di Luca
Panaro
Iniziamo dalle "Le stanze di Berenice".
Cosa rappresentano questi fotogrammi?
Fanno parte di una serie di lavori che ho iniziato a Berlino e che mi
hanno fatto vincere il concorso Iceberg, promosso dal comune
di Bologna. Sempre con immagini della stessa serie ho anche partecipato
alla Biennale dei Giovani Artisti a Roma. Il progetto nasce dalla
passione per i vecchi album fotografici comprati nei mercatini dell'usato.
Album che racchiudono vite umane, attimi quotidiani di persone anonime,
il cui ricordo fotografico è stato abbandonato. Ho incominciato
così ad esporre queste foto, anche se in un primo momento il
lavoro mi sembrava troppo impersonale. Infatti andavo ad agire su fotografie
che parlavono di persone sconosciute, erano fotografie "oggetto",
ready-made.
Con "Le stanze di Berenice" invece sono passata dalle
fotografie "oggetto" a fotografare gli oggetti. Se prima riportavo
ad una sfera privata il materiale fotografico reperito in un luogo pubblico,
ora mostro pubblicamente oggetti appartenenti ai miei affetti famigliari.
Infatti "Le stanze di Berenice" sono le stanze appartenute
alla mia bisnonna Berenice, che sono state conservate dalla mia famiglia
come lei le aveva lasciate. Sono oggetti "sacri" che
evocano la memoria di Berenice. Attraverso queste "reliquie"
la mia bisnonna continua a vivere tra le pareti domestiche della sua
abitazione.
Parlami di "Catarsi".
E' stata una cosa folle. "Catarsi" è un'azione
performativa che ho realizzato a Modena qualche anno fa. Ho raccolto
tutte le mie foto - dal giorno della nascita fino a quelle scatte la
sera prima dell'esposizione - e poi le ho stracciate spargendole disordinatamente
sotto il portico.
Per quale motivo?
Lo scopo era quello di creare un' interazione con il pubblico, il
quale veniva invitato a ricomporre le immagini stracciate ricostruendo
la mia vita come se fosse un grande puzzle. Ogni immagine ricomposta
pazientemente veniva poi affissa alla parete.
Con il titolo "Catarsi" intendevi esprimere uno
sfogo liberatorio provocato dal rivedere le immagini del tuo passato?
Non esattamente. Catarsi sarebbe l'italianizzazione un pò
storpiata del termine dialettale "cateres", ovvero incontrarsi.
Le fotografia di famiglia sembrano essere il comune denominatore del
tuo lavoro. In "Retrò" (2001) hai esposto immagini
"trovate" delle quali hai mostrato il retro. In "Veil
of paper" (2002) hai posto l'attenzione sulle veline di tessuto
o di carta che proteggono le fotografie negli album. In "Cornici"
(2003), questo tuo ultimo progetto, su cosa hai voluto riflettere?
Questi
ultimi tre lavori si possono considerare una riflessione unica su ciò
che sta intorno alla fotografia, che la rende ricordo, feticcio delle
persone a cui appartiene. Le cornici, le foto incorniciate che si trovano
in ogni casa, sono pesanti nel loro essere, nel lavoro sono leggere
e friabili, di una consistenza quasi nulla, come unostia.
Carpi,
31 luglio 2003
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Elisa
Turchi è nata nel
1975 a Carpi dove vive e lavora.