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homePraga, 2003 Rua Muro, 2003


di Luca Panaro


Abitazioni deserte, dove l’assenza dell’uomo crea una sensazione di inquietante abbandono. Pochi oggetti, ma sempre ben ordinati, “vivono” nelle tue fotografie. Cosa vuoi esprimere con questo tuo ultimo silente progetto?
Le fotografie di questo progetto, sono state scattate tra il 1997 e il 2001, anni personalmente molto importanti che hanno sottolineato un percorso di ricerca interiore, stimolate da un bisogno di pulizia e rigore e cullate da un costante ”calore”. Per me queste immagini non sono inquietanti, semplicemente ripropongono la forza delle cose, esaltano le cose importanti della vita di ogni individuo e indicano la presenza discreta dell’uomo in un suo luogo di quotidiano vissuto. Anche i contesti segnati da un frettoloso passaggio umano possono colorarsi di una identità silenziosa attraverso qualcosa di personale capace di rendere un luogo comune, ”proprio” per quell’attimo che lo vivi.

Gli oggetti e i luoghi che documenti sembrano “raccontarci” la vita. E’ così?
Come dicevo prima, raccontano frammenti della mia vita e di chi mi sta vicino. Nei miei lavori c’è sempre qualcosa di autobiografico e c’è sempre un modo di essere; l’appartenenza a un mondo che in realtà sono i miei ricordi. Queste immagini sono l’archivio della mia memoria, semplici documenti di una atmosfera, che mi ha avvolto ed emozionato, mai di un luogo.

Cosa ti spinge a prendere la macchina fotografica e scaricare l’intero rullino su di un soggetto?
Da quando ho cominciato a fare fotografie, cioè dal 1990, mi sono chiesto più volte cosa cercavo nelle mie immagini; e la risposta l’ho trovata solo poco tempo fa. In questa nostra epoca di frettolosa noncuranza, dalla quale anche io nel quotidiano spesso vengo travolto a scapito della mia vera natura un po’ sognatrice, flemmatica ed idealista, la fotografia è diventata il mio modo privilegiato di vivere la realtà esterna aiutandomi a scoprire cose che normalmente si fatica a cogliere. E’ un momento intimo che a stento riesco a condividere con altre persone, è un mezzo per scoprire piccole storie, curiose personalità, luoghi incantati, sentimenti e paure: l’energia vitale. Forse è solo un modo per vedere quello che non c’è.

Parlaci del lavoro che ti ha dato maggiori soddisfazioni e che ritieni il tuo biglietto da visita…
La mia professione è la fotografia, intesa come strumento di comunicazione; è difficile e riduttivo parlare solo di un lavoro, bisognerebbe analizzare tutto il percorso che ho fatto in questi anni per tracciare la mia ”identità fotografica”, ma se devo pensare alle soddisfazioni, la prima è senz’altro l’essere stato invitato a Toulouse (Francia) per una mostra ”la Photographie Italienne Contemporaine” , è stato per me un riconoscimento molto importante e a cui tengo molto.

24 agosto 2003

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Vanni Borghi è nato a Carpi, svolge la professione di fotografo dal 1990, alternandola da sempre alla ricerca personale, che trae spunto dal territorio in cui vive.