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di Mariadonata Villa

Poco fa, quando ti ho chiamato al telefono, eri al lavoro, e si sentiva, come di consueto, la robusta presenza di un sottofondo musicale. Che rapporto c’è tra la tua opera e la musica? C’è un rapporto tra la musica che ascolti e i tuoi lavori?
Quando lavoro ascolto sempre musica elettronica, oppure classica. M’interessa appoggiarmi sulla musica, non tanto per la carica che dà, ma per percepire l’andare di qualcosa, per abbandonarmi totalmente di fronte alla tela, liberare la mente dai pensieri. Si può dire che c’è un’analogia tra la musica e i miei lavori, anche se la relazione immediata non è così stretta o meccanica, nel senso che le accomuna una percezione dell’arte come un’energia fluida, come qualcosa che è nell’aria, come tentativo di fissare una nota sulla tela. Non faccio l’equivalente figurativo della nota, piuttosto fisso un flusso di pensieri, vivo il mio gesto artistico come il tentativo di esprimere qualcosa che vola via. Questo è il mio tentativo. In realtà, poi, quando dipingo magari succede un’altra cosa, e tutto è molto più prosaico di questo processo che ho descritto.

Quest’abbandono di cui parli è necessario per lasciare spazio ad altro?
Sì. E’ per trovare la mia realtà. Per me fare arte è prima di tutto un tentativo esistenziale. Lo faccio per esserci, per dire che ci sono, per entrare in comunione con quello che sento, che vedo. E’ un’azione quasi disperata, per lasciare un segno, una traccia. Questo va al di là della scelta dei soggetti. E’ il tentativo di lasciare impresso qualcosa di me.

Che rapporto hai col tuo lavoro?
Io ne ho bisogno per me, un bisogno – che si potrebbe pensare narcisistico - di dare senso alla mia vita. Col mio lavoro io posso cambiare la realtà, e nel mio lavoro cambia effettivamente la mia vita. Forse una parola chiave del mio lavoro è dispersione. Cerco di perdere l’io in quello che faccio…

…per ritrovarlo?
Probabilmente sì, non lo so. Cerco di lasciare una traccia. Cerco di dare il meglio abbandonandomi. Non vorrei che fosse preso banalmente o come un fatto di moda, ma mi appassiona molto la figura dello sciamano. E’ in questo, in fondo, che l’arte diventa vita, nel prenderla come un gioco, nel senso più antico del termine. In queste lotte che faccio con la tela sperimento le lotte della mia vita. Tu mi hai chiamato mentre stavo lavorando: io sono qui, nudo, protetto solo da una tuta e dalla musica. Sono in soggezione davanti alla tela bianca. E’ una lotta tremenda. Devi vincere la paura di sbagliare. Spesso inizio un quadro, poi ad un certo punto capisco che la strada non è più quella giusta. Sono molto selettivo sui miei lavori, ne faccio molti ma ne butto anche via tantissimi. Coi disegni è più semplice, sono come delle poesie; implicano meno fatica. Quando inizio a lavorare con le tele, ho un’idea di soggetto, che poi viene stravolta. E’ una casualità: ci sono punti nel lavoro che mi portano a qualcosa di nuovo, a cui mi lascio andare, per trovare qualcosa di più vero. Il quadro lo fa qualcosa che non sei tu.

Che rapporto hai con la realtà? Dove trovi l’ispirazione per i tuoi quadri?
Per me tutto il mondo è una tela. Prendo tutto dalla realtà. Sembra di dire una cosa fuori dal mondo, ma io provo un grande amore per quello che vedo, e per le mie immagini. Mi affascina molto uno come Piero della Francesca, che ha una concezione matematica dell’essere, della realtà, oppure uno come Giotto.

Ti senti una responsabilità nel fare arte?
Non credo che quello che faccio possa servire, ma, mentre lo faccio, lo faccio al meglio. C’è un senso da dare al mio lavoro, alla mia vita, che non sta nell’apprezzamento della gente. Per me fare arte non è un diletto, è una via. La responsabilità è quella di fare sul serio, di metterci dentro tutto. La responsabilità è come impegno, non come credere all’istituzione dell’Arte. Non mi sento vicino alle ricerche concettuali contemporanee, anche se ci sono cose grandissime che ammiro. Non amo troppo il marketing o la filosofia, nell’opera d’arte. Un’opera mi deve catturare lo sguardo ed il pensiero.

Senti di avere dei maestri?
Sì, tanti. Più che nel campo pittorico, mi hanno dato ispirazione di vita persone come Bob Wilson, Carmelo Bene, i maestri della musica elettronica, Philip Glass, Rossini, San Francesco, Dante. Ho bisogno di queste verifiche. Uno come Bacon… è straordinario. Grazie ad uno come lui posso fare una ricerca personale per arrivare ad una nuova ricerca. Cerco di vagliare tutto. Ritrarre una cosa come se la sentissi o la vedessi per la prima volta. Prima ti dicevo anche Giotto, Piero. La loro forza, per me, è stata quella di vagliare nuovamente il mondo conosciuto secondo la loro sensibilità. Questo è rivoluzionario.

19 maggio 2003

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Leonardo Greco è nato a Modena nel 1975.
Vive e lavora a Piumazzo di Castelfranco Emilia (Mo)