di
Luca Panaro
Inventariando
le tantissime immagini omologate dai mass-media, applichi a queste uno
slogans tipicamente pubblicitario. Cerchi forse di farle emergere dal
magma indistinto della comunicazione massificata?
Caro
Luca, se la scrittura potesse essere una forma di immersione nel
sacro io dovrei farci un colossale bagno e ritagliarmi dei tempi
da produzione industriale per organizzare quelle risposte che tu attendi
come la massaia ai fornelli con la pentola che bolle
Ho dovuto
chiudere i catenacci alle porte, fare genuflessioni propiziatorie davanti
ad un carismatico di turno, ripassare a memoria tutta la bibliografia
di Tommaso Labranca, il super cervellazzo - intellettual mediatico
dal quale prelevare citazioni a man bassa, turlupinarmi i foruncoli
guardando ipnotizzata il soffitto scongiurando la Musa o Pippo Baudo
di venirmi in soccorso. Senza contare landirivieni al WC ogni
quarto dora. Così predisposta, prostrata da ogni sorta
di esigenze, tirare in ballo delle teorie a uso e consumo di non si
sa chi mi rende intrepida e guardinga, eccitata e suggestionata tale
è la richiesta di aperture e di spessore che si evince dalle
tue domande.
Messa alle strette e ancor di più sottoscritta da una provincia
appenninica e di confine che vorrebbe attapparmi le meningi, tento di
combattere la condizione di claustrofobia e di clausura che ne deriva
producendo comunicazione altra, per dare vita ad un mio
flusso personale, alimentandolo di volta in volta con lonestà
(ammantata di ironia, spudoratezza, intrepida strafottenza) romantica
e colloquiale di una che si fa tante domande stimolando le risposte
altrui. Cè un virus malefico che serpeggia a tutto tondo
nel supervariegato giardino dellarte e si chiama già
visto. È una sorta di blob che scorrazza da più tempo
invadendo gli anfratti della mente, insidiandosi nei circuiti macchiavellici
dellimmaginazione, perlustrando i fondali avventurosi della psiche
umana, ottundendo infine gli afflati ipercreativi - multiformi. Che
fare, quando quanto si produce è una variazione a tema sollecitata
dal sistema di massificazione, omologazione ultraglobale? E se qualche
a solo pure resistesse a questa inondazione nauseabonda di immagini,
con quale sguardo sollecitare unempatia in questa sarabanda rumorosa,
mediatica che si chiama il sistema dellarte, che avrebbe il miraggio
di sistemare qualcosa, ma non certamente larte né gli artisti?
La mia sfida, che è comunque un atto di coraggio nonostante la
consapevolezza delle dichiarazioni fino a qui espresse, mi spinge a
credere nellautenticità di fare arte non curandomi degli
stilemi del sistema, del cul de sac in cui tanta produzione va a strozzarsi,
e in che modo? Non prendendo me e larte sul serio, ironizzando
a più non posso su questa grande fiera delle vanità che
uguaglia a lungo andare anche i vari Cattelan & Company nonostante
i loro sforzi. Il glamour è una patina, non è certo la
sostanza. La vera sostanza lha prodotta Duchamp. Noi siamo dei
replicanti.
Ma tra le immagini e gli slogans usati, in una zona intermedia si inserisce
quel plus significato che sembra inespresso, o lo scarto dellovvio
e che è invece la chiave di lettura del mio lavoro. La
storia scriveva Montale non vive che nella cenere,
e anche a questo mi riferisco quando organizzo le mie idee, alla caducità
di tutto. Non so a questo punto se ho risposto in modo esaustivo al
tuo interrogativo, ma mi sono sforzata per lo meno di essere chiara.
A come amici, B come bambini, C come cielo... alcuni dei capitoli
di "Inventario con elenco", il tuo libro fotografico, praticamente
un dizionario per immagini. Quanto sono importanti gli affetti nel tuo
percorso estetico?
La mia storia anagrafica è puntellata dallassenza di
affetti (quelli che dallinfanzia fino alladolescenza misurano
il calore del cuore e la sua completezza), e dalla mia rincorsa per
creare attorno ad essi un recinto, una gabbia per mettere in salvo il
vuoto prodotto, il buio dellinconsistenza, le dissolvenze grigiastre
delle illusioni. Questa considerazione è stata ed è una
costrizione legata ad un destino che va nella direzione di una forza
ipnotica più per la mancanza di un soggetto che per limpegno
(che è fatica) di ricercarlo. Ampliando questa riflessione e
concedendomi ad una confidenza qualche volta mi ritrovo a sorridere
di me stessa quando penso alla mia mania (che mio fratello Claudio ha
definito da feticista) di conservare tutto. Di mia madre, con la quale
ho vissuto poco e che è deceduta da tre anni ho scandagliato
tutto: le sue sciarpette ben piegate e stirate in una scatola di cartonaccio,
i francobolli ritagliati e raccolti in lunghissimi anni, le sue lettere,
le sue agende, ogni indizio del suo passaggio, insomma questo affastellamento
di oggetti recuperati mi servono quasi per imbandire una sorta di rito
con cui impossessarmi delle stigmate altrui, per abitare la vita altrui,
fosse solo per pochi istanti.
Nel tuo libro sottolinei come il termine inventario derivi da "invenio"
che non significa semplicemente "inventare", ma piuttosto
"trovare". Cosa hai trovato in questa galleria della memoria?
Forse e a suffragio di quanto ho espresso fin qui e tra tanta minuziosa
descrizione per onorare il visibile tento una chiusura con una riflessione.
Probabilmente continuo ad essere suggestionata dalle immagini proprio
perchè non ho trovato che niente: tutto lascia affiorare
una realtà diversa, misteriosa e forse altrettanto vera. Tutto
ci riconduce ad un abisso di riflessi e mi ritrovo a metà di
una frase, in un labirinto di immagini che si arenano tra i bianchi
e i neri di un primo libro.
Quello che mi interessa sostanzialmente è chiarire che tutto
il mio lavoro è una elaborazione continua e progressiva che si
sviluppa attraverso cammini differenti. Sarebbe un bel traguardo da
non disdegnare quello di girare magari un film: per non lasciare ancora
più inespresso solo quello che continua a restare enigmatico.
6 febbraio
2003
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Rita Vitali Rosati è nata a Milano nel 1949.
Dal 1981 vive a Fabbriano dove insegna Discipline grafiche presso l'Istituto
Statale d'Arte della città.