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Col tempo, come succede,
i ricordi si facevano sempre più netti e semplici nella loro solenne
essenzialità. Per cui un giorno Luigi Gedda, morto ieri a Roma all'età
di 98 anni, ha raccontato al giornalista Mauro Anselmo, uno dei
pochi cui il grande vecchio del cattolicesimo politico italiano
concedeva il privilegio di raccogliere quelle sue preziose e battagliere
memorie, che Pio XII lo convocò e gli disse chiaro e secco: "Gedda,
bisogna salvare il Paese e fermare i comunisti, mi fido di lei...".
Era
il primo febbraio del 1948. La leggenda bianca e trionfale di quella
storica vittoria, di lì a un paio di mesi archiviata come
"una scelta di civiltà", vuole che l'allora quaranteseienne vicepresidente
dell'Azione cattolica impiegò appena due settimane - roba da far
invidia al Berlusconi del 1994 - non solo per progettare, ma anche
per costruire materialmente "l'armatura incrollabile" per la "buona
battaglia" del 18 aprile.
Forse non furono proprio
quindici giorni, ma certo l'apporto dei Comitati civici, con i loro
300mila volontari e 20 mila comitati di base fissi nelle 16 mila
parrocchie italiane, fu più che decisivo. La dc, che pure Gedda
vedeva se non di malocchio con una certa lungimirante e perfino
legittima (dal suo punto di vista) diffidenza, ottenne il 48,5 per
cento e la maggioranza assoluta. Di nuovo il Papa lo convocò. Anche
allora poche parole: "E' stato un lavoro ben fatto". E per ringraziamento
- che tempi fantastici - gli regalò un orologio.
Ancora negli scorsi anni
Gedda si definiva "esaltato" da quei ricordi, che pure nei democristiani
di di lunghissimo corso suscitavano piccoli travasi di bile. Eppure
nessuno, neppure nei momenti dell'emarginazione post-conciliare,
ha mai potuto mettere anche soltanto in dubbio che sia stato lui,
cattolico che oggi si potrebbe definire del pensiero forte, il vero
protagonista della grande mobilitazione quarantottesca e lo stratega
di quella "lotta decisiva"- "O con Cristo, o contro Cristo!" - in
cui trovò espressione una Chiesa pugnace e aggressiva, comunque
animata da "spirito di conquista", o di crociata che dir si voglia.
Non che fosse mai stato un suo intendimento,
ma ci sarebbe pure da dire che Gedda è sopravvissuto alla dc, sulla
cui scomparsa negli anni di Tangentopoli ha finito per dare una
spiegazione non solo plausibile, ma perfino oggettivamente condivisibile:
"Ottenuta la maggioranza, la dc ha pensato di allargare il Tevere,
rispondendo più a se stessa che ai valori cristiani. E così - proseguiva
Gedda al momento delle convulsioni terminali dello scudo crociato
- si è persa totalmente nell'amministrazione delle cose; è vissuta
di rendita; in molti casi ha fatto anche affari".
Fosse stato per lui, non sarebbe successo.
E non solo perché non fu mai un democristiano (nel 1948 rifiutò
il collegio elettorale di Viterbo). La sua era una studiatissima
estraneità. "Siam gli araldi della Fede" prometteva l'inno dei baschi
blu dell'Azione cattolica, che tra l'altro in quegli anni disponeva
di 2 milioni e 400 mila iscritti, contro i 920 mila della dc. In
realtà, i "suoi" Comitati civici sembravano, anzi erano fatti apposta
per svolgere funzioni di occhiuto e parallelo controllo - o di indirizzo,
se si preferisce - sul partito. Attraverso i vescovi, i fiduciari
di Gedda sorvegliavano la moralità degli esponenti, avevano l'ultima
parola sulle liste elettorali, riservandosi la penultima sull'attività
parlamentare. E anche quando c'era da fare a botte, beh, fecero
la loro comparsa certi frati un po' menacciuti: "frati volanti"
furono detti per la loro indubbia mobilità.
Poi la dc, con l'aiuto
di potenti esponenti della Curia (Montini, soprattutto) e grazie
alla teoria dell'unità politica dei cattolici, riuscì gradualmente
e astutamente a evitare l'istituzionalizzazione dei Comitati, così
svincolandosi dal pesante giogo di Gedda. Il quale Gedda, tuttavia,
bisogna anche riconoscere che aveva cominciato la sua straordinaria
attività di servizio a Santa Romana Chiesa ben prima che nascesse
la dc, con i suoi sottili tormenti e le sue laceranti distinzioni.
Era nato a Venezia nel 1902, cresciuto
a Torino e a Milano. Aveva perso la mamma poco meno che adolescente,
ma fu orfano per pochissimo, ritrovando una ben più impegnativa
madre nell'istituzione ecclesiastica, alla cui soddisfazione dedicò
strenuamente, oltre che la fede profonda, incentrata sul mistero
dell'agonia di Cristo nei Getsemani, la sua versatile intelligenza
(era anche un grande studioso di genetica, specializzato in gemellologia)
e la fenomenale capacità organizzativa.
Fu infatti "presidente
di quella Gioventù di Azione cattolica che Pio XI considerava "la
pupilla dei miei occhi" dal 1934 al 1946; presidente degli Uomini
di Ac dal 1946 al 1949; e infine - ma in realtà la vita e i successi
di Gedda continuarono sul terreno della scienza fino agli anni ottanta
- presidente generale di tutta l'organizzazione dal 1952 al 1959.
Periodo quest'ultimo nel quale giunse a maturazione e quindi si
può dire che esplose il disagio e il dissenso, con dimissioni, proteste
e radicali scelte di vita, di due dirigenti come Carlo Carretto
e Mario Rossi, orientati verso un cattolicesimo che più tardi fu
definito democratico, o conciliare, o comunque più tenue, più spirituale,
meno teocraticamente aggressivo di quello di Gedda.
Questi fu infatti un
grande uomo d'ordine, nel senso anche positivo dell'espressione,
e come tale non esitò a trasformare un'associazione sopravvissuta
allo Stato liberale e ai colpi del fascismo in una infallibile macchina
di apostolato gerarchico e di massa, un miracoloso blocco sociale,
modello ingegneristico di consenso e chiamata alle armi contro,
il comunismo. Però mai questa sua caratteristica lo costrinse a
essere un personaggio d'altri tempi, o all'antica.
Di Gedda, anzi, continua a sorprendere
ancora oggi l'indubbia modernità, il suo vivere certo al servizio
della maestà della Chiesa, ma sempre immerso nel suo tempo, e con
lo sguardo semmai al futuro. Fu lui, per dire, a inventare nel 1937
Il Vittorioso, uno dei primi giornaletti per strappare i ragazzi
tanto alla propaganda fascista, quanto alle "donnine" dei fumetti
americani alla Flash Gordon. Fu lui a lanciare quello straordinario
disegnatore che fu Benito Jacovitti e ancora lui a scoprire e a
giocarsi la popolarità di Gino Bartali. Fu sempre lui a impostare,
per le elezioni del 1948, la più innovativa, colorata ed efficace
propaganda murale della storia repubblicana, coniugando la cartellonistica
cinematografica alle aggiornate tecniche psicologiche made in Usa.
Manifesti ancora stupendi nella loro drammaticità, bimbi, mostri,
fili spinati, mani pelose, ossa spolpate nel piatto, slogan indimenticabili:
"Vota anche se piove". Non a caso fu tra i fondatori del Centro
Cattolico Cinematografico e addirittura scrisse il soggetto e stabilì
il titolo ("Pastor Angelicus") di un film che come protagonista
aveva Pio XII.
Sessantaquattro udienze
private gli concesse quel Pontefice. In alcune di queste, nel 1952,
si parlò dell'ultimo servizio che la Chiesa reclamò alla sua mente
operativa, una lista in cui la dc si sarebbe dovuta sposare con
la destra monarchica e missina al comune di Roma, al solito per
scongiurare la minaccia comunista. Ma l' "operazione Sturzo" (scelto
come capolista) non andò in porto. Ciò nonostante, De Gasperi la
prese malissimo, il Papa non volle più riceverlo, alcuni raccontano
che arrivò a piangere.
Ma fu il vero tramonto
di Gedda. Da allora, almeno per la politica rimase nell'ombra, fedele
al vecchio motto dell'Ac: "Preghiera, Azione, Sacrificio". Alla
guida dell'Istituto Gregorio Mendel, si dedicò ai suoi gemelli.
E ancora oggi, se si consulta Internet alla voce "Luigi Gedda",
si è sommersi in egual misura da studi biologici e da lampi di cattolicesimo
di battaglia.
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