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In morte di Carlo Hinterman

2 Gennaio 2001

Fino a qualche giorno fa il nome di Carlo Hinterman aveva per me il potere evocativo di una lavagna lavata di fresco. Poi ho ricevuto l'assai tempestivo invito a scrivere qualcosa sulla sua morte. Avvenuta un numero imprecisato di anni fa nella mia città, Acireale. Era un occasione che era meglio non lasciarsi sfuggire visto che la mia è una città di provincia, che la provincia è Catania e che le probabilità che un altro personaggio del continente abbia la sventura di compiere qui il fatidico passo sono quasi infinitesimali.

Così ho cominciato le ricerche, fiduciosa nella dritta concessami: il mio uomo era un noto attore di teatro. Mi sono tuffata tra le pagine delle enciclopedie in mio possesso e tra i libri di storia del teatro. Niente. Ho rovistato ingenuamente tra i ritagli di giornale. Nemmeno un coriandolo di notizia. Ho confidato nei miei, all'epoca discreti frequentatori di teatro, ricevendo per risposta una nuova caterva di interrogativi. Sono quasi annegata in Internet tra siti italiani e stranieri, ingannata dall'esotismo di quel cognome. Poi la dea bendata ha deciso di lanciarmi un salvagente ed è apparsa una schermata con una densa filmografia, poiché il noto attore di teatro era stato anche un discreto attore cinematografico.

Carlo Hinterman, nato a Milano il 2 aprile del 1923 era morto a causa di un road accident, boccheggiava la laconica pagina Web, il 7 gennaio del 1988. All'epoca chi scrive non aveva ancora compiuto otto anni, e probabilmente faticava a prendere sonno per le terribili prospettive del suo prossimo futuro: fine delle sue terze vacanze natalizie e inizio della scuola. E intanto un uomo di cui non sospettava l'esistenza veniva travolto da un'auto, forse sotto casa sua. Forse non avevo nemmeno sentito l'ambulanza ululare intorno all'ammiccante abete di Piazza Europa e spegnersi tra le mura dell'ospedale. Quel pensiero è bastato a sconvolgere una sonnacchiosa mattina iniziata con lo studio del metodo statistico in storiografia.

In videoteca ho ottenuto solo una crisi di nervi della solitamente paziente commessa, sui resti di un PC andato in tilt. Trenta ruoli coperti dal 1950 al 1978 e non potevo avere l'onore di ammirarne nessuno! In biblioteca, c'erano quattro attempate impiegate, nessuna traccia di strumenti telematici, qualche sedia pronta a tirare le cuoia e… io, ormai troppo curiosa per mollare. Ma in premio di cotanta resistenza ricevo la confortante notizia che le raccolte di quotidiani da me richieste non erano state rosicchiate dai topi. Mi si conduce tra sorrisi di trionfo l'oggetto del desiderio.

Nella pagina culturale del quotidiano La Sicilia di venerdì 8 gennaio 1988 la notizia principale riguarda l'ennesima trasmissione televisiva. Nella pagina successiva la foto a mezzo busto di un distinto sessantenne tenta una livida posa mimetica. Con scarsi risultati, bisogna ammettere, in barba al redattore. Perché quello sguardo è come un vortice nella piatta marea grigia. E senza leggere. Capisco. Che quell'uomo è Carlo Hinterman. La mia curiosità comincia a trasformarsi in ammirato rimpianto. Rimpianto di non averlo mai visto in scena. Un attore giapponese di teatro Nô direbbe che quell'uomo ha tame, cioè presenza scenica, capacità di "trattenere energia". La maggior parte degli attori occidentali non ne possiede abbastanza. Il tame non è la bellezza, né l'imponenza, né il talento. In un mucchio di attori girati di schiena verso la platea perfettamente immobili si dice che ha tame chi riesce ad attirare l'attenzione del pubblico senza muovere un solo muscolo in più o in meno degli altri. Da quella fotografia color seppia capisco che quell'uomo ha tame. Ha un viso amaramente serio, Hinterman. Quasi malinconico. Forse è la sensazione che dà un volto ormai solo di carta. Forse è solo la luce al neon che picchia forte oggi. Forse è l'impressione complessiva che dà l'articolo e tutta la pagina, quasi s'intendesse sussurrarla in sordina, quella morte. Della figura dell'attore quasi nulla. Nemmeno una parola sulla sua carriera teatrale e cinematografica. Sulla sua figura umana. Si dice che viveva a Roma da molto. Che la sera del 6 gennaio aveva recitato a Catania al teatro Verga in occasione del debutto del Pigmalione di Shaw per la regia di Filippo Crivelli. Che aveva interpretato Alfred Doolittle, padre di Liza, la protagonista (la vivace Franca d'Amato), passata da troglodita a gran signora sotto le mani del suo Pigmalione per scommessa, il professor Higgins (un assurdo Gianrico Tedeschi). Molte lodi sulle capacità degli attori e sul successo della commedia. Fiumi di lacrime e poche parole l'indomani nel camerino per il provato Tedeschi, testimone della tragedia: il nostro è un mestiere ingrato, ma capite, the show must go on. Anche senza Hinterman. Che quella notte era andato ad Acireale per una cena tipica a base di specialità marine. Infine si era trovato ad attraversare la litoranea per rientrare all'albergo Aloha dove alloggiava con l'amico e collega Tedeschi. Conosco quell'albergo bianchissimo dal nome e dalla struttura esotica, con i tetti cilindrici di cotto. Un edificio elegante dalla magnifica vista sul mare, appena fuori dal centro. E conosco le tre strade che s'incrociano in quel punto: l'uscita dalla frazione di S.Caterina, l'uscita da Acireale e la SS114. Quel luogo è tristemente famoso come teatro di almeno un incidente mortale all'anno. La strada è buia. Curve che annullano la visibilità. Il Gazzettino del Sud del 13 gennaio, periodico locale dalle uscite allegramente singhiozzanti, grida alla tragedia annunciata puntando il coltello contro il capro espiatorio di turno che allora rivestiva la carica di sindaco e si rivelava colpevole di aver trascurato la carenza d'illuminazione e segnaletica (e almeno si spiega il silenzio imbarazzato della Sicilia). Ma che ne sapeva Carlo Hinterman, milanese residente in Roma, della guerriglia combattuta a suon di missive agli angoli delle strade di una cittadina termale del profondo Sud… Erano le 2 del 7 gennaio 1988. Si spegnevano gli ultimi colori di Natale. Hinterman non poteva immaginare. Che stava per salire anche lui su quel palco. Che sarebbe stato l'ultimo. Una Renault 4 rossa con a bordo un ventiduenne acese si avvicinava velocemente. Chissà cosa pensava Hinterman. Magari era rimasto abbagliato dall'insegna dell'albergo. Aloha, Carlo. Benvenuto. Magari risentiva gli applausi di qualche ora prima. Aloha, Carlo. Grazie. Chissà che pensava, mentre nell'impatto spiccava un volo di 25 metri. Che in Sicilia fa freddo in inverno. Che la notte è buia. Traditrice. E la morte. Pure. Aloha, Carlo. Sipario.

 

Sebina