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"L'uomo invisibile", carta, farina, acqua, grafite, zucchero.dimensioni variabili 2003
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"L'uomo invisibile", carta, farina, acqua, grafite, zucchero.dimensioni variabili 2003
"L'uomo invisibile", carta, farina, acqua, grafite, zucchero.dimensioni variabili 2003Attraverso lo specchio......e quello che vi trovo'sottoveste


di Mariadonata Villa

Da dove nasce per te il fare arte?
Mi piace identificare la mia ricerca come "stand-by" di fronte alla paura. Sospensione in cui le cose si incontrano e si prefiggono appuntamenti "in avvenire". Da uno di questi incontri fortuiti ho conosciuto gli "oggetti d'affezione" che continuo ad incontrare.

C'è una necessità insita nel fare?
La fatica, che si ritaglia spazi al di fuori dell'economia del far poco e dell'esecuzione facile, c'e' l'aspetto manuale "medium" del lavoro, che vivo come momento magico nell'isolamento tra me e la cosa che presento. Un fare artigianale che ha una propria aura d'importanza rispetto ai manufatti, che ne subiscono le conseguenze in uno scambio di senso delle cose.

Che rapporto c'è fra te e le tue opere?
Disaffezione: cerco d'allontanarmi da esse il più possibile, cancellandone la memoria, per poi ritrovarle in ambiti diversi; un rapporto in apparenza superficiale, come se fossi costretta a comunicare in poco tempo solo attraverso la pelle, attraverso degli stereotipi.

Vedi uno sviluppo nella tua produzione recente? In che direzione?
Attualmente la considero come un manga per adolescenti, ragazzine alla presa con i sentimenti, la sessualità, piacevoli tabù dispiegati tra smile e icons, in cui avviene con gesto di disaffezione un congelamento ricco di imperfezioni tecniche. Imprecisioni alquanto ridicole, ma estremamente reali. Mi rendo conto, comunque, che questa è una definizione molto parziale del mio lavoro. E’ molto più difficile descrivere che fare.

Credi che abbia ancora senso, nei giorni confusi che viviamo, chiedere all'opera d'arte un significato?
Ti riporto alla prima domanda, in quello stato di stand-by di fronte alla paura, che è vissuto da me come work in progress, che ha come oggetto un’indagine senza significato ultimo, se non nell'effimero, o che comunque si e' decisamente perso. Questo arrestarsi un attimo prima della paura, che comunque sento, mette in moto il lavoro. Work in progress, perché mi interessa il processo più che la destinazione finale. Il lavoro per me è il rapporto fra me e l’opera mentre la eseguo.

Pensi di avere, come artista, un compito?
Tra l'affezione e la disaffezione di un oggetto c'e' il punto d'osservazione, l'idea. Sia come concezione di un’opera che come progetto. Al di là di tutti i media espressivi, il punto di vista dell’artista rimane centrale, fondamentale per la vita dell’opera.

15 maggio 2003

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Claudia Ascari è nata nel 1975
a Carpi (Mo) dove vive e lavora.