Gianni Minà, il manifesto 21.12.2001

Un paese spolpato

Adesso che l'Argentina è sull'orlo dell'insurrezione e i mercati internazionali aspettano a breve quello che viene definito il default, il collasso di questo paese che, meno di cinquant'anni fa, rappresentava la "terra promessa" per tanti emigranti, vorrei che i famosi organismi finanziari che da sempre ci impartiscono lezioni sulla indiscutibilità del modello economico capitalista (e con loro la grande stampa e tanti prestigiosi opinionisti televisivi) avessero finalmente il pudore di dichiarare il fallimento delle loro certezze sul primato del modello economico neoliberale. Anzi, il suo tramonto - come è avvenuto, dodici anni fa, per il comunismo.

L'Argentina grande come un terzo dell'Europa, con poco meno di 40 milioni di abitanti, ricca di tutto (minerali, petrolio, ogni tipo di cultura, allevamenti, riserve biogenetiche) è infatti drammaticamente sull'orlo della povertà più nera, spolpata prima da governi militari corrotti dove tutti i generali della giunta avevano sempre, come minimo, un posto nei consigli di amministrazione delle multinazionali nordamericane, e poi definitivamente disintegrate dalle privatizzazioni avvenute durante i due mandati del presidente Menem che non ha solo tradito i suoi elettori peronisti attenti al sociale, ma ha messo in vendita l'intero paese a prezzi di liquidazione. Un'operazione di saldi che ha favorito una colossale corruzione e l'arroganza di una classe di potere che ha dato vita a un regime non a caso definito "menemismo".

Gli argentini, obbligati, negli ultimi dieci anni, a rispettare come soldatini le ricette economiche del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale vivono così ora in un paese che non è più loro. Il petrolio e il gas sono degli Stati uniti. La telefonia è degli italiani. La compagnia aerea di bandiera, l'Aereolinas, venduta alla Iberia spagnola pur essendo, quando era statale, in attivo, è stata fatta fallire, dopo vari passaggi di proprietà, dall'ultimo padrone, una finanziaria, e non esiste più. Così l'Argentina, un paese australe con l'esigenza vitale di comunicare con il mondo non ha più un vettore nazionale e avendo nel frattempo "tagliato" molte tratte ferroviarie perché non remunerative, fa ora vivere ai propri cittadini disagi da inizio secolo per raggiungere certe località mentre è costretta, per il trasporto aereo, ad adeguarsi alle esigenze operative di alcune compagnie straniere.

E' la logica perversa del neoliberismo dove lo stato, ormai ostaggio della finanza speculativa, tutela solo una categoria piccola e privilegiata di cittadini. Il gruppo francese Carrefour che, con il 30 per cento è attualmente il leader in Argentina della grande distribuzione, con 22 ipermercati, 130 supermercati e 227 negozi hard discount ha chiuso per esempio ieri tutti i suoi punti vendita preoccupato dagli assalti della gente alle tiendas di alimentari al grido di "abbiamo fame". Se la deriva sociale continuerà, la Carrefour non potrà fare altro che andarsene lasciando in ginocchio un paese che in pochi anni ha visto scomparire buona parte del piccolo commercio.

Domingo Cavallo, superministro dell'economia che proprio dieci anni fa, nel 1991, quando era nel governo Menem, equiparando il peso argentino al dollaro statunitense ha dato inizio ad un decadimento sociale che ora ci accorgiamo essere senza fine, si è dimesso dopo aver fallito il suo compito di presunto risolutore dell'emergenza. Un compito che il governo di centro-sinistra del radicale De la Rua ha ereditato, un anno fa, da Menem. De la Rua, accettando le dimissioni di Cavallo, come già aveva fatto con quelle di José Luis Machinea e di Ricardo Lopez Murphy, che lo avevano preceduto senza successo alla guida dell'economia, ha sancito anche l'inadeguatezza del suo governo progressista che, con un autogol senza precedenti, aveva pensato, nella primavera scorsa, di tirarsi fuori dalle sabbie mobili della bancarotta richiamando il più neoliberista degli ex ministri del governo peronista. Quel Cavallo che, dopo essere stato consulente della giunta militare, aveva portato, prima di litigare con Menem, la disoccupazione alla cifra record del 20 per cento. Una cifra mai più diminuita e che corrisponde a 3 milioni e 400mila persone senza lavoro. Nel disperato governo di De la Rua, Cavallo, uomo del Fondo monetario internazionale, aveva pieni poteri, perfino quello di creare o sopprimere ministeri o di diminuire, come ha fatto impunemente, gli stipendi statali del 20 per cento. I risultati della sua gestione sono davanti a tutti. E anche la debacle della sinistra quando crede di adeguarsi ai tempi e di essere moderna sposando le sciagurate scelte liberiste imposte da organismi economici internazionali come Fondo monetario e Banca mondiale.

Ora che i morti, mentre scriviamo, sono già 14 e centinaia i feriti nella repressione decisa dalla polizia argentina per bloccare questa incontenibile "battaglia per il pane" di quello che fu un paese leader del continente, il Fondo monetario si sveglia e fa sapere "di essere in ansia". Proprio il Fondo monetario le cui "ricette" hanno salassato l'Argentina.

Non stupisce invece che Berlusconi esprimendo la stessa preoccupazione afferma che il suo governo cercherà di dare una mano all'Argentina non solo perché "ci sono là molti italiani che rappresentano il nostro paese in modo operoso", ma anche perché l'Argentina "ha sviluppato politiche nelle sedi internazionali molto vicine all'Italia". Sono le famose politiche neoliberali che hanno annichilito la patria di Gardel, Borges, Piazzolla, Maradona e anche di tutti quei figli e nipoti di emigranti italiani che adesso, per ironia della storia, chiedono di fare il cammino inverso dei loro nonni e dei loro padri costretti fino a quarant'anni fa a partire dall'Italia per cercare nella terra del Rio della Plata e delle pampas un modo per sopravvivere.

Ma evidentemente Berlusconi non se n'è accorto. Non ci sorprende. Ora che l'Argentina brucia, così come a luglio quando il movimento antiglobal chiedeva di farsi ascoltare a Genova, c'è chi sostiene che quello che sta accadendo è il risultato "di un piano premeditato di agitatori professionisti". Purtroppo sappiamo che non è così e l'Argentina è solo la punta di un iceberg, quello di una umanità con le spalle al muro.

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