di
Serena Goldoni
Gianmaria,
le fotografie esposte a Passaggi, fanno parte di un progetto
ben più ampio, Eravamo tutti uguali, articolato in
diverse sedi, che si è concentrato su una personale rivisitazione
dellesperienza partigiana nella nostra provincia. Sotto quale
punto di vista hai riflettuto su questo argomento?
Largomento
attraverso il quale risulta più semplice avvicinarsi alla mostra,
é luso politico della memoria. Ho immaginato un percorso
che, attraverso le tre sedi in cui é stato costruito levento,
Galleria Civica di Modena, Istituto Storico della Resistenza, Circolo
Alete Pagliani di Sassuolo, sviluppasse questo tema. Per prima cosa,
in Galleria Civica, attraverso una serie di fotografie, si poteva prendere
atto di come attorno al patrimonio della Resistenza ci sia stata una
forte strumentalizzazione. Ho immaginato in realtà, questo evento,
come una sorta di percorso alchemico che dalla constatazione
dei fatti, ci conducesse al recupero di unesperienza, di un pezzo
di storia che, leccessivo abuso politico ci ha sottratto. Tutta
la mostra è in realtà un invito a recuperare la nostra
storia, la storia raccontata, la storia delle persone comuni che lhanno
fatta e ad abbandonare quella ufficiale e politica, una concezione se
vuoi sentimentale a dispetto di unaltra più rigorosa ma
anche strumentalizzabile. In questo senso lintera operazione è
anche una riflessione sul significato dellutopia, sia nei rimandi
del titolo della mostra, Eravamo Tutti Uguali, cioè a quella
momentanea condizione di uguaglianza, dei due anni di Resistenza in
Italia, in cui le differenze sociali e di classe e le istanze di esclusione
si erano annullate, sia, come ti dicevo pocanzi, nel tentativo
di recuperare la storia raccontata a dispetto di quella politica.
AllIstituto Storico invece, attraverso una serie di interviste
audio, che ho fatto io stesso agli ex-partigiani, ed un video, ho tentato
di mettere in atto quella restituzione dellesperienza partigiana
di cui parlavamo prima e ho lavorato anche, specificatamente, sullo
spazio, sul suo significato. LIstituto è un luogo di memorie
ricchissimo, depositario della nostra storia locale contemporanea, vi
sono raccolti gli archivi del P.C.I. e della C.G.I.L., i documenti della
Repubblica di Montefiorino, i giornali locali dagli anni 30 fino
ai giorni nostri, un serbatoio enorme per la storia della città.
Mi sono subito reso conto, di come quel luogo, proprio perché
appartenente ad una certa cultura politica e ad un certo mondo, vivesse
una sua forma desclusione rispetto alla città, cosa che
lo rende luogo non vivo nonostante gli sforzi del direttore e dei suoi
collaboratori. Ho cercato di eliminare questa sorta di limbo culturale
su quel luogo, realizzando un evento darte, con tutti i significati
altri che questo comporta, proprio lì dentro. Credo fortemente
nella capacità dellarte contemporanea di spostare i significati
consolidati, di farsi luogo interstiziale e non codificato.
Infine, la parte che a livello umano mi ha dato maggiormente, proprio
perché partecipata dalle persone, è stata al Circolo Pagliani
di Borgo Venezia a Sassuolo. Devo dire che ho scoperto completamente
una generazione, che è poi quella dei nostri nonni, ho trovato
delle persone di grande semplicità, magari anche di bassa scolarizzazione
ma soprattutto di valori morali ed etici fortissimi. La consuetudine
alle cose, molto spesso, cimpedisce di comprenderle veramente.
Lì, se vuoi, ho fatto qualcosa di molto semplice, ho realizzato
un video legato al luogo in cui è stato ucciso, assieme ad altri
10, il partigiano che dà il nome al Circolo, Alete Pagliani appunto,
attorno al quale gran parte del lavoro è stato fatto. Avevo voglia
di dare qualcosa a questa gente che si é messa completamente
a disposizione e ho avuto la fortuna di trovare la casa dove è
accaduto il fatto, pressoché immutata rispetto a 60 anni fa.
Non ho fatto nientaltro che riprenderla con tutti i suoi rumori
e silenzi naturali, quelli della campagna, é come se avessi creato
una sorta di sospensione che rimanda al fatto storico e che è
rotta, verso la fine del film da alcuni spari che fungono da catalizzatore
e da accento al fatto stesso.
Ma laspetto più interessante che viene fuori da un agire
estetico di questo tipo è stata senzaltro la discussione
scaturita dalla visione del film. Io credo che il vero lavoro non fosse
tanto il video quanto laver coinvolto e reso partecipi le persone
in un progetto che le riguarda direttamente e che ci ha condotti insieme,
ad una riflessione e una presa di coscienza sui temi della mostra e
non solo. Immagina 70/80 persone tra giovani e vecchi che discutono
e fanno domande per più di unora, sui metodi di trasmissione
della memoria, che fanno una critica al film appena visto che si relazionano
e si pongono problemi, a mio avviso una tra le più belle discussioni
di estetica e di critica darte cui io abbia mai partecipato.
Rimanendo sulle fotografie esposte a Modena: gli ex-partigiani sono
stati ritratti con indosso magliette che riportano il loro volto, reso
come limmagine di Che-Guevara. Che cosa hai voluto sottolineare?
E perché hai voluto utilizzare come set il circolo Alete Pagliani
di Borgo Venezia a Sassuolo?
Come ti dicevo la parte di lavoro in Galleria Civica comportava,
ai fini del progetto, una denuncia. Si è trattato
quindi di compiere una piccola violenza su queste persone che hanno
80 anni e più, facendogli indossare le magliette con il loro
ritratto e fotografandoli in un vero set per più di unora.
Tutto questo mi è servito per mettere in evidenza, ovviamente
con una certa ironia, la violenza ben più grande che ha compiuto
la politica su queste persone. Sono stati trasformati in icone del nostro
tempo e attraverso questo processo si è perso e raffreddato il
significato politico, sociale, morale, etico e umano di quel momento.
Per quanto riguarda il Circolo mi è sembrato da subito un luogo
perfetto, ha per me una sua forma di bellezza e poi ancora una volta
è un luogo di una certa cultura, un luogo tipo che corrisponde
ad unidea che abbiamo di certi luoghi. Ci sono poi anche ovvie
ragioni logistiche, gran parte delle persone vivono attorno al circolo
o nelle immediate vicinanze, così una parte del lavoro è
risultata più semplice.
Tu hai lavorato spesso sul tema della memoria, molte volte legata
ad una sfera personale. Che importanza ha per te la memoria, e quale
significato acquista in una operazione come questa?
Marco Scotini, curatore della mostra, ha usato una metafora molto
azzeccata a proposito del mio procedere da un uso personale ad altro
di carattere sociale nelluso della memoria, gli anelli concentrici
di un albero.
Allinizio di questo progetto, in fase di riflessione, cercavo
un luogo che potesse definire una terra, mi sembrava che la Resistenza
e il Comunismo fossero due ottimi momenti per parlare dellEmilia.
La memoria nel mio lavoro è sempre legata allidentità,
non è mai il passato come luogo temporale, ma il passato come
luogo di definizione dellio come sua messa in crisi. Mi sono formato
negli anni 90, che sono stati caratterizzati dal crollo degli
ideali e come molti ho lavorato sulla ri-definizione dellio a
partire da una condizione che non permetteva più di dare certe
cose per date. La differenza tra il lavoro che facevo allora e che faccio
adesso sta nello sguardo che ha mutato prospettiva, rivolto allinterno
prima, verso lesterno adesso. Nel corso di questo lavoro pertanto
il legame affettivo e identitario con lEmilia ha lasciato il posto
al concetto di utopia, di ribellione, di uso politico della memoria.
16
maggio 2003
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Gianmaria Conti è nato a Sassuolo nel 1970.
Vive e lavora a Milano.