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Ronzii, 2003
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di Patrizia Silingardi


Il tuo è un lavoro nel quale le finitezze del disegno accademico si prestano a descrivere il rapimento infantile per le piccole cose. Il ricordo e le sconosciute meraviglie del prato. E’ questo l’immaginario che ha inspirato il tuo progetto installativo?
Abito in campagna da sempre. E’ il mio mondo privato e accogliente. Divento insetto ogni volta che in religioso silenzio mi fermo a guardarne uno. Divento formica quando ne vedo una fagocitante e frettolosa nel far provviste e vorrei essere coccinella quando le vedo scivolare sulle rotondità di una mela come minute macchine da corsa, sono mosca quando m’incanto dei loro cerimoniali di pulizia sul vetro di una porta, ape quando m’immagino ricoperta di polline a buttarmi sui fiori di campo, vespa se intendo pungere, maggiolino rovesciato se mi sento incapace, farfalla se ho voglia di librarmi sulle note di una canzone.

Quello che più mi colpisce di tali presupposti è che sembra avvenuta una sorta di complicata e infantile empatia...
Credo che questo sia un mondo meraviglioso che da sempre ci sta accanto e che per colpa della caotica quotidianità molto spesso lo si trascura. E’ un universo parallelo e vicino, così vicino che nemmeno lo si riesce a vedere. Il mio è uno sguardo affettuoso, un tentativo di rendere i dovuti omaggi alle meraviglie del prato attraverso una catalogazione “ufficiosa” e fiabesca di piccoli ritratti svolazzanti.

Decretare l’importanza del proprio background recuperando il perduto senso di meraviglia – mirabilia, per intenderci meglio - significa discostarsi dall’attualità. Il passato e l’emozionalismo a ritroso sono dunque elementi fondamentali della tua opera?
In soffitta c’è una buona parte della mia infanzia e dunque della mia vita: i libri delle elementari dello zio, i vecchi blocchetti di ricevute di mio padre, le scatole dimenticate, i libri di filastrocche, i disegni, i polverosi Topolino del 1968. Poi ci sono i vividi ricordi dei giochi sull’erba e il campo che ancora frequento assidua. Tutto questo è per me molto importante. Disegnare insetti su cartigli - astrarsi in questo modo dal presente - è solo un piccolo esempio di come sia possibile registrare nei modi dell’arte – sempre enfatici e rivelatori – le piccole emozioni e lo stupore della meraviglia. Il prato e la sua intima “conservazione” emozionale è lo spunto da cui nasce questo lavoro. Ogni insetto è una mostruosa meraviglia. Se ci si sofferma ad osservare è impossibile rimanere indifferenti alle sublimi minuzie di quei piccoli corpi: ali iridescenti e vellutate, zampette seghettate, protesi e antenne articolate come minuscole colonne vertebrali. Oltre a questa fascinazione e al personale diletto per il disegno, molta importanza hanno avuto le illustrazioni delle fiabe, le tavole didattiche e la presentazione museale del mondo dell’entomologia. Mi piacerebbe che ogni disegno – da considerarsi come frammento compositivo di uno spazio incantato – sembrasse una “ragnatela” di segni complicati. Prima d’ogni altra cosa.


26 agosto 2003

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Francesca Cavani è nata nel 1973 a Modena dove vive e lavora.