Psicoterapia
e visione del mondo. Per una critica radicale dei loro rapporti
(Psychotherapie
und Weltanschauung. Zur grundsätzlichen Kritik ihrer Beziehungen)
Viktor
E. Frankl
Pubblicato
nella Internationale Zeitschrift für Individualpsychologie,
3(1925), pp. 250-252.
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Avviene
spesso che un nevrotico con una determinata visione dell'uomo e del
mondo, con un sistema filosofico o con una concezione metafisico-religiosa
della vita, cerchi di giustificare il suo atteggiamento nei confronti
della vita, di se stesso e della comunità. Ogni psicologo moderno sa
bene che anche queste alte astrazioni, questi pensieri, questi filosofemi
e queste opinioni, in apparenza del tutto indipendenti da ogni affettività,
alla fin fine sono fondati, condizionati e fissati nella vita inconscia
dell'interessato.
Sappiamo che in tali circostanze è compito
della terapia rimuovere la sovrastruttura logica della visione dell'uomo
e del mondo insieme con l'infrastruttura affettiva della nevrosi: diversamente
l'ideologia affettiva perdurante offre facile terreno per un rinnovato
riprodursi della nevrosi. Nel contempo non dobbiamo però dimenticare
che in determinate circostanze sarà necessario prima di tutto aggredire
la sovrastruttura, togliendo così alla nevrosi il suo sostegno astratto
e le sue fissazioni, così da eliminarla più facilmente. Ciò sarà importante
per quegli individui particolarmente inclini ad argomentazioni concettualmente
contorte circa il proprio programma di vita, ma che possono essere annoverati
da un punto di vista intellettuale fra i migliori della società.
Nei loro confronti dovremo dunque agire
con controargomentazioni filosofiche, poiché ogni altro argomento risulta
inconsistente. Non si può infatti aiutare un pessimista, molto intelligente
e consapevole, consigliandogli di nutrirsi bene e di fare dello sport,
poiché tali argomenti, come del resto tutto ciò che riguarda la salute,
non toccano la sua filosofia. Piuttosto occorre per prima cosa influenzare
il suo criterio di giudizio, al fine di creare il terreno per un ulteriore
trattamento, ovvero la discutibilità della nevrosi!
Finché non abbiamo raggiunto un riconoscimento
di principio del valore della salute, della vita nel senso più ampio
quale valore massimo pensabile, non possiamo aspettarci che il nevrotico
filosofeggiante si interessi del modo patologico con il quale giudica.
Infatti non è detto che, naturalmente a priori, tutto quello
che non è "normale" è anche sbagliato o falso. Si può ben dire che Schopenhauer
ha osservato il mondo attraverso degli occhiali grigi e lo ha visto
nel modo giusto, mentre gli altri uomini normali avevano degli occhiali
rosa; in altre parole non fu la malinconia di Schopenhauer a rendere
illusorio il mondo, ma fu la volontà di vivere degli uomini sani a tenerli
prigionieri dell'illusione di un valore assoluto della vita.
Quel che qui urge è fondare criticamente
il trattamento del nevrotico intellettualistico, come pure la psicoterapia
in generale. Occorre aver chiaro in mente che il principio della psicoterapia
è essenzialmente etico, nel senso che valuta, e che ogni trattamento
si prefigge l'obiettivo della guarigione, e dunque ha in sé un valore
vitale. Al contempo non va ignorato che il presupposto della nostra
valutazione può solo essere essenzialmente critico. Infatti, i valori
non si possono dimostrare a priori. Quello che possiamo dimostrare -
e dobbiamo dimostrarlo al nevrotico che filosofeggia - è che tutto il
suo disprezzo per la vita, per il mondo, per la società è acritico e
quindi "invalido". Infatti, egli non fa altro che definire la vita priva
di valore, in quanto non la considera valida - ovvero la considera odiosa,
triste, dolorosa, perché la valuta negativamente - anche se in realtà
non lo fa, ma crede di farlo, come se la disprezzasse - per motivi che
l'analisi poi delineerà.
Non esistono valori assoluti indipendenti
da una volontà che valuti. Ecco perché il valore della vita non è mai
da dimostrare, ma solo da accettare. E va accettato perché altrimenti
alla fine non ci rimarrebbe nessun altro valore(1),
poiché nessun altro valore supremo è "possibile", perché dobbiamo accettare
la comunità come nostro compito primario della vita, perché tutti lo
fanno, per lo più senza saperlo e spesso confusi da opposta fede. Quest'ultimo
volere e dovere è il risultato di una riflessione semplice, e tuttavia
profonda ed efficace, nel senso di una "critica della conoscenza dei
valori" genuinamente filosofica.
Così noi possiamo indicare che i valori
non possono essere dimostrati ma solo voluti, ma anche che ognuno li
vuole intimamente. Ciò è più difficile in certe circostanze, come nel
caso della valutazione della comunità. Essa infatti non sempre è manifestamente
positiva (per esempio pensando ai criminali). Ma la critica ha un compito
anche qui facile: di farla capire , ovvero di renderla cosciente. Tali
considerazioni critiche sono state spesso già intraprese dal punto di
vista della psicologa individuale(2). Mi sia consentito,
a questo punto, avvalermi di un'immagine.
Due vecchi sono in punto di morte. Uno
dei due per tutta la vita è stato molto egoista, per lui ogni cosa aveva
un senso solo se riguardava la sua vita individuale. Ora che tutto sta
per finire nulla ha più senso. Al contrario, l'altro ha trovato il senso
della sua vita ed il proprio valore all'interno della comunità. Anche
adesso che sta per morire la vita gli appare piena di senso poiché è
collocata in un contesto sovraindividuale che non viene affatto intaccato
dall'annientamento del singolo. Mentre il primo vecchio ha sempre seguito
il motto: "cosa mi compro con questo?", e perciò ora l'intera vita gli
appare priva di senso, poiché non può affatto comprarla(3),
l'altro è interiormente appagato, non essendosi mai reso schiavo del
denaro. Nel suo caso non si può applicare il succitato motto, poiché
non fece mai nulla, né visse con l'idea di "comprare qualcosa"!
In margine a tali riflessioni vorrei ricordare
le parole di Spinoza (Ethica, pars V, propos. XLII ): Beatitudo non
est virtutis praemium, sed ipsa virtus. Cosa ci dice questo? La
felicità ed i valori sono un tutt'uno; oserei dire: un'unità biologica.
Il nevrotico può non essere felice perché non è affezionato alla vita,
la disprezza, la scredita, la odia. Compito dello psicoterapeuta allora
è quello di restituirgli in pienezza l'amore per la vita e per la comunità,
e ciò attraverso una discussione critica, in cui il senso della vita
e il valore della comunità risultano evidentemente non dimostrabili
ma dati, non perseguibili, ma già insiti nell'interesse personale; perché
la via che conduce alla felicità personale, alla soddisfazione, alla
"beatitudo", passa attraverso il senso di comunità, il coraggio
di vivere, la "virtus".
(1)
Vive, vale! Si quid novisti rectius istis, candidus imperti; si nil,
his utere mecum (Orazio).
(2) Cfr., fra gli altri, Gustav Richter, "Das Ich und die Umwelt",
Internationale Zeitschrift fur Individualpsychologie, III/3.
(3) Il concetto di "fine a se stesso" è giustificato al massimo come
"concetto-limite", ma non ha alcun valore pratico.
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