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Si fa fatica a ricordare che Luigi Gedda, veneziano,
morto ieri novantottenne a Roma, fu "anche" uno scienziato eminente,
un'autorità internazionale nel campo dello studio dei gemelli, fondatore
e direttore di un autorevole istituto intestato a Gregorio Mendel.
All'interno della sua fama, l'attività da lui svolta tra fede e
politica è soverchiante al punto da mettere in ombra qualsiasi altro
connotato, per lusinghiero che sia. E' d'altronde lui stesso, Gedda,
a suggerire una simile chiave di lettura della propria vita. Nell'autobiografia,
uscita due anni fa e intitolata 18 aprile1948, egli si presenta
ai lettori come "l'artefice della sconfitta del Fronte Popolare".
Fu quella la sua gloria. Tale egli l'ha sempre considerata.
Ma la "gloria" del 18 aprile non fu per lui
un premio inatteso.
Rappresentò, piuttosto, il frutto di un minuzioso
apprendistato. Presidente, fin dal 1934, della gioventù di Azione
Cattolica, Gedda aveva fondato Il Vittorioso, l'unico settimanale
capace di opporsi, con una netta impostazione confessionale ma con
indubbia vivacità tecnica, al predominio della stampa infantile
"laica". Erano queste le possibilità che si offrivano allora al
proselitismo religioso, tollerato di malavoglia dal fascismo. Il
talento di Gedda si manifestò appena le condizioni del Paese lo
consentirono. Oltre che dirigente cattolico, Gedda era stato "seniore"
della milizia fascista, forse nel vano intento di "cattolicizzarla
dall'interno", come riferisce lo storico Pietro Scoppola. Un'occasione
assai più propizia gli si presentò subito dopo la caduta del regime.
Porta la sua firma una lettera indirizzata a Pietro Badoglio, da
poco capo del governo. Data: 11 agosto 1943. Dopo aver citato qualche
dato sulla "forza" numerica dell'Azione Cattolica - oltre due milioni
e mezzo d'iscritti - Gedda dichiara di volerla mettere a disposizione
del nuovo esecutivo. Fa presente che, trattandosi di persone "moralmente
sane, di provata fede alla patria e scevre di passionalità politica",
possono essere "vantaggiosamente impiegate". Esempio: l'Azione cattolica
consiglierebbe i nomi di elementi cui "affidare mansioni direttive
nell'Eiar", l'ente radiofonico dell'epoca, ai fini di controbattere
"la propaganda sovversiva del proselitismo comunista".
Il programma politico-religioso di Gedda è dunque
già fissato.
Ben altri appuntamenti lo confermeranno nel suo
rango di attivista al servizio di un confessionalismo integrale.
La sua vita è scandita dalle udienze che gli concedono i Pontefici.
Specie Pio XII. Un colloquio che Eugenio Pacelli gli accordò il
18 dicembre 1946, si risolse praticamente in un lamento: Sua Santità
è "deluso della Democrazia Cristiana", "frazionata in correnti e
perciò incapace di imporsi". "Ho l'impressione" (sono le parole
del papa riferite da Gedda, ormai presidente dell'Azione Cattolica)
"che se non s'impegna tutto, si può perdere tutto". L'unico uomo
politico che il Pontefice apprezza è il "qualunquista" Guglielmo
Giannini.
Perfino dell'Azione Cattolica, e del suo operato,
si dichiara insoddisfatto.
Forte di queste confidenze, il "professore" s'impegna
a trasformare i propri effettivi in una schiera adatta alla "crociata"
cui mancano solo sette mesi. Appare del tutto sincero l'entusiasmo
con il quale egli descrive la manifestazione che, l'8 settembre
1947, vede riuniti in piazza San Pietro "settantamila Uomini Cattolici
provenienti da ogni parte d'Italia", oltre "alle migliaia di fedeli
di Roma e del Lazio". "Moltitudine imponente", "mare ondeggiante"
li definisce il Pontefice in un discorso in cui si preannunzia la
battaglia della prossima primavera. La parola d'ordine è, ormai,
"mobilitazione". Occorre soltanto uno strumento operativo. Non può
essere nè l'Azione Cattolica - sembrerebbe una lampante lesione
del Concordato - né, da sola, la Dc, la cui "mancanza di giudizio"
continua a deludere il Pontefice. Nel gennaio del 1948 Gedda si
sente ispirato: "mi viene in mente un nome che fu quello definitivo
e fece epoca: Comitati Civici". Il Papa approva: "Faccia lei, ho
fiducia in lei".
La campagna elettorale per il 18 aprile del 48
è stata descritta innumerevoli volte. Non manca chi la considera
il capolavoro di Gedda. Certo, nel creare il clima in cui essa si
svolse, l'opera del "professore" e l'attività delle tante associazioni
confessionali che si affratellarono nei Comitati geddiani (in un
suo saggio Federico Orlando ne cita trentadue) fu determinante nel
costruire il "Clima". Lo stesso "professore" non nasconde, nelle
sue memorie, di essersi considerato in quella circostanze, una sorta
di vicario del Vicario di Cristo. Lo tiene informato su tutto ("sottopongo
al Santo Padre il materiale, opuscoli, manifestini, pieghevoli,
ecc."), sollecita e ottiene sovvenzioni. Lo mette (così assicura)
"di buon umore" a furia di "notizie positive" sull'andamento della
campagna. "Il 18 aprile è stata una bella pagina scritta dall'Italia
cattolica", scriverà Gedda a cose fatte. La Dc fu soltanto "la veste
di circostanza" che si volle dare alla vittoria.
Fu l'evento che segna una vita. Ma non si può
dire che la concluda. Nel '48 Gedda ha attuato con la Dc un metodo
di contrattazione di cui si vorrà servirsi anche in seguito, fra
alterne fortune. Non ne ebbe molta nella primavera del 1952 quando
fu il massimo fautore, per le elezioni amministrative a Roma, d'un
listone in cui la Dc avrebbe dovuto presentarsi con i monarchici
e i missini. Per la fermezza di De Gasperi e l'opposizione del Cardinal
Montini, l' "apparentamento", cui venne dato il nome di operazione
Sturzo, fallì. Ma mai si sarebbe modificato il giudizio negativo
del "professore" nei riguardi della Democrazia cristiana, da lui
considerata un illusorio argine al comunismo. Con i democristiani,
da De Gasperi in giù, e anche dopo di lui, non volle mai molto mischiarsi.
Ancora due anni fa, rievocando il proprio rifiuto di candidarsi
per un seggio senatoriale, scriveva:"La mia rinunzia dimostrava
lungimiranza: la strada verso l'intesa con il comunismo avrebbe
portato il partito alle vicende tragiche di Aldo Moro e di Vittorio
Bachelet, alla politica intesa non come missione ma come professione,
alla partitocrazia e a Tangentopoli, quindi alla dissoluzione della
Dc che Pio XII aveva così aiutato".
Un testamento, a suo modo, traboccante di coerenza.
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