Chi è Maab...

 

> Maab, secondo noi...

Maab - Voci di etere, rivista telematica di Arte e Cultura, nasce il 14 Dicembre del 2000. Perchè "Maab"? Maab nelle leggende nordiche era la levatrice delle fate, colei che faceva vedere la luce a mille creature magiche che popolavano i boschi e i fiumi. In molti drammi di Shakespeare appare il suo nome evocato nei discorsi dei personaggi. Noi vogliamo rifarci alla definizione che ne dà Mercutio nel Romeo e Giulietta. Mercutio è un personaggio atipico che sembra sempre in delirio, e parla, parla... come se qualcosa gli impedisse di smettere. Ma nei suoi nonsense si nasconde forse lo Shakespeare più autentico: il linguaggio di Mercutio è come il codice HTML che usiamo nei nostri PC, è quello che sta dietro il testo apparente che conta, che dà sostanza e forma alle nostre idee e... ai sogni. Senza quel linguaggio non sarebbe esistito il Romeo e Giulietta, né il Sogno di una notte di mezza estate e nemmeno l'Amleto. Il linguaggio di Mercutio è il codice cifrato di ogni forma d'arte. La materia di cui sono fatti i sogni. Il cinema. Il teatro. La musica. La letteratura. Di tutti i tempi. Mercutio è l'essenza di ogni uomo che pensa. Che spera. Che ride. E quando serve non dimentica di piangere. A questo punto vi starete chiedendo perché Maab e non Mercutio, allora. Semplice. Maab è la dea di Mercutio, è lei che regna sotto tutti i suoi soliloqui, a lei dedica la sua morte dolcemente gridata sotto il velo della finzione. A Maab si immola Mercutio, nelle pagine shakespeariane. A Maab noi dedichiamo questo mondo fatto di sogni e di parole, in pagine fatte d'etere. Perché chi l'ha dimenticata si ricordi di lei.

 

Maab, secondo Shakespeare...

Dal Romeo e Giulietta di Shakespeare: I Atto, scena IV. Sono in scena Romeo e Mercutio.

ROMEO: Stanotte ho sognato un sogno.[...]

MERCUTIO: Oh, vuol dire allora che la regina Maab è venuta a farti visita. È la levatrice delle fate, e se ne viene in forma non più grossa che una pietra d'agata all'indice d'un consigliere comunale, trainata da un equipaggio di piccoli atomi traverso i nasi degli uomini quand'essi giacciono addormentati. I raggi delle sue ruote son fatti di lunghe zampe di ragno; il mantice di ali di cavallette; le tirelle dei più esili fili di ragnatela; i pettorali dei rugiadosi raggi della luna; il manico della frusta d'un osso di grillo; la sferza appena d'un filamento. Il cocchiere, poi, è un moscerino dalla bigia assisa, non grande neppure a metà quanto il piccolo vermiciattolo arrotolato tratto fuor dal dito pigro d'una fanciulla. Una nocella svuotata è il suo cocchio, lavorato dallo scoiattolo ebanista o dal vecchio lombrico, che da un tempo immemorabile si son fatti carrozzieri delle fate. E in questo arnese ella galoppa ogni notte attraverso il cervello degli amanti, e li fa sognare d'amore; sulle ginocchia dei cortigiani, che così sognan subito di elaborati inchini; sulle dita degli avvocati, che non metton tempo in mezzo a sognar parcelle, sulle labbra delle belle donne, che immantinente sognano baci: ma quelle, incollerita, Maab subito affligge di pustole, da che l'alito loro è guasto dal mangiar troppi confetti. Galoppa ella talvolta sul naso d'un usciere di tribunale, che sogna di snuffiare un processo, e si reca talora con la coda d'un porcellino della decima a fare il solletico sott'al naso d'un parroco addormentato, che sogna d'aggiungersi un altro benefizio. E gira a volte in carrozza attorno al collo d'un soldato, e questi sogna di tagliar gole straniere, e breccie e imboscate e lame spagnuole e brindisi in bicchieri profondi in cinque tese; e d'un tratto, ecco, egli sente rullare il tamburo, e trasalisce e si desta, e, colpito dallo spavento, bestemmia qualche giaculatoria, e subito ripiomba nel sonno. Questa è la stessa Maab che a notte intreccia le criniere dei cavalli, e stringe dei magici nodi nei loro crini unti e bisunti, che, se districati, portano con sé il malocchio. È lei la maga che quando le fanciulle giacciono in letto con la pancia all'aria, le preme e insegna loro a portare, e le trasforma in donne di bel portamento. Essa è colei...

ROMEO: Basta, basta Mercutio, basta! Tu parli del nulla.

MERCUTIO: E' vero, io parlo di sogni, che sono i figliuoli d'un cervello ozioso, generati da null'altro se non da un vano fantasticare, e d'una sostanza imponderabile quanto l'aria, e più incostante del vento che pur ora corteggia il gelido seno del settentrione, e che indi, crucciato, muove rivolto il viso al mezzogiorno stillante di rugiada...