erano facoltative le calze e le ginocchiere elastiche, vietate le scarpe.

Per effettuare il saluto, obbligatorio «all'inizio del primo assalto e al termine dell'ultimo», gli avversari si disponevano agli angoli opposti della materassina, appoggiavano sul tappeto le mani e il ginocchio destro, quindi eseguivano un inchino con la testa; in caso di sfida, lo sfidante batteva la mano destra sul tappeto.

Proiezioni e immobilizzazioni erano valide solo se effettuate all'interno della materassina. Il regolamento vietava le prese alle dita di mani e piedi, nonché i colpi con qualsiasi parte del corpo, ma consentiva strangolamenti «con gli avambracci, con le gambe e con i baveri», oltre a compressioni con le gambe «ai fianchi, all'addome ed allo stomaco».

Le sanzioni disciplinari consistevano in: ammonizione, sospensione fino a due mesi, sospensione fino a sei mesi, espulsione.

 

Secondo le norme dello statuto-regolamento approvato nel 1927 i praticanti furono divisi in Maestri Arbitri (cintura nera), Esperti Arbitri (blu), Lottatori professionisti (rossa) e Lottatori dilettanti (bianca).

Le categorie di peso divennero sei: minimi, piuma, leggeri, medi, medio-massimi e massimi. Il combattimento poteva essere «semplice» o «vero». Il primo consisteva «nell'atterrare con un colpo o controcolpo il proprio contendente facendogli toccare anche una spalla sul tappeto, oppure tenerlo immobilizzato con una o tutte e due le spalle allo stesso per 30 minuti secondi». Il combattimento «vero», in più, consentiva strangolamenti e leve «da qualsiasi posizione». La durata dei combattimenti, sempre in tre riprese con intervalli di due minuti, fu ridotta a 15 minuti per i dilettanti e 21 minuti per i professionisti.

L'ultimo articolo del regolamento stabiliva che ogni incontro fosse improntato «al più alto senso cavalleresco e, più che una dimostrazione di forza, doveva essere lo sfoggio dell’intelligenza e della tecnica acquisita nel metodo».

 

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Lo statuto-regolamento della FAI approvato dal CONI nel gennaio 1933, per la lotta giapponese prevedeva le stesse norme del 1927. Va tuttavia rilevato un cambiamento importante: il termine «Jiu-Jitsu Jùdò» era stato sostituito dal semplice «Jùdò».

 

 


 

 

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