Dice la celebre Waste Land di Eliot che "Aprile
è il più crudele dei mesi/ genera lillà dalla morta terra/ mescola
ricordo e desiderio/ stimola le sopite radici con la sua pioggia
primaverile...". Fu proprio un aprile - quello del 1948 - che decise
il nostro destino come nazione. Ebbe fra i protagonisti Luigi Gedda,
morto ieri nel silenzio dei suoi 98 anni, in un'Italia che lo ha
dimenticato e che non ha visto svanire tutta la cultura liberale
che egli seppe vincere.
Allora stavano davvero per piombare su di noi
la barbarie e un cupo futuro di tirannia. Lo scenario nel 1947 è
agghiacciante. La guerra è finita da pochi mesi; l'Italia è un paese
sconfitto (con tutto quello che implica), migliaia sono i nostri
soldati morti per l'Europa che ancora le donne aspettano piangendo.
Il territorio è devastato: 6 milioni di vani abbattuti, 7mila ponti
distrutti, il 25 per cento della rete ferroviaria fuori uso. L'economia
è in ginocchio: disoccupazione al 20 per cento, 3 milioni e 700mila
poveri, salari da fame.
In questa situazione una possente macchina organizzativa
- il Pci (2 milioni di iscritti, 36mila cellule, una galassia di
sindacati e altre strutture organizzative) - sta riuscendo ad assestare
la spallata definitiva per gettare l'Italia di là: all'Est. Aggrega
attorno a sé gli altri partiti della sinistra, sa organizzare scioperi
di massa manifestazioni di piazza. Con la fine della guerra la sinistra
non ha affatto smesso di usare la violenza. Federico Orlando, nel
libro 18 aprile. Così ci salvammo, scrive: "Volanti rosse, Gap e
altre organizzazioni di comunisti hanno ucciso non meno di cento
sacerdoti, specie in Emilia, vittime della reazione sociale agli
abusi del capitalismo agrario".
Del resto l'impero staliniano arriva fino a Trieste.
Con i suoi orrori sanguinari e la sua morsa totalitaria. Il Vaticano
ben sa che la Chiesa là sta subendo la più tremenda persecuzione
della sua storia. Dunque quando Pio XII, in questa situazione, lancia
l'allarme per il pericolo comunista, quando pone un aut aut, "o
con Cristo o contro Cristo", non è un paranoico, ossessionato dai
rossi, come oggi si vuoI far credere.
Del resto era abituato, il papa, a battersi quasi
da solo, per la gente comune indifesa, per Roma e per l'Italia.
L'aveva fatto durante l'occupazione nazista di Roma, correndo anche
gravi rischi personali, salvando la popolazione (a cominciare dagli
ebrei e dagli antifascisti) dalle efferatezze naziste e la città
dai bombardamenti alleati, unico difensore di Roma, come i papi
dell'alto medioevo davanti alle invasioni barbariche (lo ha così
rappresentato addirittura Enzo Forcella nel suo bel libro: La resistenza
in convento).
Ora la Chiesa doveva di nuovo difendere l'Italia
da un pericolo mortale. Il ceto intellettuale - quello ha sempre
sbagliato tutte e scelte - si imbrancò quasi tutto sotto le bandiere
rosse del Fronte popolare, lieto di ritrovare così una verginità
antifascista avendo un passato dl solito "diverso".
Attorno al prestigio e al carisma di De Gasperi
e della sua Dc si coagularono i pochi intellettuali e politici liberali
(come Croce e Einaudi) e il socialdemocratico Saragat. Importante
ovviamente fu, in questa situazione, il piano Marshall e l'aiuto
americano ("da1 1943 all'aprile 1948 - scrive Dario Antiseri - l'Italia
ricevette dall'America sovvenzioni a fondo perduto per un valore
pari a 1.419 milioni di dollari").
Tuttavia fra '46 e '47 i comunisti raccolsero
tali trionfi elettorali che si preparavano ormai al colpo definitivo:
vincere le elezioni politiche. Sembravano sul punto di farcela.
Ma sul campo di battaglia, quando in quella primavera del 1948 si
trattò di combattere casa per casa, fu decisivo l'arrivo di un altro
esercito, non-violento, ma formidabile, che solo la Chiesa poteva
regalare all'Italia. L'idea fu di Pio XII che la suggerì a Luigi
Gedda, dirigente dell'Azione cattolica.
A causa dei Patti lateranensi all'Azione cattolica
era vietato fare politica per un partito (Gedda apparteneva a quell'Ac
che già si scontrò duramente con il fascisrno con la pretesa del
regime di indottrinare la gioventu). Così si creò una struttura
ad hoc, fatta di laici, i Comitati civici. Ne nacquero 8mila in
tutto il paese, a fianco dei 22mila parroci, con 30Omila volontari.
La Dc ebbe trionfo travolgente. Così l'Italia si salvò.
"Fu così - osserva l'economista liberale Antiseri
- che gli "oscurantisti" - affidatisi alla tradizione più alta della
Chiesa cattolica - contribuirono a salvare la democrazia e la civiltà
del nostro Paese; e ciò mentre presuntuosi intellettuali di sinistra
predicavano la via della caverna e, ciechi di fronte ai crimini
di stampo leninista-stalinista, iniziavano la loro triste marcia
dentro il comunismo".
Gedda non volle nulla per sé. Neanche un seggio
in Parlamento. Tornò ai suoi studi di medicina ed è vissuto fino
a ieri lontano dai clamori. Una lezione di stile per tutti quegli
intellettuali che oggi si lasciano acclamare come "padri della patria"
senza che sia chiaro quale sia il loro merito. Per Gedda neanche
la nomina a senatore a vita. Un po' come per Edgardo Sogno.
Entrambi senza riconoscimenti, anzi sotto accusa.
Non a caso i loro nomi si sono trovati affiancati nel recente, farneticante
documento dei Ds alla Commissione stragi. I suoi Comitati civici
sono accusati di aver distribuito armi ai civili (quelle degli americani
e dei partigiani bianchi), nel 1948, in vista di un possibile scontro,
dopo le elezioni, con i comunisti. I Ds arrivano a scrivere che
"è accertato il ruolo svolto dal Vaticano nella gestione di questi
gruppi armati".
I Ds accusano dunque la Santa Sede di banda armata,
però dimenticano di dire cosa facevano i comunisti. I1 professor
Gianni Donno, per esempio, ha di recente ricordato "il comizio infuocato
di Togliatti nel maggio 1947 a Parma, dopo l'estromissione del Pci
dal governo, in cui il Migliore parla di 30mila armati pronti all'azione".
Ma oggi sono gli eredi di Togliatti a puntare
il dito. Anche su Gedda. Il quale non è stato difeso neanche dal
mondo cattolico che, negli anni successivi, prese un'altra strada.
Lo ha raccontato, Gedda, nella sua unica sortita pubblica, per i
50 anni della vittoria, nel libro 18 aprile 1948, memorie inedite
dell'artefice della sconfitta del Fronte popolare (Mondadori, 1998).
Ma questa è un'altra triste storia.
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