di
Luca Panaro
"Welcome
to Librino" è il titolo di questa serie di lavori e visto
che ci dai il "benvenuto" non ti resta che fare gli onori
di casa...
La scelta del luogo Librino nasce dall'opportunità di affiancare
un progetto artistico-culturale dell'Associazione Fiumara d'Arte, rappresentata
dal suo fondatore e mecenate Antonio Presti, il cui fine è quello
di ridare centralità e, aggiungerei, dignità ad una grande
periferia di Catania caratterizzata da forti e laceranti contrasti sociali
e non solo. L'idea di creare, negli anni '60, una città satellite
derivava dall'esigenza di espandere i confini della città di
Catania e trovò un possibile luogo nella immediata e ampia periferia
che fino all'Ottocento accoglieva ancora i poderi di varie famiglie
aristocratiche del luogo. L'urbanizzazione dell'area venne affidata
ad una delle massime figure di quel tempo e cioè a Kenzo Tange
di Tokio che aveva pianificato e progettato una nuova area omogenea
sia su un piano tecnologico che culturale. Il risultato, disconosciuto
dallo stesso urbanista, è l'incompletezza e quindi la disomogeneità
strutturale del progetto iniziale. Ciò che doveva essere una
nuova e moderna dimensione urbana del vivere, diventa invece la premessa
per una separazione culturale del ceto meno abbiente che si ammassa
in Librino in quartieri ghetto. Cosa cattura, però, il mio interesse?
Appunto l'idea del ghetto. In un'area geografica del mondo, la Sicilia,
lontana dallo stile e dall'atmosfera delle grandi metropoli, Librino
appare al sottoscritto come una grande periferia con una connotazione
architettonica pseudo-metropolitana che mi da lo spunto per parlare
ancora della Sicilia in termini di contemporaneità.
Muovendoti in punta di piedi per le strade deserte di Librino, non
sembri voler gridare a squarciagola il tuo astio per tanta "bruttura",
ma rivolgi semplicemente, senza tanti clamori, uno sguardo silente sulla
realtà. Spiegaci il perchè di questa scelta?
Quando mi sono trovato a Librino per la prima volta, non fu subito
facile capire come muoversi, come visitare il luogo. E allora mi ricordai
di un sacerdote la cui parrocchia è in una zona del grande quartiere
e decisi di andarlo a trovare. In pratica fu lui a farmi da cicerone
e grazie a lui cominciai ad immaginare il modo di interpretare fotograficamente
quel luogo. Sono molto attratto dal paesaggio, più che dalla
gente. In pratica penso al paesaggio come se fosse una persona e cerco
quindi di trarre i tratti salienti, ciò che maggiormente lo caratterizza.
Come si nota dalle foto, Librino sembra addirittura non abitato, vuoto,
un luogo abbandonato anche se è l'opposto di quanto appena detto.
E' una città nella città, con una popolazione di circa
90.000 individui. Lo sguardo è sì silente ma eloquente:
palazzi sventrati, altri mai finiti ma iper-affollati, altri completi
e a rischio di barbarie, grandi arterie stradali finite ma non ancora
fruibili, enormi piazze vuote e campi di calcio aridi. Sentivo però
il desiderio, incoraggiato dal mio amico sacerdote, di dare a tutto
ciò un senso estetico immaginato, una sorta di trasfigurazione
del luogo. E allora pensai di sfruttare le grandi geometrie dei palazzi
ed in genere del luogo attarverso una, mi auguro, equilibrata distribuzione
delle linee verticali ed orizzontali e operando anche su una caratteristica
intrinseca del mezzo fotografico, cioè la luce, e quindi sulla
densità dei colori. Il risultato è anche una "apertura
sul cielo" e quindi verso qualcosa di leggero di spirituale in
contrapposizione alla stridente matericità sottostante.
"Come trarre gioia e voglia di vivere dall'assenza di bellezza
paesaggistica" (?). Questa affermazione l'hai usata a presentazione
dei tuoi lavori, vediamo di aggiungere un punto interrogativo finale
e di dare risposta ad una domanda che non chiedeva altro che essere
tale.
Subito dopo tale affermazione nella presentazione segue però
una sintetica, ma per me importante, considerazione a conclusione del
mio lavoro fotografico. Cito me stesso: "La risposta sta nel fatto
che l'armonia è certo più rasserenante della bruttura
e della mancanza di forma estetica, ma le vicende ed i travagli dell'uomo
rappresentano sempre la premessa, l'humus". I travagli citati sono
ovviamente quelli dell'uomo ghettizzato che vive questa periferia ed,
in generale, le periferie del mondo e provo a rivelarlo attraverso una
ricerca fotografica che vuole essere una riflessione su quella che è
la realtà negata di quel luogo, ma anche su una realtà
ipotetica, un'apertura sul futuro.
24 aprile 2003
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Alfio Consoli è nato a Catania nel 1966. Vive e lavora a Modena.