RECENSIONI

di

Renzo Cau

Matteo Porru

 

 

Recensione di Renzo Cau

 

Apparentemente anacronistica, certamente contro corrente, la poesia di Lugore de luna possiede tutte le doti per riconciliarci con la parola poetica e nella fattispecie con quella in limba. Pur con i limiti di accessibilità, inerenti alla lingua sarda, superabili grazie a una traduzione-calco, per alcune liriche proposta anche in lingua inglese, francese e spagnolo, la magia della prima fatica di Maddalena Frau, sta nella sua chiarezza e semplicità.
Lontana da ogni accademismo e complicazione formale, la poesia della poetessa di Ollolai ( Nu ) spicca per la sua fruibilità e popolarità, intesa nel suo più nobile significato, che solo le si addice: poesia di un popolo, interprete delle sue tradizioni, della sua storia e, come tale, per nulla estranea alla sua cultura.
Non sembri riduttivo o addirittura dispregiativo evidenziare di una poesia la sua facile accessibilità. Chiarezza, semplicità, popolarità non sono sinonimi di ingenuità compositiva o di deteriore dilettantismo. Da Lugore de luna, a ben guardare, traspare un lungo, segreto tirocinio alla poiesi e alla comunicazione poetica.
Le suggestioni di varia provenienza, che si intravedono tra le maglie del verso, ( si pensi alla lezione del nostro classicismo, di un certo Pascoli e del Decadentismo in genere, a quella di Antioco Casula, e, come bene indica nell’introduzione al volume Francesco Casula, alla ricchissima tradizione orale e scritta della Sardegna ), non ne compromettono la robusta identità. A M. Frau basta essere se stessa, fedele al suo personale segno linguistico e poetico, che ha tenacemente legato, per usare una categoria di A. J. Greimas, alle matrici convenzionali del sistema prosodico ( il metro, il ritmo, la rima etc...).
Una tale opzione sembrerebbe compromettere a priori le doti sopraelencate, attirando il testo nei vortici o nello scoglio di un datato classicismo, con le inversioni, anastrofi e iperbati che ritmo e rima impongono necessariamente. Con ragione infatti J. Tynianov e con lui U. Eco, afferma che il poeta sceglie le parole, costretto dal ritmo, con la conseguenza immediata di un forte condizionamento degli assi portanti della comunicazione, quello della combinazione e della selezione.
In Lugore de luna la testura del verso procede indenne da qualsiasi complicazione e le inversioni presenti non si diversificano da quelle della lingua standard. Analogamente il segno linguistico conserva tutta la sua vis comunicativa, perché, tra i vari sinonimi offerti dalla lingua, si predilige il più umile al più illustre, il più ovvio e quotidiano a quello più prezioso e aulico.
Nonostante il registro prosaico della raccolta, il lettore resta affascinato dal raffinato ricamo linguistico, in cui sono coinvolte anche le parole più comuni, chiamate con naturalezza a sposare le modulazioni più diverse, imposte ora dal genere epico, attivo quando il ricordo si concede al racconto, o dal genere lirico – elegiaco, prevalente nei momenti di più commosso recupero memoriale, nella pacata denuncia dei mali del mondo o nell’umile preghiera. Esiti di rara efficacia comunicativa assume il segno linguistico, quando dal genere comico – realistico si sprigiona la satira o la parodia, che non rinuncia alla battuta salace.
Se il ritmo e la rima non attuano nei confronti del livello morfo – sintattico nessuna violenza di rilievo, le matrici convenzionali inducono nel materiale lessicale insolite vibrazioni, che diffondono nel testo una costante musicalità. Docile ai ritmi, che nella raccolta godono di grande visibilità (il settenario, l’ottonario e l’endecasillabo), grazie anche all’ossessiva sonorità dell’onnipresente rima, il significante riesce a esprimere le più intime risorse di cui dispone.
Il pattern eufonico è scandito in una grande varietà di timbri, sprigionato da un lessico assai ricco, che di volta in volta è ospitato nello spazio del verso. La musicalità, che ne deriva, nasconde abilmente la monotonia del ritmo in virtù della sonorità sempre nuova della rima. La clonazione rimica gode infatti di scarsissima ospitalità. Lo stesso Verlaine, acerrimo nemico della rima facile, plaudirebbe all’originale scansione dell’impasto fonico di Lugore de luna.
L’orchestrazione melodica è incrementata dal gioco iterativo, ottenuto ora con ritornelli predisposti nella struttura di alcune liriche melico – corali, ora con la strategica ripetizione di uno o più versi con la chiara funzione di segnare il tracciato melodico o musicale in genere.
Si legga in proposito la prima lirica della raccolta, dove la struttura musicale è affidata a due distici di ottonari intensamente eufonici a causa della rima baciata, dell’allitterazione delle liquide e nasali, per l’anafora insistita ( naschia – pitzinnedda ) e per la simmetrica ripetizione della rimalmezzo ( bella – bruna ). Non si dimentichi che l’ottonario, scelto in modo strategico, è il verso delle canzoni a ballo quattrocentesche e della canzonetta. I due distici, ripetuti ben quattro volte, diffondono una rinnovata musicalità grazie allo stilema, tipico della poesia popolare sarda, dell’inversione della posizione versale, con esiti di rara armonia compositiva: il primo verso che introduce l’arco melodico finisce per essere anche l’ultimo di tutta la lirica, perfettamente saldata in un chiasma di raffinata musicalità.
L’impasto sonoro della lirica non si esaurisce in una ricerca di sonorità tutta esteriore, orchestrata al dissolvimento semantico, stratagemma tipico dei crepuscolari, ma ne enfatizza il significato, nei confronti del quale la musicalità del significante si piega in modo flessibile, fondendosi nella totalità dell’ipersegno poetico. R. Jakobson chiamerebbe questa fusione una magica attuazione del principio di equivalenza.
Il testo, d’altra parte, saldamente ancorato alla concretezza, protegge autonomamente il suo significato, esorcizzando, in tal modo, qualsiasi tentazione crepuscolare. Ne siano prova alcuni indicatori presenti nel testo all’inizio e alla conclusione della lirica ( custa, custu ), alcune espansioni temporali e di luogo ( su trinta de Aprile, a sas chimbe, fit in su barantachimbe, custa Sardinna mia ), numerosi i nomi concreti ( pedd’ ‘e lana, domo mia, su bratzolu, lentholu, s’istrada, sa via...). Anche il gioco analogico è tenuto in grande equilibrio, con similitudini e metafore desunte dall’esperienza quotidiana ( chei su bentu, che una mela, una rosa, una pandela ) che poco concedono al fiabesco, appena accennato ( un ispantu, che reina, che antiga profetzia ).
La concretezza della microstoria, che narra un giorno importante qual è quello della nascita di una bimba, giorno di festa e di tenerezza, arriva nel ricordo dell’io lirico, sospinta dal ritmo della cantilena materna, intorno al quale si coagulano i materiali della lirica: l’ora matutina, ancora avvolta dalla luce di un fausto plenilunio, un allegro scampanio, la nonna che prepara la culla, l’arrivo del babbo, le voci bene auguranti degli anziani e della gente del paese natio. Un’analoga tecnica compositiva presiede a molte altre liriche della raccolta.
L’aver definito cantilena il ritornello costituisce un varco metalinguistico importante, attraverso il quale la poetessa disvela il volto della sua poetica. Si noti che cantilena deriva da canto e nel canto appunto sarà identificata l’essenza stessa della sua poesia, come consta dalla fitta semantica in proposito.
La funzione metalinguistica è attiva, sia pure affidata a rapidi cenni, in numerosi passi: nella lirica Gennargentu è evocato il suono, il bel suono della voce della montagna amica. Così in Barbagia l’io lirico, quando buone notizie provengono dalla terra natia, traduce la gioia in suono e canto. In Ortigheddu, ma anche in Su caddu de mammai, Istadera, Talentos, il verbo cantare è sinonimo di celebrare in versi. In Su tzippone compare il lemma melodia, che gode di più vasta visibilità, quando l’io lirico, rivolgendosi a un allocutore più vasto ( sa zente ), gli consegna anche un progetto di vita ( Melodia), disegnato in notas de singulare melodia o come dirà in un’altra lirica ( In mente mea ) in sonos e cantos.
Questi eloquenti varchi metalinguistici rivelano anche come tra poetica e Weltanschauung esista un’osmosi perfetta. Perfino il dolore filtra tra le scansioni del testo come suono, dietro cui si nasconde la mano di Dio ( Toccheddu ‘ e manu ), mentre la miglior terapia alle critiche della gente e alla solitudine della morte è pur sempre il canto ( Ponie-mi-che ). .
E anche quando nel variegato mosaico della raccolta il lettore coglie il disegno di un’autobiografia esemplare, ritmata intorno ai momenti dell’infanzia, della maternità, della professione, una folla di personaggi, contaminati dalla forza dell’exemplum, è evocata con tenerezza da arcane lontananze e posta al servizio del messaggio: uomini e donne della quotidianità, semplificati anch’essi perché depurati dalle scorie dell’enfasi, ma nel contempo tessere per nulla pleonastiche nell’economia superiore del mosaico.
Perfino il paesaggio con il suo messaggio di purezza incontaminata e il recupero memoriale così intenso e commosso, fitto di eventi segnati dal dolore o ritmati da un’autentica gioia di vivere, vibrano nei versi di Lugore de luna prestando il loro linguaggio al progetto di armonia. Del resto nel macrotesto tout se tien. E’ sufficiente, seguendo le suggestioni di J. Lotman, dare un rapido sguardo alle coordinate spaziali presenti nel testo per coglierne le profonde ragioni: dalla Barbagia al Campidano, luogo della memoria l’uno, della nuova patria l’altro, si instaura un moto pendolare, che comunica intense vibrazioni a tutte le liriche della raccolta. Ma al di là della linea orizzontale tutta terrena che segna i due poli, geograficamente individuati, esiste nel testo un movimento dal basso verso l’alto, il luogo del trascendente, in cui le vicende dell’aiuola terrena sembrano placarsi e armonicamente comporsi.
Una tale visione della vita, anch’essa controcorrente e certamente lontana da ogni visione pragmatica o nichilistica, comune a molta letteratura contemporanea, guida la poetica di M. Frau a costruire il suo mosaico di testi all’insegna dell’armonia: un’armonia forse attinta dalle inesauribili sorgenti del classicismo, che seppe coglierla nel moto dei cieli e infonderla nelle sue creazioni artistiche, o, più semplicemente, frutto di una profonda religiosità, che guarda alla realtà dell’essere con le categorie filosofiche di un’armonia prestabilita. Di certo quella cantata in Lugore de Luna arriva al destinatario vibrante di preoccupazione per la disarmonia inquinante dei mali del mondo (Males de mundu ), identificati nella faida omicida, nella devastazione del paesaggio, nella droga, nei sequestri di persona, nella guerra, nell’abbandono dei deboli...
Ma, se si abbandonano le ipotesi per far ritorno al testo, scopriamo che le strutture della poetica affondano le radici in una struttura ancor più profonda, capace di rendere ragione dell’intero mondo poetico di Lugore de luna. Né la semplicità del linguaggio, né la musicalità, né la religiosità trovano la loro giustificazione senza l’amore per il mondo della tradizione. Su questo sentimento l’io lirico ha costruito una semantica facilmente identificabile perché diffusa in molte liriche: si osservi nel testo la significativa frequenza del verbo amare, stimare o all’aggettivo caro e sinonimi.
Non sfuggano le puntigliose sequenze didattiche con il chiaro scopo di invitare il lettore a ridiscutere il suo concetto di tradizione alla luce delle icone, che di lirica in lirica vengono disegnate evocando i ricordi di vita familiare o paesana. Il recupero memoriale, grazie al profondo amore per la tradizione, non è orientato proustianamente verso una ricerca del mondo perduto. Nel mondo poetico di Lugore de luna non vi è niente di perduto e, conseguentemente, niente di ritrovato. Il ricordo ( s’ ammentu ), anche delle piccole cose della cronaca quotidiana, nella musicalità del verso, riacquista la freschezza della vita con i ritmi del buon tempo antico: manos isbiancadas de sabone, sa roba isparta in sa sorighina… una sedda de caddu consumia, unu melidu ‘e anzone, bantzigallera de sa vida mia…su tzippone, sa stadera, su caddu de mammai Deiana, sos bumbones, sas tzias iscrariande sutta sa contonada… Ma anche alcuni personaggi del presente storico vengono proposti come metafora della tradizione: è il caso di tzia Rita, necessario anello con la piccola grande storia del passato e di Mister Columbu, tenacemente attaccato alle radici sarde, nonostante il successo in terra americana.
La didassi strategicamente disposta dalla poetessa rifugge dai bagliori poetici del poeta vate o dalle folgoranti illuminazioni del poeta veggente. La riposante luce lunare del titolo della raccolta si diffonde in tutto il testo, inducendo il lettore, annullati gli orpelli retorici, a una riflessione pacata sul destino del proprio io, difficilmente comprensibile se sradicato dalla storia della terra d’origine, e quindi difficilmente orientabile negli impervi territori del futuro. Come in filigrana, viene disegnato, infatti, un concetto di tradizione aperto, dinamico e disponibile all’incontro con l’altro, non per esserne fagocitati, ma arricchiti.
D’altra parte l’icona più convincente di un’identità, che ha messo in gioco il suo concetto di tradizione è lo stesso io lirico, che, nella nuova patria si è conservata ollolaese verace, esorcizzando una pericolosa campidanesizzazione. Quando i colleghi la chiameranno bonariamente cabilla (Mamujada), le riconosceranno significativamente la coerenza con la propria identità.
Anche la stessa conversione al Cristianesimo del popolo di Ollolai ( Ollolai pagana ) è vista dall’io lirico come un momento importante della dialettica storica nell’ambito dell’identità. L’innesto tardivo e chiaramente non indolore (fit difitzile a la cuncordiare) della religione cristiana nel tronco della tradizione è significativo: solo quando si interiorizzò un nuovo concetto di tradizione, fu accolto il messaggio cristiano, che a sua volta ne fecondò le radici.
L’afflato religioso che permea Lugore de luna va letto in questo più ampio contesto, come momento essenziale della tematica fondamentale della tradizione. Analogamente l’amore alla tradizione giustifica anche la popolarità del linguaggio, funzionale a una comunicazione poetica, in cui il messaggio è proposto in tutta la sua urgente attualità a un pubblico medio e non a un pubblico raffinato, ma limitato di parigini, se mi è lecito esprimermi con una categoria romantica. Anche la musicalità, altra caratteristica fondamentale di Lugore de luna, sembra sgorgare dalla comune fonte della tradizione, quando questa è percepita con intelletto d’amore. Eloquente in proposito appare la conclusione metalinguistica posta a conclusione della lirica Su tzipone: Cuss’antiga melodia/ imparada da minore/ l’apo in su coro cosia/ e cun puntos de amore.
Nell’ambito di una poetica anticonformista, la specifica letterarietà della raccolta è orientata, tuttavia, con perizia a una cristallina comunicazione di quei valori universali della tradizione sarda, che stanno più a cuore alla poetessa: l’onestà della vita, la fratellanza e la religiosità, in cui sono eclissati i toni trionfalistici del credente e sottolineati, invece, i suoi limiti di fronte all’eterno mistero del male.

Renzo Cau

 

 

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Recensione di Matteo Porru

 

Bonasera e benennida, bona zente, a custu attoppu importante: gai naro ca est importante sa poesia, sunt importantes sa curtura e s’iscola, est importante sa limba nostra chi est su sardu.
Torrende a Seddori, in ue apo istudiadu in su Litzeo Calasantzio de sos Iscolopios –non propiu inoghe, ma in sas “casermettas” de unu tempus- eo so cuntentu de poder mentovare –gratzias a Maddalena puru- annos e pilos biancos de sacrifitzios, de istudios e de traballiu comente istudente e comente mastru ‘e iscola.
E so inoghe comente omine de iscola: solu pro faeddare de limba sarda in iscola, ca si nono –in ateras occasiones- de limba sarda non faeddo prus cun chie su sardu lu cheret occhire.
Seddori est sa bidda de “Su trumbullu” de su 1881 e de “S’occidorgiu” de su 1409; ma unu tazu de omines, chi no at cumpresu ca solu s’iscola podet sarvare sa limba nostra iscriendela in una manera ebbia pro sarvare totus sos dialettos, est faghende un’ateru “occidorgiu”: “s’occidorgiu” de sa limba sarda.
E verbo non ci appulcro!
Ammesturau in su tallu ddui at calincunu chi at fattu politica cun grandus responsabilidadis o sentza de responsabilidadi peruna si est beru ca –candu fiat s’ora- no at ispendiu mai unu fueddu a favori de sa lingua nostra de Sardus.
Ma nos seus innoi po fueddai de sa poesia de Maddalena e po fai asuba de sa poesia sarda puru unu discursu seriu e netzessariu circhendi de nai sa beridadi o circhendi de non nai prus su chi atera genti at a sighiri a nai sempri, ca “sa Sardinnia est sa terra de sa poesia”.
De seguru, si teniat arrexoni Antiogu Casula, “Montanaru” de Desulu candu naràt ca sa poesia


Est sa lontana bella immagine
bida e non toccada;
unu vanu disizu, una mirada,
unu raiu ‘e sole a sa ventana;
sas armonias d’una serenada
o sa ‘oghe penosa e disperada
de su ‘entu tirende a tramuntana.

Sa poesia est su dolore,
sa gioia, su tribagliu, s’isperu,
sa ‘oghe de su ‘entu e de su mare.

Sa poesia est totu
si s’amore nos animat
cudd’impetu sinceru
e nos faghet cun s’anima cantare

Maddalena fait e iscrit poesia chi podit o non podit praxiri, prus o mancu bella comente atera poesia, cun una singularidadi, però, totu cosa sua: sa de sa sinzillidadi chi ddi at permittiu sempri de nai sa beridadi po ndi depiri arrespundiri a sa dinnidadi sua de persona, de tzittadina, de mamma, de isposa e de maistra: unu mestieri diffitzili poita donniunu de nos maistrus at sempri arriscau de podiri formai ominis liberus, onestus e perigulosus …
Maddalena at iscrittu e iscrit is poesias suas cun sa cuntentesa in s’anima e in su coru, scéti po su prexeri de nai su chi sentit in beni e in mali, po su beni de is pipius e de sa genti manna e beni impinnida.

Is poesias de custu liburu, “Lugore de luna”, sunt 76, ordinadas in “Ammentos de Ollolai”, “Affettos”, “Cantidos de bonumore”, “Males de su mundu”, “Cantidos de fide e de devotzione”, “Cantidos in limba campidanesa”.
Ddas apu liggias e torradas a liggiri totus e potzu nai ca nd’apu tentu sa consolatzioni e s’acunortu chi donniunu de nos podit agatai in sa poesia chi arrennescit a liggiri.
Pagu, troppu pagu podint contai, in tantis poesias e in totu su chi Maddalena ddui cantat e ddui contat, pagus versus prus paris o prus tortus, prus curtzus o prus longus de aterus: “anisosillabicus”, comenti si narat “in diffitzili”.
Su chi contat in sa poesia est sa sinzillidadi e sa dinnidadi, ossiat s’onestadi de su poeta o de sa poeta.
Liggeiddas custas poesias, ca si faint beni!
A mei ant fattu ripassai tantis letzionis de sa vida, poita ddui apu liggiu ca propiu sa vida est comente su tempus chi passat a oras e a minutus, calincuna borta sentza de lassai mancu arrastu.
Pagus cosas durant po sempri e sa poesia est una de cussas, poita torrat in vida su tempus passau, ndi seberat is momentus prus bellus e non lassat morriri mai is cosas chi balint e is beridadis chi contant.
Donniunu de nos si podit sarvai scéti cun is illusionis, cun is bisus chi fait candu est iscidu, “con l’utopia del possibile” deu naru, fattu fattu, in italianu.
Sa possibilidadi de non morriri mai dda donat scétri su bisu lugorosu de is poetas e de Maddalena.
Si nuncas, donniunu de nos est solu, debili, chen’ e defensa peruna e totu a su prus podit prangiri su prantu antigu e antzis eternu de s’umanidadi.

“Lugore de luna” cumentzat cun “Ammentos de Ollolai” e “Ammentos de Ollolai” cumentzat cun ”Ollolai”, presenti in su primu e in s’urtimu versu …


Una die so naschida in Ollolai,
sa bidda chi no m’ismentigo mai …
E la tenzo chistia chi no mai
S’istoria de sa bidd ’ ’e Ollolai.

“Naschida a lugore e luna ‘”:

Profumada, lisa – lisa,
naschida cun sa camisa!
Naschida a lugore ‘e luna,
pitzinnedda bella e bruna!
Naschida a lughe de istella,
pitzinnedda bruna e bella!

Est una poesia de una bellesa de ispantu, scritta cun sa musica de is fueddus prus dilicaus chi Maddalena podiat agatai; cun s’anima de sa maistra chi Maddalena depiat diventai, po fai sa mamma in una scola chi propiu materna materna immoi no est mancu prus:

Cando sos fizos meos andant a lettu,
los allego cun cuddu dialettu …
Issos tando si morint de su risu:
sos contos meos lis paret unu bisu!
Semper lis naro: -Sa terra ‘e mamma
manteniela in coro che fiamma …
E un’urtimu disizu, unu cuntentu
a issos pedo in su testamentu:
cando non bi so prus a respirare,
ghirent de parte mea a t’agatare.
Cun s’amore de custa poesia,
ghirent a t’agatare, terra mia!


(In:”Zai torro a t’agatare”: una poesia scritta de “terra anzena” … (de Campidanu, cun una nostalgia nareus “giustificada”, ma de seguru a su mancu unu pagheddu esagerada comente sa de sa cantzoni de cuddus studentis: “Addiu Nugòro, terra amada/ ca mi che so andande in terra anzena” … candu depiant andai a Sassari po istudiai in s’Universidadi).
Is versus de custa poesia sunt prenus de istima e de amori po sa Barbagia, po sa Sardinnia e po su sardu comente lingua de s’anima.

ISTRANZU: est una poesia chi Maddalena scrit cun sa sinzillidadi e cun su coraggiu scéti de chini scit ca narat una beridadi chi podit pitziai: S’istranzu
Fiat comente una bestia, marchiadu
e li ghettaiant s’arga ‘e sa via
mancari esseret bonu e educadu
Eppuru s’ajaja arregordàt su diciu chi naràt e chi narat ancora:
Non ti nde beffes, pro non ti beffare!


Cosas chi sutzediant in Ollolai, in totu su mundu e in Casteddu cun is majolus e cun is biddunculus candu –naràt su giugi Gaetanu Canelles- “sa littorina” arribàt donnia dì propiu a Casteddu “carriga de genti prena de priogu, mali imparada chi fragat a bentu!”.
E est ca s’ollolaesidadi e sa cagliaritanidadi sunt maladias beccias e leggias!

-Nobas tenides in Ollolai?
Contaemilu, comare mea …
-Zai bos la naro sa nobidade:
sunt cambiande mentalidade …
(In “Nobas de Ollolai”: una poesia chi permittit a Maddalena de arregordai, cun sa musica de is mellus poesias de Peppinu Mereu, sa domu aundi est nascia, sa bidda e, de sa bidda, is cosas chi non si podint e non si depint scaresciri)

UMBRAS ISMENTIGADAS: est su chi si narat in italianu “un capolavoro”.
“Sas tzias iscrariande –faendi strexu de fenu, naraus nos in Campidanu- cun sas manos nodosas, totu pinnicronadas”, regordant de accanta meda –Barbagia po Barbagia- una de poesias is prus bellas de Montanaru, de Antiogu Casula desulesu: “Sa tia de filare”.


E bolavant sos puzones
supra de s’iscraria
pintada a pibiones
de seda coloria …
E corves! E cherrigos! …
naravat cudda tzia
in sos tempos antigos
foras de bidda mia …
E custus versus regordant, infinis, aterus versus de sa mellus poesia sarda:
Sedattos, sedattos d’oro
non nd’apo ‘attidu pius:
sunt bessidos fora usu
est finida s’arte mia!
de Foricu Sechi chi, a becciu, si bisàt ancora andendi peri is bias de is biddas a bendiri sedatzus a is meris de domu de su tempus suu …

E ateras ancora sunt is poesias de “Ammentos de Ollolai”: “S’iscomuniga de Ollolai” po domandai scusa a S. Frantziscu e po ddi nai a torrai a Ollolai, “Ollolai pagana”, s’urtima bidda de sa Sardinnia chi si fiat cunvertida a su Cristianesimu:

De s’istoria antiga ammentu tristu:
tando non connoschiant a Zesu Cristu …

“Gennargentu”, “Sa leva barantachimbe” scritta po sa festa de is Ollolaesus de 50 annus:


Za chi semus riunios,
tottus bos cherzo onorare,
caros cumpanzos naschios
in cuss’annu singulare.
Che fit fininde sa gherra,
su luttu e sa tristura;
e nois in custa terra
bussande chena paura …


Insandus in is biddas pipius ndi nasciat medas: beniant de su tempus benidori, po ddui torrai; ma fumiànt ancora is rovinas de sa Segundu Gherra Mundiali;
“Azoghittada”, scritta cun sa malinconia de chini castiendi a mannu is bias de bidda sua, ddas arregordat prenas de pipius chi giogànt:


Como est sola sa carrera,
tottus l’ant abbandonada …
E comare mea brullera
una mastra est diventada …


“Arratza ‘e brulla” scritta cun sa musica cadentzada de su modu nostru de fueddai su latinu: “Deus sempre nivande a ambas manos,/ ite bellu, ite divertimentu/ in cussos friscos meos annos lontanos” …;
“Comares de frores”: e Maddalena si ddas arregordat totus –e si podit creiri- “a una a una, de candu andamus a mazare pruna” …

Cuindixi sunt is poesias de “AFFETTOS”:
“Su zippone” scritta regordendi is cantzonis chi ajaja Culumbu cantàt candu si poniat custa brusa de is mammas nostras de unu tempus:


Cussa antiga melodia
imparada da minore
l’apo in su coro cosia
cun sos puntos de s’amore …


“Babbu galanu”, “Su caddu de mammai”, “Tzia Rita” chi contàt contus spassiosus de distintivus chi non si bint comente is bandieras:


Zai nde li ischit de contos mamma mia:
e sunt veros e pretziosos che dinare:
contos de meda zente poberitta
de teraccos e meres, de villanos,
de damas, cavalleris a berritta,
de amores e de corros de fulanos.


“Ortigheddu de susu”, “Istadera” (sa pesa appiccada a unu muru in sa domu serrada, presonera de su tempus a pustis de ai pesau a ettus e a untzas e a chilus is axius e is disprexeris, is prexus e sa felitzidadi de sa vida), “Una sienda”,”Mamujada”, “Rubinos e biancos” (is siendas prus veras de sa vida):


In su zardinu de sa domo mia
frores nde tenzo de cada zenia,
ma cuddos pretziosos prus de s’oro
los apo in su zardinu de su coro.


“Mister Culumbu” (chi si ch’est andadu a terra americana/ de sa Barbagia sua , terra isulana … Ma torrat, calincuna borta in Sardinnia, mancai cun “attrices bellas e biondinas”, po fai sciri a su mundu “ita tenet sa zente sarda in raighinas”);
“Sos zogadores” (una poesia de alabantzia po sos pitzinnos de Seddori, chi cun abilidade e cun grandu seriedade ant onoradu su torneu “Lunamatrona” zoghende a pallone.
E sos zogadores a pallone, cando binchint unu campionau, cherent festeggiados e onorados, poite su pallone est tundu e finamentas sos mezus zogadores de su mundu, in partidas importantes, isballiant ancora sos rigores: non faghent tzentru e sa botza si che andat a contu sou …;
“Amiga de Fonne”: “Atera zente a iscola est arrivada, ma tue non torras prus, cara Maria. E si puru in iscola b’est s’amore, tue –pro ubbidire a su Sennore- mi che as lassadu sola”.
Diat parrer una poesia de amargura, ma Maria est sana, sulena e s’agatat in bona cumpanzia: direttritze de su cumbentu de sas Frantziscanas, aundi pregat po sas faidas mundanas. Biada Maria e biadas sas monzas comente Maria, chi sighint a pregare pro nois, chi amus bisonzu, malos comente semus. E ca nois Sardos semus malos, za s’ischit; antzis meda zente narat ca semus malos a bios e bonos solu a mortos …; “Talentos”, “Su donu de Pia”, “Sa mastra” : Un’alabantzia a sa dinnidade de sa mastra chi –cun amore, scientzia e cuscientzia- ghiat sa livria peri sas iscolas e sas bias de s’ischire. Unu monumentu a sa passientzia chi occurret cun sos pitzinneddos innossentes, de su meigu chi curat sos errores issoro. Ca s’ iscola, de pretzisu, est propiu s’ispidale de sos errores de sos pitzinnos … Ma sos pitzinnos sunt sempre déchidos e s’affettu issoro est comente meighina po sas maladias veras de sas mastras.

CANTIDOS DE BONUMORE
“Sa murra” (chi po Maddalena est comente s’iscola. E mancu male ca est istada imbentada: ca si nono l’aiat imbentada issa …); “Tziu Basileddu : S’imbreagat cada die –non solu po carrasegare- e cada die narat a Maria: “Ti cherzo basare!”. Ma Maria lu surrat che unu molente su maledomadu imbreagone. E goi e gai e gai e goi –cada die- finint sas chistiones de Tzia Maria chi, comente unu butzinu, chircat de fagher dizerire su binu a tziu Basileddu; “Peppa Luchia”: Maddalena, po comente la connoschimus, non podiat fagher de mancu –faeddende de totu e duncas de sos sonos e de sa musica de sa vida de sos omines, de sos animales e de sas cosas- de iscriere in poesia de sorighes chi sonant e de gattulinas chi ballant e chi intrant in su dillu o in su duru-duru de s’amore cando arrivat s’edade de sa zobania. E sa poesia sua m’ammentat sa poesia de una poeta de Casteddu (Luciana Muscas Aresu); “Sos bumbones”, “Su violinu”, “Mariannica”, “Mariedda caghera” ( bivit a sizillu impostu pro non faeddare e po no isporcare su logu. E s’isposu si nd’abizat e si fughit a coa alluta …); “Sennorica pilicana” (Su tempus si ch’est coladu, ma sa gonna americana e sa zacca a sa frantzesa l’incantant ancora … E forsis tenet resone, ca sa moda est gai e non morit mai); “Rosariedda” (Est sarda e non naramus de inue. Est bella e puritana e, sutta sa gonna, non zughet suttana; camminat trasparente e faghet zirare sa conca a sa zente. Rosariedda est un’alloddiu, una caricatura, sa caricatura de una femina: in bene e in male, su menzus romanzu de sa vida nostra de omines … “Cun cussos ogritteddos morri-mori … Rosariedda bella de Seddori!); “Comare fulana”, “Sa chiaccherada” “Ponidemiche”, “Su zogu caddighinosu” : unu saludu ispassiosu a sa cumpanzia “Fueddu e gestu” … Non si nde sarvat una: Gratziella biondina righet istorronada; Paola isvaloria est a numero otto e Maddalena, “a granzola, a abba e a bentu, ammostrat sa luna prena chi lughet in Gennargentu!”

MALES DE SU MUNDU
“Faruk”: Una littera a Faruk, pitzinneddu secuestradu, iscritta de Maddalena cun sa pinna inchieta e infusta de prantu e de dolore … Tenet resone Maddalena: bandidos de domo nostra ant postu sa Sardinna in agonia e ant mortu su sole: semus a iscuru! Maddalena imbiat custa poesia, una prosa poetica, puru a Fulanu tentadore, ma deo, in antis, non l’apo mancu nadu, non l’apo fentomadu. Proite Fulanu, in cunzitturas similes, no est omine, ma est su contrariu de un’omine e de un’animale: est una bestia indinna de bivere;
“Ube los as sos frores?” : po Maddalena su fogu est unu de sos males de su mundu nostru, nieddu e addoloradu; e sa terra pranghet, chena profumos e colores …; “S’amargura”, “Sa bruttesa in s’ogru”, “Iscaminada”, “Su male anzenu”, “Tziedda betza”: Non tenet prus gana de riere, ca sos fizos che l’ant bogada ‘e domo a dolumannu. E como est a ghelea, peri sas bias de su mundu.

CANTIDOS DE FIDE E DE DEVOTZIONE
“Mamma de amore”: S’umanidade est cambiada tantu e tenet bisonzu de essere perdonada po sos peccados suos. L’at pensada bene Maddalena, de iscrier custos gosos,invocandesi a Maria Santissima; “Aperide sa yanna”: Est una pregadoria a Deus Soberanu in su mamentu de su male, de su dolore, de s’anneu e de sa gherra. E sa pregadoria balet po totus, proite Maddalena l’at iscritta po s’umanidade; “Mamma de su perdonu”, “Mamma de Misericordia”, “Mamma de Lourdes”, “In mente mea”, “Notissia bella (po s’arrivu de su Papa Zuanne Paolo II a Casteddu), “Sua Santidade” (po sa visita de su Papa a sa Sardinna “terra de pobertade”), “Toccheddu ‘e manu”, “Deus meu”, “Sa lughe”, “Oddeu”, “Su compleannu de Maria” (in Megiugori), “Sa cumunione”, “Su coro de Zesus”, “Su cantu de Maria, “Nadale”, “Su paperi”, “Comente sos ateros pitzinnos”, ”Sa cabitha”, “S’invitu de su Conciliu sardu”.

CANTIDOS IN LIMBA CAMPIDANESA
“Cantai a Gesus Bambinu”, “Trastulla de Seddori (unu tziffitzaffa tra una nettixedda e un’ajaja de custas partis asuba de sa Befana chi, po s’ajaja, arribat de attesu scéti po portai regalus a is pipius bonus. Sa pipia, fatta a innotzenti, non creit prus a sa Befana in manera peruna ma, in sa zeminera, sa miggia detzidit de dda ponniri cun totu sa dilicadesa possibili, siat puru poita s’ajaja seddoresa est de bonu coru…); “Su coru de sa mata”, “Augurius a sa scola elementari de Segariu” (finas a podiri biri laureada donnia creatura. Ma s’auguriu prus bellu est su de podiri biri is pipius de sa scola elementari de Segariu prus bonus in sa scola media, poita sa visita de is carabineris a is piccioccheddus disculus de sa scola media non dd’at scarescia nemus ancora!); “Cand’arribat Carnevali”, “Sa scola moderna” : scritta de una maistra chi no est capassa de pensai a ateru che a su mestieri chi fait cun sa vocatzioni de una mamma. Teniat arrexoni sa bonanima de Giampaulu Meucci, candu naràt ca sa scola elementari no est prus una scola si sa maistra no est sa mamma de is discipulus suus.
Ddu nant ancora is pipius de Segariu e deu circu de non ddu nai prus poita seu arrosciu de ddu nai, seguru comenti seu, però, de ddu depiri sighiri a pensai.
Su meritu –de seguru- est de tantis maistras, ma innoi –bisongiat a ddu reconnosciri e a ddu nai- est de Maddalena Frau chi una cosa importanti at imparau a mei puru, chi seu becciu, ma gana de fai scola ndi tengu ancora: Maddalena m’at imparau a sighiri a pensai ca donniunu de nos, candu castiat attesu, depit circai de biri su chi ddui est a su mancu unu metru prus a fundu de sa linea de s’orizonti, agiudendisì cun sa fantasia: siat puru poita, sentza de fantasia, sa maistra no est maistra e mancu is babbus e is mammas sunt prus mammas e babbus capassus de incamminai is fillus a iscurriri su mundu de su tempus benidori.
Maddalena at iscrittu in sardu, sa lingua chi espressat o chi a nos podit permittiri de espressai mellus totus is sentidus de s’anima nostra, sinzillus e interus.
Una lingua chi po mei e forsis po chini m’ascurtat non depit morriri, poita candu morit una lingua morit unu populu e asuba de sa terra de cussu populu calat po sempri su scuriu de sa notti.
Ma forsis custa lingua s’at a sarvai e non s’at a morriri, comenti est beru ca si sarvat e non si siccat e non morit unu frori po cantu calincunu est capassu de ddu tenniri in friscu in lavras.
Seddori, su 27 de abrili de su 2002

Matteo Porru

 

 

 

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