di
Luca Panaro
Come
in un diario fatto di immagini racconti la tua esistenza servendoti
della macchina fotografica come una compagna inseparabile, senza la
quale quelle piccole "Storie" che ci fanno gioire di essere
a questo mondo andrebbero perse per sempre. Cosa ti spinge a fare questo
reportage domestico?
La
macchina fotografica è veramente compagna fedele, è il
taccuino su cui trascrivo la mia vita. Non faccio altro che raccontare,
raccogliere, setacciare il reale: immersa in questo fiume veloce di
avvenimenti e avvistamenti come i cercatori doro sto sempre con
i piedi a bagno e con le mani nellacqua a tentare di trovare piccoli
frammenti doro, tracce di quel metallo prezioso che giace nel
fondo tra i sassi ed il fango. Mi piace definirmi "una fotografa
narrativa" perché raccontare è un modo per provare
la propria esistenza e quella altrui, è strappare territori alloblio,
lasciare un segno di quei sentimenti, di quei nomi, di quei dolori che
altrimenti affonderebbero inesorabili nel vuoto. Nominare le cose, i
luoghi, tenere un diario in cui con tratti bianchi e neri si delinea
una vita, la mia, con gli incontri che faccio, le persone che sfioro,
le città che attraverso
racconto ciò che è
più intimo convinta che proprio perché così personali
le mie storie possono essere universali, possono evocare ricordi, assonanze,
sentimenti comuni. Cerco ciò che di epico cè nel
quotidiano, di mitologico nel domestico, la salvezza che viene dal basso.
Italo Calvino, presentando il suo "Palomar", parlava della
volontà di recuperare un esercizio letterario caduto in disuso
e considerato inutile: la descrizione. Tu sembri fare lo stesso con
la fotografia. Come il Sig. Palomar, dietro ogni banalissima porzione
di realtà, sembri voler cercare la saggezza. E' così?
Descrivere è scegliere su cosa posare il proprio sguardo.
Il mio si muove in spazi abbastanza ristretti, spesso familiari, mi
guardo intorno e anche quando sono in viaggio cerco sempre dettagli
che evochino uno stato danimo, suggestioni, simboli. Delle stanze
dalbergo mi piace il solo essere vuote, fatte di poche cose, tutto
fa pensare al passaggio, sono spazi scarnificati. Lunico modo
per appropriarsene è scrivere una storia ambientata lì,
renderle mie, farne uno scenario irripetibile della mia vita. Ed amo
moltissimo entrare nelle case dei miei amici e fotografare i loro segni,
i loro oggetti, cercare questa specie di divinità del focolare
che le rende dimore di intimità. Tento sempre di raccogliere
il sale. Si dice piangere lacrime salate ma anche il sale della vita.
il sale è ciò che fa bene e fa male, è ciò
che ferisce e guarisce. Dà sapore, fa la differenza e per me
è quello che conta. Avvicinarmi alla realtà, anche se
dolorosa e lasciare che mi attraversi senza mediazioni, vivere senza
pelle. Cè una serie di foto che ho fatto a mio nonno in
ospedale. In quegli scatti cè sofferenza, malattia, paura.
Lì la fotografia è stata per me una specie di esorcismo,
mi ha aiutato non a liberarmi dal dolore ma ad attraversalo, a dargli
una forma. Raccontare aiuta a tenere lontana la morte, o forse a tenerla
così prossima a sè da rendere importante, fatale ogni
piccola banale porzione di realtà.
Riesci ad immaginare la tua vita senza la fotografia?
La risposta immediata sarebbe no. Ma poi se penso al mio rapporto
con la fotografia mi accorgo che è fatto di abbandoni e riprese,
di addii e riavvicinamenti. Sento di averne bisogno, un bisogno quasi
fisico. Come per la scrittura sento il fondo scuro di questa necessità,
la sua irrazionalità. E fuoco che arde le sue stesse ceneri.
La parola e la foto nascono quando grandi sentimenti mi attraversano.
Dolore, gioia, abbandono, desiderio. E come avere una cicatrice
scarlatta sui palmi che ogni tanto si riapre e allora lunica cura,
lunico rimedio possibile è tornare a tessere storie. Credo
di non poterne fare a meno. Ma so che cè un unico nutrimento
che alimenta il fuoco, un unico balsamo per la ferita - lamore
nello sguardo. Solo così gli occhi si fermano a guardare, solo
così provo quel tremore per la bellezza dellesistenza.
Se la realtà smettesse di commuovermi, se finisse di stupirmi,
non avrebbe senso fotografare.
Ricordi quando hai smesso di fare foto per convenzione e hai incominciato
a farle per convinzione?
Fotografo perché la fotografia è per me malattia e
guarigione, tormento e soluzione. Per passione, per mancanza, per necessità.
Con il cuore in gola o le lacrime agli occhi. Come se fosse unemergenza,
come se potesse salvarmi da chissà cosa. Né per convenzione
né per convinzione. Al più per fede - e come tutte le
fedi è più vicina alla follia che a una serie di buoni
motivi o di scelte misurate e soppesate. Smetterei di scrivere
versi volentieri e subito. Ma continua a formarsi di tanto in tanto
in me una sorta di ingorgo psichico che rivendica la sua espressione
e pretende il suo scioglimento: scrivo per non ammattire. Patrizia
Valduga. Sottoscrivo pienamente.
7
giugno 2003
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Alessandra Baldoni è nata nel 1976 a Perugia dove vive e lavora.
SCRIVERE
IL CURRICULUM
Cos'è necessario?
E'necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.
A prescindere da quanto si è vissuto
il curriculum deve essere breve.
E'd'obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
e ricordi incerti in date fisse.
Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.
Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all'estero.
L'appartenenza a un che,ma senza perché.
Onoreficenze senza motivazione.
Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
e ti evitassi.
Sorvola su cani,gatti,uccelli,
cianfrusaglie del passato,amici e sogni.
Meglio il prezzo che il valore
e il titolo che il contenuto.
Meglio il numero di scarpa,che non dove va
colui per cui ti scambiano.
Aggiungi una foto con l'orecchio scoperto.
E'la sua forma che conta,non ciò che sente.
Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che tritano la carta.
Wislawa Szymborska
"25 poesie"