Dieci
tesi sulla persona
(10 Thesen über die Person)
Viktor
E. Frankl
Come
introduzione ad un dibattito, che ebbe luogo nel 1950 all'interno
delle Salzburger Hochschulwochen ed al quale partecipavano Ildefons
Betschart (Salzburg), Alois Dempf (München) e Leo Gabriel (Wien),
Frankl presentò "10 tesi sulla persona". Il testo, apparso per la
prima volta nel volume Logos und Existenz. Drei Vorträge (Amandus,
Wien 1951, pp. 47-64), fu dall'autore modificato e pubblicato nel
volume Der Wille zum Sinn. Ausgewählte Vorträge über Logotherapie
(Verlag Hans Huber, Bern-Stuttgart-Wien 1972, pp. 108-118). Sulla
base di questa seconda redazione è stata condotta da Eugenio Fizzotti
la traduzione italiana, che viene qui presentata. |
Parlare
della persona vuol dire, involontariamente, rifarsi a un altro concetto
che si intreccia con essa: il concetto di "individuo". Ed è appunto
da tale concetto che vorrei prendere le mosse nel presentare, schematicamente,
dieci tesi sulla persona.
1.
La persona è un individuo
La persona è indivisibile, non ammette
partizione, non può essere suddivisa né scissa, e questo semplicemente
perché è una unità. Neppure la cosiddetta schizofrenia, la dissociazione
mentale, porta in effetti a una divisione della persona. Anche in riferimento
a certi altri stati patologici non si parla mai in clinica psichiatrica
di divisione della personalità. Neppure si parla oggi di «double
conscience», quanto piuttosto di consapevolezza alternante
(o multipla). Senza dubbio, quando coniò il termine schizofrenia, Bleuler
non aveva dinanzi a sé l'immagine di una persona divisa, quanto piuttosto
quella della dissociazione di certi complessi associativi: una possibilità
alla quale si credeva in un periodo in cui si era in balìa della dottrina
associazionistica.
2.
La persona è insommabile
La persona non soltanto non può essere
divisa, ma neppure può essere amalgamata, e questo per il fatto che
non è solo unità, ma anche totalità. In quanto tale, è anche impossibile
che essa si risolva completamente in classificazioni più inclusive,
quali ad esempio la massa, la classe o la razza: tutte queste "unità"
o "totalità", che rappresentano gerarchie nelle quali l'uomo è inglobato,
non sono entità personali, ma tutt'al più pseudopersonali. L'uomo, che
crede di assimilarsi ad esse, in realtà si perde in esse; facendosi
"assorbire" da esse, abbandona del tutto se stesso come persona.
Al contrario l'organico, in contrapposizione
alla persona, può essere sia diviso che amalgamato. Per lo meno ciò
è quanto ci hanno insegnato e dimostrato i noti esperimenti di H. Driesch,
da lui condotti con le uova dei ricci di mare. Anzi, c'è di più: la
divisione e la capacità di fusione sono condizioni e presupposti della
riproduzione. Da questo si deduce, né più né meno, che la persona, come
tale, non può riprodurre se stessa; solo l'organismo si riproduce e
si propaga a partire dall'organismo dei genitori; la persona invece
- lo spirito personale, l'esistenza spirituale - non può essere propagata
dall'uomo.
3.
Ogni persona è un essere assolutamente nuovo
Pensiamoci un momento: il padre, post
coitum, pesa un paio di grammi in meno e la madre, post partum,
pesa qualche chilo in meno. Lo spirito, invece, dimostra di essere davvero
imponderabile. Quando, infatti, con la nascita di un figlio viene alla
luce un nuovo spirito, diventano forse per ciò stesso i genitori più
poveri a livello di spirito? Quando un figlio appare come un nuovo "tu",
- un'essenza nuova cioè che può dire a se stesso "io" - vuole forse
dire che i genitori, rivolgendosi a se stessi e dicendo "io", lo fanno
in misura inferiore rispetto a prima? In ogni persona che viene al mondo
è un novum assoluto che è posto in esistenza, che diviene reale;
infatti l'esistenza spirituale non può riprodursi, non può essere trasmessa
dai genitori al figlio. L'unica cosa che può essere riprodotta sono
i mattoni, ma non certo il costruttore.
4.
La persona è spirituale
Il che vuol dire che la persona spirituale si trova in contrapposizione
euristica e facoltativa con l'organismo psicofisico. Quest'ultimo, infatti,
è l'insieme degli organi, dei dispositivi strumentali. La funzione,
cioè il compito che l'organismo deve attuare per la persona che lo sostiene
(e che da esso è sostenuta), è fondamentalmente strumentale e solo successivamente
espressiva: la persona infatti necessita del suo organismo per agire
e per potersi esprimere. Inteso in questo senso come strumento, l'organismo
costituisce un mezzo per un fine e, come tale, ha un valore funzionale.
Il concetto opposto a quello utilitaristico è quello di dignità che,
appartenendo soltanto alla persona, le compete per natura, indipendentemente
da ogni utilità vitale e sociale.
Solo chi non considera questo e lo dimentica
può ritenere giustificabile l'eutanasia. Chi infatti è cosciente della
dignità incondizionata di ogni persona ha assoluto rispetto per la persona
umana, e quindi anche per il malato, persino quando è incurabile sia
fisicamente che psichicamente. In realtà, non esistono malati "nello
spirito", giacché lo spirito, ossia la persona spirituale, non può ammalarsi
e rimane là, dietro la psicosi, anche quando è a mala pena "visibile"
all'occhio dello psichiatra. In qualche occasione ho definito ciò come
il credo psichiatrico, una fede cioè nella permanenza della persona
spirituale anche dietro la sintomatologia manifesta dell'affezione psicotica;
giacché, se così non fosse, non meriterebbe affatto la pena che il medico
rimettesse a posto, "riparandolo", l'organismo psicofisico. Per l'appunto:
chi vede solamente questo organismo e perde di vista la persona che
lo sostiene sarà pronto a far fuori con l'eutanasia l'organismo che
non può più essere riparato, dal momento che non ha più alcun valore
d'uso. Egli infatti non sa proprio nulla dell'incondizionata dignità
della persona. La concezione medica, rappresentata da un operatore sanitario
che la pensa in tale modo, è piuttosto quella di un médicin technicien;
e un tale médicin technicien tradisce, con il suo modo di pensare,
la considerazione del malato come homme machine.
Il fatto, però, di coinvolgere unicamente
l'organismo psicofisico, e non la persona spirituale, non riguarda solo
la malattia, bensì anche il trattamento. Questo va detto a proposito
del problema della leucotomia. Il bisturi del chirurgo - oggi si direbbe
dello psicochirurgo - non riesce infatti a raggiungere la persona spirituale.
Quello che la leucotomia può conseguire (o causare) è una sola cosa:
influenzare le condizioni psicofisiche alle quali è sottoposta la persona
spirituale. E nel caso che l'intervento di cui si parla fosse proprio
indicato, le condizioni à la longue miglioreranno. Così la prescrizione
di un tale intervento dipende dal calcolo che si può fare tra il male
minore e il male maggiore; bisogna infatti considerare se l'handicap
che potrebbe derivare dall'intervento chirurgico sia minore di quello
causato dalla malattia. Solo allora si giustifica l'intervento. Infine
rientra in tutto l'agire medico l'inevitabile necessità di sacrificarsi,
di pagare, per così dire, con un male minore, così da rendere meno pesanti
i condizionamenti tra i quali la persona, non più limitata e costretta
dalla psicosi, possa realizzarsi e raggiungere la pienezza.
Una delle mie pazienti aveva sofferto
di una grave malattia compulsiva ed era stata trattata per molti anni
non solo con la psicoanalisi e con la psicologia individuale, ma anche
con insulina, cardiazol ed elettroschock, senza però alcun risultato
positivo(1). A quel punto, dopo gli inutili tentativi
psicoterapeutici, le consigliai la leucotomia, che ebbe un esito sorprendente.
Ma lasciamo parlare la paziente stessa: «Mi sento molto, molto
meglio; ora posso nuovamente lavorare come al tempo in cui ero sana.
Le idee ossessive restano, ma posso difendermi da loro. Prima, ad esempio,
non riuscivo a leggere per l'enorme compulsione; ero costretta a leggere
ogni cosa una decina di volte. Ora non ho più bisogno di ripetere niente».
Cosa capitò ai suoi interessi artistici, di cui alcuni autori dicono
che spariscono? «Finalmente mi è di nuovo tornato un grande interesse
per la musica». E per quanto riguarda l'interesse etico? L'ammalata
mostra una notevole compartecipazione e, proprio grazie a un tale sentimento,
esprime un solo desiderio: che anche altri, ammalati come lo era lei,
possano essere ugualmente aiutati a guarire! Alla domanda se si sentiva
in un certo modo cambiata, ella risponde: «Io vivo ora in un altro
mondo. È qualcosa che non riesco però ad esprimere a parole. Prima non
c'era nessun mondo per me; vegetavo soltanto, non vivevo affatto; ero
troppo tormentata. Ora tutto questo è scomparso; il poco che ancora
emerge posso superarlo abbastanza facilmente». Pensa di essere
ancora "se stessa"? «Sono diventata un'altra». In che senso?
«Questa è di nuovo vita». Quando è tornata a essere se stessa?
«Dopo l'intervento chirurgico; ora tutto è più naturale di prima.
Prima c'era solo la compulsione, tutto ciò che esisteva era per me ossessione;
ora va tutto bene, come deve essere. Ho trovato la strada del ritorno.
Prima dell'operazione non ero un essere umano, ma una calamità per l'umanità
e per me stessa. Anche gli altri ora mi dicono che sono completamente
diversa». Alla domanda precisa se avesse perso il suo proprio
"io", risponde: «L'"io" lo avevo perso; con l'intervento chirurgico
ho ritrovato me stessa, ho ritrovato la mia propria persona».
(Questa espressione era stata accuratamente evitata nelle domande precedenti).
Questa persona allora attraverso l'operazione aveva raggiunto lo stato
umano, era finalmente divenuta "se stessa"(2).
Ma non è solo la fisiologia a non attingere
la persona nella sua profondità. Neppure la psicologia ci riesce, per
lo meno quando scade nello psicologismo. Per poter scorgere la persona
da vicino o per lo meno in modo categoriale è necessaria una noologia.
Una volta si parlava di una "psicologia
senza anima". Ciò è stato superato da tempo. Ciononostante, alla psicologia
contemporanea non può essere risparmiato il rimprovero di essere il
più delle volte una "psicologia senza spirito". Questa psicologia "priva
di spirito" è, in quanto tale, non solo cieca dinanzi alla dignità della
persona e alla persona stessa, ma addirittura è cieca dinanzi ai valori,
quei valori che sono il corrispettivo mondano dell'essere personale:
il mondo del significato e dei valori in quanto cosmo. Essa è cieca
dinanzi al logos.
Lo psicologismo proietta i valori dall'ambito
dello spirituale al piano dello psichico - e qui essi diventano ambigui.
Su questo piano infatti - sia esso psicologico che patologico - non
si può fare alcuna distinzione tra le visioni di una Bernadette e le
allucinazioni di una qualsiasi isterica. Sono solito esemplificare questo
concetto a scopo didattico ai miei studenti, indicando loro che le proiezioni
circolari, in un piano bidimensionale, di una sfera, di un cilindro
e di un cono - tutti oggetti tridimensionali -, non permettono di distinguere
quale di essi rispettivamente ne sia la causa. Nella proiezione psicologica,
la coscienza si trasforma nel super-io e nell'introiezione dell'immagine
paterna; allo stesso modo Dio si trasforma nella proiezione di tale
immagine. In realtà, però, questa interpretazione psicoanalitica rappresenta
essa stessa una proiezione, una proiezione cioè psicologistica.
(1)
«Dopo tutti gli choc avevo dimenticato tutto, anche l'indirizzo
di casa? ma non la coazione».
(2) Secondo
Beringer, «in
certe circostanze, dopo aver cercato di eliminare, o per lo meno di
attenuare, l'effetto dei sintomi patologici, può apparire un nuovo spiegamento
di aspetti originari della personalità. Possono cioè nuovamente esplicarsi
la responsabilità e la coscienza, che prima erano state annullate dal
prevalere della psicosi. Secondo la mia esperienza è possibile che,
a seguito della leucotomia, la decisione, personale non diminuisca,
ma anzi venga rafforzata... L'istanza dominante e autoaffermativa dell'io,
incatenata e resa inefficace per effetto della psicosi o dei continui
anancasmi, viene per così dire liberata attraverso l'attenuarsi dei
sintomi patologici... Il resto sano dell'uomo raggiunge così nuovamente
un'autorealizzazione che con la congiura della malattia prima non era
possibile»
[Medizinische Klinik, 44 (1949), p. 854 e 856].
5.
La persona è esistenziale
Questo vuol dire che essa non è fattuale,
non appartiene al mondo della fattualità. L'uomo, in quanto persona,
non è un essere fattuale, ma un essere facoltativo; egli esiste in accordo
alle sue proprie possibilità, a favore delle quali o contro le quali
può decidersi. Ecco perché Jaspers ha definito l'uomo come un "essere
che decide".
Egli, infatti, decide sempre che cosa vuole essere nel prossimo istante.
E in quanto essere che decide si colloca in posizione diametralmente
opposta a quanto viene affermato dalla psicoanalisi, che evidenzia l'essere-spinto.
Essere-uomo - e non mi stanco mai di ripeterlo - è prima di tutto un
profondo e radicale essere-responsabile. Il che vuol anche dire in maniera
molto esplicita che è più del puro essere-libero: nella responsabilità,
infatti, è indicato il "per che cosa" della libertà umana, ossia ciò
per cui l'uomo è libero e per cui o contro cui egli si decide.
Diversamente dalla psicoanalisi, la persona
- secondo la prospettiva dell'analisi esistenziale, così come ho cercato
di tratteggiarla - non è determinata dai suoi impulsi, ma è orientata
verso un senso. Inoltre, mentre per la prospettiva psicoanalitica la
persona aspira al piacere, nell'ottica dell'analisi esistenziale essa
punta ai valori. Nella visione psicoanalitica dell'impulsività sessuale
(libido) e in quella della psicologia individuale del condizionamento
sociale (sentimento di comunità) noi non vediamo altro che una modalità
insufficiente di un fenomeno più originario: ossia dell'amore. L'amore,
infatti, è sempre una relazione tra un Io e un Tu. Di questa relazione,
invece, nell'ottica psicoanalitíca resta solo l'aspetto impulsivo, ossia
la sessualità, mentre nella prospettiva della psicologia individuale
permane una socialità ubiquitaria, che può essere in qualche modo identificata
con l'aspetto impersonale.
Se la psicoanalisi vede l'esistenza umana
come dominata da una "volontà di piacere", e la psicologia individuale
la vede come determinata da una "volontà di potenza", l'analisi esistenziale
da parte sua la vede guidata da una volontà di significato. Essa conosce
non solo una "lotta per l'esistenza" e, andando oltre, un "aiuto vicendevole".
Come afferma Peter Kropotkin, ma anche la ricerca del senso dell'esistenza
- e una partecipazione vicendevole in tale ricerca. Fondamentalmente
un tale aiuto è ciò che noi chiamiamo psicoterapia: essenzialmente essa
è una médicine de la personne, secondo l'espressione di Paul
Tournier. Ne deriva allora che nella psicoterapia non si ha a che fare
con una trasposizione a livello di dinamica affettiva o di energia istintiva,
ma piuttosto con una trasformazione esistenziale.
6.
La persona è espressione dell'io e non dell'impulso
Essa non sottostà alla dittatura dell'istinto,
quella dittatura che Freud aveva in mente allorché affermò che l'io
non è padrone in casa sua. La persona, l'io, non si lascia derivare
in alcun modo dall'istintivo, né dal punto di vista dinamico né da quello
genetico: il concetto di "impulsi dell'io" è in sé contraddittorio e
va quindi fermamente respinto. Con tutto ciò la persona - essa appunto
- è anche inconscia: e specificamente laddove ha le radici lo spirituale.
Proprio alla sua fonte essa è inconscia non solo in maniera facoltativa,
ma anche obbligatoria. All'origine, nella sua radicalità, lo spirito
è irriflesso e, in quanto tale, è una produzione puramente inconscia.
A questo punto è bene distinguere con estrema precisione tra inconscio
istintivo, con cui soltanto la psicoanalisi ha a che fare, e inconscio
spirituale. A quest'ultimo, alla spiritualità inconscia cioè, appartiene
però anche la fede inconscia, la religiosità inconscia, ossia una innata
relazione inconscia - e non raramente repressa - dell'uomo con la trascendenza.
Merito di C. G. Jung è stato proprio quello di aver chiarito questo
punto. L'errore che commise però fu quello di aver localizzato una tale
religiosità inconscia dove viene localizzata la sessualità inconscia:
nell'inconscio istintivo cioè, nella sfera impulsiva. Alla fede in Dio
e a Dio stesso io non vengo infatti spinto; devo piuttosto decidermi
per lui o contro di lui. La religiosità o è espressione dell'io o non
è nulla.
7.
La persona fonda l'unità e la totalità
La persona fonda l'unità e la totalità
psico-fisico-spirituale, che rappresenta l'essenza "uomo". Una tale
unità e totalità viene costituita, fondata e garantita dalla persona
e solo attraverso essa. Noi uomini conosciamo la persona spirituale
unicamente in coesistenza con il suo organismo psicofisico. L'uomo,
allora, rappresenta un punto di intersezione, un crocevia dei tre livelli
di esistenza: quello fisico, quello psichico e quello spirituale(3).
Questi livelli di esistenza non possono comunque essere separati l'uno
dall'altro, come ci hanno insegnato K. Jaspers e N. Hartmann. Sarebbe
perciò falso affermare che l'uomo "è composto" di fisico, psichico e
spirituale: egli infatti è unità e totalità. Piuttosto, all'interno
di tale unità e totalità la dimensione spirituale si contrappone alla
dimensione fisica e a quella psichica. Proprio in questo consiste ciò
che io ho definito "antagonismo psiconoetico". Mentre il parallelismo
psicofisico è obbligatorio, l'antagonismo psiconoetico è facoltativo:
è sempre solo una possibilità, un puro "potere" - un "potere" al quale
si può sempre appellare di nuovo; anzi, dal punto di vista medico si
deve fare appello ad esso. Vale infatti chiamare in campo la "forza
di reazione dello spirito" contro la psychofisis, che solo apparentemente
è vigorosa. Proprio perché la psicoterapia non può disattendere questo
appello, ho indicato ciò come il secondo credo, il credo psicoterapeutico:
la fede ossia nella capacità dello spirito nell'uomo di separarsi, in
ogni circostanza e a qualsiasi condizione, dallo psicofisico e di porsi
a opportuna distanza da esso. Se, in conseguenza del primo credo, quello
cioè psichiatrico, non valesse la pena "riparare" l'organismo psicofisico
- supposto che non sia la persona spirituale, rimasta integra nonostante
la sua malattia, ad attendere il ristabilimento -, così, in fedeltà
al secondo credo - supposto che non ci sia un antagonismo psiconoetico
-, non si potrebbe fare appello alla forza di reazione dello spirito
in contrapposizione allo psicofisico.
(3)
Come si parla di "livelli", si potrebbe ugualmente qui parlare di "dimensioni".
Se la dimensione spirituale appartiene solo e soltanto all'uomo, essa
è la dimensione propria dell'esistenza umana. Se, partendo dall'ambito
spirituale in cui l'uomo essenzialmente "è", si opera una proiezione
sul piano puramente psichico o fisico, non viene solo sacrificata "una"
dimensione, ma "la" dimensione specificamente umana. Secondo quanto
affermava Paracelso, «soltanto l'altezza dell'uomo è l'uomo».
8. La persona è dinamica
Proprio per il fatto che la persona può
distanziarsi e allontanarsi dallo psicofisico, fa la sua apparizione
lo spirituale. In quanto dinamica non dovremmo ipostatizzare la persona
spirituale e, di conseguenza, non potremmo neppure qualificarla come
sostanza, per lo meno non nel senso abituale del termine. Ex-sistere
vuol dire uscire da se stesso e confrontarsi con se stesso, e l'uomo
si confronta con se stesso allorché, in quanto persona spirituale, si
confronta con se stesso in quanto organismo psicofisico. Tale autodistanziamento
da se stesso in quanto organismo psicofisico costituisce la persona
spirituale in quanto tale, in quanto cioè spirituale. Solo quando l'uomo
si pone a confronto con se stesso, lo spirituale si distingue dallo
psicofisico.
9.
L'animale non è una persona
L'animale non è in grado di trascendersi
e di confrontarsi con se stesso. Esso non ha i requisiti per essere
persona: infatti non ha il mondo, ma ha solo l'ambiente. Se tentiamo
di estrapolare la relazione "animale-uomo" e quella "ambiente-mondo",
giungiamo al "sovra-mondo". Se volessimo evidenziare la relazione tra
il (ristretto) ambiente dell'animale e il (più ampio) mondo dell'uomo
e, successivamente, tra questo mondo e un (omnicomprensivo) sovra-mondo,
potrebbe venirci in aiuto il paragone della sezione aurea. In base ad
essa, infatti, la parte piccola sta a quella grande come quest'ultima
sta al tutto. Prendiamo, per esempio, una scimmia alla quale, a fini
sperimentali, vengano praticate delle dolorose iniezioni. Può forse
la scimmia comprendere la ragione della sua sofferenza? Partendo dal
suo ambiente, essa non è in grado di comprendere le intenzioni che guidano
l'uomo nei suoi esperimenti: il mondo, umano, il mondo del significato
e dei valori, non le è in alcun modo accessibile. Essa non può accostarvisi,
né penetrarlo nelle sue dimensioni. Stando così le cose, non dobbiamo
forse accettare che lo stesso mondo umano venga da parte sua superato
da un mondo non accessibile all'uomo, il cui significato, anzi il cui
"sovra-significato", può essere solo in grado di conferire significato
alle sue sofferenze? Come un animale, partendo dalla prospettiva del
suo proprio ambiente, può ben poco comprendere del più ampio mondo umano,
ugualmente poco l'uomo può afferrare il sovra-mondo, a meno che si collochi
in un'ottica diversa: nell'ottica cioè della fede. Un animale addomesticato
non riesce a comprendere le ragioni per le quali l'uomo lo utilizza.
Come potrebbe l'uomo sapere quale sovra-significato ha il mondo in quanto
totalità?
10.
La persona comprende se stessa solo dal punto di vista della trascendenza
Anzi: l'uomo è realmente uomo solo
nella misura in cui si comprende dal punto di vista della trascendenza.
Ugualmente egli è persona solo nella misura in cui viene personificato
dalla trascendenza: quando cioè in lui risuona e riecheggia l'appello
della trascendenza, un appello che va ascoltato solo nella coscienza.
Per la logoterapia la religione è e può
essere solo un oggetto, non una posizione su cui si attesti. La logoterapia
perciò deve muoversi su un terreno che sta al di qua della fede nella
rivelazione e la domanda di senso deve trovare risposta al di qua dello
scavare in una visione della vita e del mondo che sia o teistica o atea.
Se essa intende il fenomeno della credenza non come fede in Dio, ma
come una fede più comprensiva nel significato, allora è del tutto legittimata
a interessarsi e occuparsi del fenomeno del credere. Già Albert Einstein
affermò che chiedersi quale significato abbia la vita vuol dire essere
religioso.
Possiamo rappresentare il significato
come un muro dinanzi al quale è impossibile retrocedere. Bisogna solo
accettarlo. Non si può, infatti, procedere oltre nell'interrogare, perché
voler tentare di rispondere al quesito sul significato dell'essere presuppone
sempre che ci sia un significato. In breve, con il linguaggio di Kant
possiamo dire che la fede nel significato costituisce una categoria
trascendentale. Sempre da Kant noi sappiamo che non ha alcun senso voler
indagare oltre sulle categorie del tempo e dello spazio, perché non
è possibile pensare e quindi nemmeno indagare senza per questo presupporre
proprio lo spazio e il tempo. Lo stesso avviene nel nostro caso. L'essere
umano è sempre rivolto verso un significato, anche se lo conosce poco.
C'è, infatti, una certa pre-conoscenza del significato, e un presentimento
di esso è alla base di ciò che la logoterapia indica come "volontà di
significato". Che lo accetti o no, che sia vero o meno, l'uomo crede
sempre in un significato, finché egli vive. Anche il suicida crede in
un significato, se non della vita, della sua prosecuzione, almeno della
morte. Se non credesse in alcun significato, allora non potrebbe muovere
neppure un dito e già per questo non potrebbe neppure pensare al suicidio.
|