Stellario
Furioso
Endecasillabi di ispirazione
ariostea dedicati ad un amico.
Canto I
Del prode Stellario, dei Mori suoi nemici, dei suoi travagli e delle sue
virtù prodigiose
Le donne, i motori, l'ano, gli
odori,
lo scoreggiar, gl'audaci imprechi io canto,
che furo al tempo di Stellario, e i Mori
d'Africa, che per l'istrade il nocquer tanto,
sfidando l'ire e i giovenil furori
del nostro Stello, quand'ogni tanto,
fermo ai semaffori de lo centro urbano,
giungea a pulirgli il vetro un africano.
Dirò di Stello e 'l suo fetente
sgrutto
cosa non detta in prosa mai né in rima:
che per amor è il suo duoden contratto
e 'l cul tuonare il fa come Iroscima;
che pel brucior l'istomaco putrefatto
il poco ingegno ad or ad or gli lima;
gliene sia però tanto concesso
che le terga gli basti a posar sul cesso.
Voi sentirete fra i più degni
eroi
che nominar con laude mi apperesto
cantar di Stellario, che di tutti voi,
un dì senza patente, al guidare fu maestro.
L'alto valore e' grutti e i pirti suoi
vi farei udir, se tal sarìa il mio estro,
ma di narrar le gesta all'altezza sarò
del prode Stellario e della sua Pegiò.
Canto II
Di come il prode Stello, recandosi da una donzella, fu sfidato in una giostra,
e di come la vinse ricolmo di gloria, e dei ricordi che egli suscitò
nel suo sfidante
Andava Stellario sul Pegiò
da una donzella
quand'ecco sulla via spuntare una Mercede:
accanto ad esso si era affiancata quella
ed a semaffor verde gran sgommata diede,
convinto e certo, con la sua macchina bella,
di correre fin quando Stello più nol vede.
Ed or correvan per una stretta via:
Mercedes dopo e Stellario prìa.
Ma durò poco del Nostro il
primato,
non per deboltà o spaventamento,
ma ché avea l'altro il motor truccato,
e il tubo non avea d'iscappamento.
Ma 'l prode Stello, appen fu superato,
con un isgrutto lasciò nello sgomento
il suo fellon rivale col Mercede
che si trovò con l'auto sul marciapiede.
Vedendo poscia dal retrovisore
che anco il Mercede avea preso un muretto,
graziòllo Stellario co' altìssimo onore:
così dello nero intestino suo retto
ei chiuse lo buco ch'aperto è ognore,
ché in tempo s'accorse esser vecchietto
lo suo antagonista così tanto ardito,
e fégli soltanto il gesto del dito.
Costui si sovvenne, per lo gesto
quello,
quando un meriggio, giovin quand'era,
vide una donna, in chiesa al paesello,
che pia era e bella, chinata in preghiera.
Nel confessionale menando l'augello
scoprìllo il prelato sul far della sera:
"Che gli venga messo" ordinò al sacrestano
"per cento e una volta il dito nell'ano!"
Canto III
Di come Stellario
si ristorò e di come si macchiò, tribolato dall'amore, di un orrendo peccato.
Tosto che ebbe sconfitto il vegliardo,
dacché non aveva toccato vivanda
ed anco l'orario digià era tardo,
decise di andare in una locanda,
che oltre a mangiare un buon pasto caldo
dovevasi tosto cambiar la mutanda,
ché essendogli intanto scappata una loffa
il pirto ne aveva sdrucito la stoffa.
Continua....
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