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di
Piergiorgio Viti

La qualità più evidente dei tuoi lavori è il colore, un colore quasi "disturbato", metafisico, come se volesse intervenire a modificare una partitura già scritta...
Non ho mai pensato che la mia arte disturbasse il colore... Certo non lo condanno all’appiattimento realistico da foto di cronaca. Ma questo perché credo che sia uno dei canali d’espressione più fluidi e generosi da cui attingere segnali. Nelle mie fotografie non ci sono interventi digitali, mentali. Non manipolo i colori. Piuttosto lascio che le sfumature dei riflessi, delle dominanti nella luce, trovino, attraverso il procedimento chimico “sbagliato” dell’inversione, la loro legittima esistenza. Sì, è vero, il colore diviene un po’ selvaggio attraverso questo procedimento. Non addomesticato, un po’ sfrontato, perché fuori controllo e portatore di messaggi emotivi ed energetici che vanno al di là delle partiture scritte. Ma è tutto qui, all’interno di questa illusoria divisione tra anima e corpo. Solo aldilà delle nostre paure. I canali esistono già. Basta lasciare fluire.

Le tue foto suscitano un'idea di "sosta", di impronta indelebile... la velocità pare non essere contemplata nei tuoi lavori…
Credo che la mia arte sia piuttosto “accogliente”. Difficilmente usa violenza o aggressione per farsi conoscere. E per nulla al mondo ti direbbe che non ha più tempo per te, che ha fretta, deve andare. Ma io non la sento immobile. Siamo noi a proiettarle l’idea di sosta, se è di sosta che abbiamo bisogno. E’un’arte che interagisce con l’energia del respiro, del canto, e per niente sostenitrice delle nevrosi da treno in partenza. Eppure è piena di movimento, di danza, di gesti rituali. Ma non fugge, questo è vero. Lei sarà sempre lì, in continuo movimento, sempre sé stessa in un eterno fluire.

Molte tue foto sono di carattere autobiografico: come e quando decidi di entrare "dentro" le tue opere? Cosa ti spinge a farlo?
Io sono la mia arte. Intendo dire che sono io quando quel respiro profondo passa attraverso di me, oltre la mente, oltre il controllo, con la sola intenzione di manifestare il divino esistente. Io sento quando accade, è una vibrazione profonda e sottile. Ma c’è dell’altro. E succede quando vedo le mie foto, sui provini, spesso solo a distanza di tempo sufficiente perché ci possa entrare con tutte le scarpe, con tutta me stessa, qui ed ora, ma anche mente, e memoria, ed intenzione. Allora accade che “sento”. Sento che un’immagine mi parla, mi canta, e se proprio non sento, tenterà di coinvolgermi affinché io ci cada dentro. Cada dentro di lei, volente o nolente, e guardi in faccia l’arte. E’ a questo punto che la riconosco. E forse è questo ciò che mi spinge a fare arte. Innescare questo fluire di energia e poi ritrovarmi io stessa lambita dalle sue correnti emotive. Tutto il resto è condivisione.

Alcuni dei tuoi ultimi lavori sembrano alludere, con ironia, ad una realtà finta-pubblicitaria, di pose e di ragazzi-manichini...
Non so, mi piace giocare. E prima di tutto mi piace giocare con me stessa, e anche un po’ con i miei limiti, i miei desideri piccoli e grandi. Forse è perché la realtà lavorativa della vendita di immagini finte mi attira e mi respinge continuamente e la mia estetica ne risulta inevitabilmente segnata. Diciamo che assimilo e faccio mio ciò che allontanerei per primo...

Cosa ti aspetti da questa collettiva a Monteprandone in un territorio, quello marchigiano, spesso assente dai grandi circuiti artistici?

Credo che l’assenza dai grandi circuiti non sia un difetto. Al contrario, se una mostra è segnata da consapevolezza ed autonomia di giudizio critico, potrebbe significare molto per giovani artisti come me, bisognosi di interagire con l’ambiente circostante da questa posizione un po’ speciale, un po’ anomala e scomoda di essere artisti. Forse un po’ più di coraggio e intraprendenza da parte dei sostenitori dell’arte potrebbe favorire nuovi percorsi artistici. E’ un po’ il mio sogno e un po’ il mio bisogno, questo di poter vivere della mia arte. Trovare il materializzarsi della fiducia.

25 luglio 2003

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Marta Valenti è nata nel 1977 a Roma dove vive e lavora.