Joseph Halevi

Il liberismo non paga

Un anno fa, con Matteuzzi, scrivemmo su il manifesto della crisi argentina, sia dell'epicentro che allora era la città di Salta ove il governo provinciale non voleva pagare gli stipendi, sia delle richieste di tagli imposte dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi), notando che non avrebbero minimamente cambiato la situazione, anzi l'avrebbero aggravata. La crisi argentina infatti deriva dalla priorità assoluta assegnata alla stabilità monetaria piuttosto che all'occupazione ed agli investimenti. Nel passato, al fine di ottenere la credibilità dei mercati finanziari, data la prolungata esperienza iperinflazionistica, le autorità decisero di legare strettamente la moneta nazionale al dollaro introducendo il sistema del "currency board". In pratica ciò significava sottomettere la politica monetaria nazionale al flusso di dollari in entrata. Inizialmente tale innovazione creò uno stato di euforia economica. L'ancoraggio al dollaro indusse una rivalutazione reale del peso e con essa una formidabile espansione delle importazioni. A soffrirne fu la bilancia dei pagamenti dove si aprì una voragine incolmabile. Le privatizzazioni stimolarono l'afflusso di capitali i quali servirirono a colmare il crescente deficit nei conti correnti.

A questo punto però entrano in scena altri fattori. Il primo è il cosiddetto rischio associato alla maniera in cui la storia di ciascun paese è percepita dai mercati finanziari. Nel caso dell'Argentina con il suo passato inflazionistico, al fattore rischio veniva assegnato un punteggio elevato. I mercati finanziari volevano simultaneamente beneficiare, con l'appoggio completo del Tesoro Usa - di cui il Fmi non è che il braccio armato banditesco - delle privatizzazioni e cautelarsi contro il rischio assegnato al paese. Ergo, tassi di interesse alti che diventavano ancora piu elevati man mano che si faceva strada la convinzione che il deficit nella bilancia dei pagamenti non poteva riequilibrarsi. Inoltre la crisi finaziaria del Brasile nel 1998 - che assorbe il 30% delle esportazioni argentine - e la svalutazione del real tolsero ogni illusione alla possibilità di curare gradualmente il deficit estero. I mercati rivalutarono nuovamente il rischio facendo innalzare ulteriormente il tasso di interesse. Di fronte a tale situazione il peso del deficit estero e dell'onere finanziario venne fatto ricadere, come prescrivono le ricette del Fmi, sulla spesa pubblica. Ancora nel 2000 il deficit pubblico non era eccessivo, circa il 3% del Pil ed era attivo una volta tolti gli interessi. Ma era comunque il settore su cui incombeva il peso dell'aggiustamento finanziario. Si arriva così ai negoziati dell'autunno 2000 condotti a nome dl Fmi dall'italiana Teresa Ter-Minassian e che sfociano nell'eliminazione delle pensioni pubbliche. Da allora le cose non hanno fatto che peggiorare. Si è arrivati al punto che il blocco della spesa imposta dal superministro con poteri speciali Cavallo, ha obbligato provincie come quella del Plata ad emettere, per effettuare i propri pagamenti, banconote locali a circolazione locale.

Contemporanemente però la privatizzazione delle pensioni pubbliche mostra il legame di classe che esiste tra i centri finanziari locali e le politiche del tesoro americano e del Fmi. E' stato il governo argentino a chiedere al Fmi di includere la misura nel pacchetto, non volendo accollarsene la responsabilità di fronte al Congresso nazionale e alla popolazione. La privatizzazione delle pensioni ha comportato il loro trasferimento ai fondi privati che si tengono una commissione di gestione del 30%, per poi riprestare i soldi delle pensioni al governo a saggi di interesse elevatissimi. Capito?

La privatizzazione-liberalizzione dell'economia ha creato debolezze permamenti, ora esplose nella crisi sociale. E' stata colpita la produzione locale provocando capacità produttiva inutilizzata e deindustrializzazione ed è stata facilitata l'esportazione dei profitti delle società multinazionali. Ma Washington e Fmi non demordono. The Washington Post di ieri riportava che per mantenere il paese in riga e fargli pagare i debiti ai creditori-speculatari esteri malgrado la crisi, il Fmi aveva deciso all'inizio di dicembre di sospendere l'erogazione di 1 miliardo e 300milioni di dollari. Ecco cos'è in realtà il Fondo monetario: l'espressione usaraia del Tesoro Usa, buono solo a esigere il pagamento di debiti generati dalle sue stesse politiche in combutta con le società finanziarie nazionali e mondiali. Dal Messico all'Albania, dall'Asia alla Russia, al Brasile, alla Turchia ed Argentina. Ora la crisi del liberismo economico riesplode nel pieno della guerra di "Libertà duratura".

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