Rossana Rossanda, il manifesto 9.10.2001

Alla cieca

Non ce l'aspettavamo. Non ci aspettavamo che due boeing fossero scagliati contro le torri gemelle di New York, pieni di gente da far morire e guidati da gente decisa a morire, metafora gigantesca della tecnica che si autodistrugge, messa in atto per vulnerare gli Stati Uniti.
Non ci aspettavamo, scrive ieri Bernardo Valli, che bin Laden, emaciato e visionario, mandasse in onda appena scattata l'operazione americana sulla sua rete tv al Jazeera, un video girato in anticipo per dire che con l'attentato alle torri era iniziata la guerra santa contro gli Stati Uniti e le dirigenze arabe corrotte, aggiungendo crudelmente che ora l'Occidente prova quello che noi proviamo da ottant'anni.

Non ce lo aspettavamo che un fondamentalismo, roba da paesi terzi, usasse sapientemente capitali, tecniche di comunicazione, reti di intelligence, servizi e infine i media, come se non avessimo predicato a destra e a sinistra che la tecnologia cambiava anche possibilità, condizioni e perfino soggetti del conflitto.
E ancora, non ce lo aspettavamo - dicono i più - perché non siamo mostri e bin Laden lo è. Semplicissimo, perché farla lunga, è un terrorista, punto, distruggiamo il terrorista, punto. Altri non si aspettavano una così enorme "operazione di polizia internazionale" - una guerra che pretende di non esserlo contro una guerra che non lo è ma pretende di esserlo - perché chi può temere una banda di talebani? Altri ancora non cessano di stupirsi dell'insorgenza fondamentalista dopo dieci anni che intonano il lamento funebre sulla fine della ragione e consegnano l'etica alle religioni.

Forse è il momento di stupirsi di meno e interrogarsi di più sulle ferite del mondo. Sembra averlo fatto più dell'Europa l'amministrazione Bush, stretta fra la necessità conclamata di far vendetta e il ragionevole timore di non riuscire a infliggere una punizione decisiva all'ex alleato, ora nemico, dal perimetro incerto, dalla collocazione fluida e trasversale, con troppi punti di appoggio e troppi focolai. Gli Usa hanno cercato il massimo delle coperture internazionali - in Europa le hanno avute gratis - perché non escludono affatto che bin Laden non sia facilmente acchiappabile e se anche lo fosse non sono certi che quel terrorismo finirebbe con lui; secondo, perché temono che i bombardamenti dell'Afghanistan siano di scarso valore strategico ma, colpendo quella sciagurata popolazione, inneschino una ulteriore ondata antiamericana, mettendo in pericolo le deboli e non amate dirigenze dei paesi arabi che definiamo "moderati", primo il Pakistan; terzo, perché cominciano a chiedersi se al miliardario saudita bin Laden non prema, più che la Palestina e i luoghi santi, un rovesciamento dei poteri e delle alleanze internazionali a Ryad, chiave per il possesso del petrolio e quindi decisivo per pesare sull'economia mondiale. 

Non è la prima volta che gli Stati Uniti hanno puntato sulla carta sbagliata, come con l'Iraq contro l'Iran. E tardi si accorgono di essere stati imprudenti nel dare per anni una copertura alla destra israeliana, ormai poco docile, invece che far rispettare a Israele la decisione delle Nazioni Unite per il rientro nei confini del 1967: nell'infinito succedersi di negoziati più o meno fitti e di autentici fatti compiuti, è stato indebolito Arafat ed è stata alimentata Hamas. Adesso spegnere l'incendio è ancora più difficile sia in Israele, sia fra i palestinesi, sia in tutta la regione.
Il tentativo di far passare la rappresaglia e la messa in guardia del mondo arabo per un sostegno a una "liberazione" dell'Afghanistan dai talebani indica l'ampiezza della preoccupazione americana. Ma non è detto che l'operazione riesca, malgrado l'aiuto di Putin: l'Afghanistan è immenso, impervio, è una trappola, i talebani sono stati addestrati, e il tempo è poco prima che esplodano altre polveriere. E anche se l'immensa superiorità delle armi riuscisse a vincere a Kabul, sarebbe finita? Sgomenta che nessuna riflessione sui nodi avvelenati del mondo arabo venga avanzata in Europa. Sgomenta non solo che per l'Italia parli un Berlusconi, che perfino Bush preferisce tener fuori, ma che tutto l'Ulivo parli come il premier, e tutti i Ds, nessuna mozione esclusa, tutti pronti ad andare in guerra. Domenica un popolo marcerà fra Perugia e Assisi, ma tolte le esili forze di Rifondazione comunista, Pdci e Verdi, chi ne tradurrà in politica l'esigenza di fermare le armi e di lavorare almeno per spezzoni alle condizioni della pace?

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