LUIGI GEDDA L'ULTIMO DEI CROCIATI
 
articolo di Nello Ajello

da "La Repubblica" del 28 settembre 2000

 
 

Si fa fatica a ricordare che Luigi Gedda, veneziano, morto ieri novantottenne a Roma, fu "anche" uno scienziato eminente, un'autorità internazionale nel campo dello studio dei gemelli, fondatore e direttore di un autorevole istituto intestato a Gregorio Mendel. All'interno della sua fama, l'attività da lui svolta tra fede e politica è soverchiante al punto da mettere in ombra qualsiasi altro connotato, per lusinghiero che sia. E' d'altronde lui stesso, Gedda, a suggerire una simile chiave di lettura della propria vita. Nell'autobiografia, uscita due anni fa e intitolata 18 aprile1948, egli si presenta ai lettori come "l'artefice della sconfitta del Fronte Popolare". Fu quella la sua gloria. Tale egli l'ha sempre considerata.

Ma la "gloria" del 18 aprile non fu per lui un premio inatteso.

Rappresentò, piuttosto, il frutto di un minuzioso apprendistato. Presidente, fin dal 1934, della gioventù di Azione Cattolica, Gedda aveva fondato Il Vittorioso, l'unico settimanale capace di opporsi, con una netta impostazione confessionale ma con indubbia vivacità tecnica, al predominio della stampa infantile "laica". Erano queste le possibilità che si offrivano allora al proselitismo religioso, tollerato di malavoglia dal fascismo. Il talento di Gedda si manifestò appena le condizioni del Paese lo consentirono. Oltre che dirigente cattolico, Gedda era stato "seniore" della milizia fascista, forse nel vano intento di "cattolicizzarla dall'interno", come riferisce lo storico Pietro Scoppola. Un'occasione assai più propizia gli si presentò subito dopo la caduta del regime. Porta la sua firma una lettera indirizzata a Pietro Badoglio, da poco capo del governo. Data: 11 agosto 1943. Dopo aver citato qualche dato sulla "forza" numerica dell'Azione Cattolica - oltre due milioni e mezzo d'iscritti - Gedda dichiara di volerla mettere a disposizione del nuovo esecutivo. Fa presente che, trattandosi di persone "moralmente sane, di provata fede alla patria e scevre di passionalità politica", possono essere "vantaggiosamente impiegate". Esempio: l'Azione cattolica consiglierebbe i nomi di elementi cui "affidare mansioni direttive nell'Eiar", l'ente radiofonico dell'epoca, ai fini di controbattere "la propaganda sovversiva del proselitismo comunista".

Il programma politico-religioso di Gedda è dunque già fissato.

Ben altri appuntamenti lo confermeranno nel suo rango di attivista al servizio di un confessionalismo integrale. La sua vita è scandita dalle udienze che gli concedono i Pontefici. Specie Pio XII. Un colloquio che Eugenio Pacelli gli accordò il 18 dicembre 1946, si risolse praticamente in un lamento: Sua Santità è "deluso della Democrazia Cristiana", "frazionata in correnti e perciò incapace di imporsi". "Ho l'impressione" (sono le parole del papa riferite da Gedda, ormai presidente dell'Azione Cattolica) "che se non s'impegna tutto, si può perdere tutto". L'unico uomo politico che il Pontefice apprezza è il "qualunquista" Guglielmo Giannini.

Perfino dell'Azione Cattolica, e del suo operato, si dichiara insoddisfatto.

Forte di queste confidenze, il "professore" s'impegna a trasformare i propri effettivi in una schiera adatta alla "crociata" cui mancano solo sette mesi. Appare del tutto sincero l'entusiasmo con il quale egli descrive la manifestazione che, l'8 settembre 1947, vede riuniti in piazza San Pietro "settantamila Uomini Cattolici provenienti da ogni parte d'Italia", oltre "alle migliaia di fedeli di Roma e del Lazio". "Moltitudine imponente", "mare ondeggiante" li definisce il Pontefice in un discorso in cui si preannunzia la battaglia della prossima primavera. La parola d'ordine è, ormai, "mobilitazione". Occorre soltanto uno strumento operativo. Non può essere nè l'Azione Cattolica - sembrerebbe una lampante lesione del Concordato - né, da sola, la Dc, la cui "mancanza di giudizio" continua a deludere il Pontefice. Nel gennaio del 1948 Gedda si sente ispirato: "mi viene in mente un nome che fu quello definitivo e fece epoca: Comitati Civici". Il Papa approva: "Faccia lei, ho fiducia in lei".

La campagna elettorale per il 18 aprile del 48 è stata descritta innumerevoli volte. Non manca chi la considera il capolavoro di Gedda. Certo, nel creare il clima in cui essa si svolse, l'opera del "professore" e l'attività delle tante associazioni confessionali che si affratellarono nei Comitati geddiani (in un suo saggio Federico Orlando ne cita trentadue) fu determinante nel costruire il "Clima". Lo stesso "professore" non nasconde, nelle sue memorie, di essersi considerato in quella circostanze, una sorta di vicario del Vicario di Cristo. Lo tiene informato su tutto ("sottopongo al Santo Padre il materiale, opuscoli, manifestini, pieghevoli, ecc."), sollecita e ottiene sovvenzioni. Lo mette (così assicura) "di buon umore" a furia di "notizie positive" sull'andamento della campagna. "Il 18 aprile è stata una bella pagina scritta dall'Italia cattolica", scriverà Gedda a cose fatte. La Dc fu soltanto "la veste di circostanza" che si volle dare alla vittoria.

Fu l'evento che segna una vita. Ma non si può dire che la concluda. Nel '48 Gedda ha attuato con la Dc un metodo di contrattazione di cui si vorrà servirsi anche in seguito, fra alterne fortune. Non ne ebbe molta nella primavera del 1952 quando fu il massimo fautore, per le elezioni amministrative a Roma, d'un listone in cui la Dc avrebbe dovuto presentarsi con i monarchici e i missini. Per la fermezza di De Gasperi e l'opposizione del Cardinal Montini, l' "apparentamento", cui venne dato il nome di operazione Sturzo, fallì. Ma mai si sarebbe modificato il giudizio negativo del "professore" nei riguardi della Democrazia cristiana, da lui considerata un illusorio argine al comunismo. Con i democristiani, da De Gasperi in giù, e anche dopo di lui, non volle mai molto mischiarsi. Ancora due anni fa, rievocando il proprio rifiuto di candidarsi per un seggio senatoriale, scriveva:"La mia rinunzia dimostrava lungimiranza: la strada verso l'intesa con il comunismo avrebbe portato il partito alle vicende tragiche di Aldo Moro e di Vittorio Bachelet, alla politica intesa non come missione ma come professione, alla partitocrazia e a Tangentopoli, quindi alla dissoluzione della Dc che Pio XII aveva così aiutato".

Un testamento, a suo modo, traboccante di coerenza.