Associazione
nazionale magistrati XXVII
Congresso Nazionale «Giustizia
più efficiente e indipendenza dei magistrati a garanzia dei cittadini» (Venezia,
5-8 febbraio 2004) LA
RIFORMA DELLORDINAMENTO GIUDIZIARIO Sommario: 1. Disegno di legge 1296 e articolo VII delle Disposizioni transitorie e finali della Costituzione italiana. 2. Ideologie autoritarie e funzionalizzazione della magistratura. 3. Il problema della carriera dei magistrati. 4. Il sistema di concorsi previsto dal Ddl 1296: dubbi di costituzionalità e perplessità di ordine generale. 5. Separazione delle carriere e tendenziale gerarchizzazione dellordine generale. 6. Professionalità dei magistrati e Scuola superiore della Magistratura. 7. La composizione dei Consigli giudiziari. 8. Collaborazione, non contrapposizione. Il 21 gennaio
2004, il Senato della Repubblica ha approvato il Ddl 1296, che contiene, al Capo I,
«Delega al Governo per la riforma dellordinamento giudiziario». Si potrebbe
dire: finalmente! A distanza di 56 anni dallentrata in vigore della Costituzione
repubblicana, un ramo del Parlamento ha varato un disegno di legge organico,
destinato a disciplinare lintera materia, senza limitarsi a modifiche parziali,
integrazioni, rattoppi e faticosì adeguamenti, come sinora è avvenuto. Più difficile
sarebbe però affermare che è stata data attuazione allarticolo 7 delle
Disposizioni transitorie e finali della Carta fondamentale, laddove prevede una nuova
legge sullordinamento giudiziario in conformità con la Costituzione. Larchitettura
del sistema giudiziario italiano disegnata da questatto legislativo appare infatti
in molti punti divergente da quella ideata dai Padri costituenti, che ha avuto pur
parziali e spesso contraddittorie realizzazioni nel corso dei cinque decenni posteriori al
1948. 2. Non voglio
attardarmi a ripercorrere nei particolari la lunga, e talvolta tortuosa, vicenda della
progressiva trasformazione del sistema giudiziario italiano da struttura gerarchica posta
a ridosso del sistema politico a potere orizzontale e diffuso, orientato esclusivamente a
garantire il primato della Costituzione e della legge. Sè trattato di un cammino
accidentato, con molte stasi e poche accelerazioni. Possiamo dire in modo sintetico che,
nonostante le difficoltà, cominciavano ad emergere, a partire da una certa fase storica,
un assetto istituzionale ed una cultura della giurisdizione più coerenti con i principi
della democrazie pluralista. Molta strada restava da fare e molti difetti ancora
permanevano nellordinamento. Tuttavia oggi si avverte il pericolo di una brusca
sterzata, destinata ad invertire il senso di marcia, per riportare la giurisdizione verso
irrigidimenti burocratico-verticistici propri di altri tempi. Il dato curioso
è che alcuni tra i più ferventi sostenitori dellattuale progetto di riforma
parlano spesso di modernizzazione della magistratura, al fine di rendere il
servizio-giustizia più efficiente e quindi più idoneo alla tutela dei diritti dei
cittadini, ragion dessere ultima della stessa giurisdizione. Lesperienza
tragica della prima metà del XX secolo in Europa e quella attuale di molti Stati non
democratici contemporanei dovrebbe ormai averci immunizzato dalla fallace equazione
autoritarismo=efficienza. I regimi fascisti e comunisti erano autoritari, ma anche
inefficienti ed erano costretti a tenere i popoli sotto la continua pressione di guerre
contro nemici esterni ed interni per evitare il sempre incombente disfacimento. Questi
regimi, tra loro opposti ed in mortale contrapposizione, avevano ed hanno in comune il
rifiuto dellindipendenza della magistratura e delle autonomie territoriali e
funzionali. Anche quegli ordinamenti che presentavano nella propria Costituzione una
struttura federale molto avanzata (si pensi al caso emblematico dellUrss)
compensavano lapparente allentamento della loro natura verticale con un ferreo
accentramento politico, in base al quale tutto il potere era nelle mani di un partito, di
un leader e di un ristretto gruppo dirigente. Se rileggiamo
oggi la letteratura marxista-leninista, che esprimeva la dottrina ufficiale
dei Paesi del cosiddetto socialismo reale, troviamo ragionamenti a
volte rozzi, a volte più raffinati basati sul primato della politica sul diritto,
della volontà del popolo, e dei suoi interpreti, sulla legge scritta e oggettivata nelle
pronunce dei Tribunali. Troviamo pure la finalizzazione della giurisdizione al
conseguimento dei grandi obbiettivi politici del regime. La magistratura è stata quindi
concepita come instrumentum domini dalle ideologie fasciste e comuniste, nelle loro
diverse varianti, ma anche - non bisogna dimenticarlo - dal radicalismo democratico di
marca giacobina di più antica data. Proprio la
cultura giacobina dellassoluta prevalenza della volonté générale stava alla base
del rifiuto dellinterpretazione giudiziaria della legge e dellistituto, presto
tramontato, del référé législatif. Uneco molto specifica di questa dottrina si
può trovare oggi nellarticolo 7, comma 1, lettera c), n. 9), che configura come
comportamento di rilevanza disciplinare «ladozione di atti e provvedimenti il cui
contenuto palesemente e inequivocabilmente sia contro la lettera e la volontà della
legge». Anziché riferirsi allatto o provvedimento abnorme, caratterizzato dalla
sua natura extrasistematica, e per questo censurabile in sede disciplinare, si preferisce
far leva sul concetto di volontà della legge, soggettivisticamente concepita,
ben diversa dalla ratio legis, da ricostruire invece nel contesto del tessuto normativo
oggettivo, secondo linterrelazione tra le nonne valutata sia in senso sincronico che
diacronico. Il punto
centrale di tutte le ideologie basate sul primato della politica è la
costruzione del sistema giudiziario come piramide di funzionari votati
allapplicazione della volontà del sovrano, sia questo un dittatore, un partito
dominante o una maggioranza parlamentare elettiva. Esattamente il contrario della
concezione, di origine anglosassone, fondata sulla essenziale distinzione tra gubernaculum
e iurisdictio, tra sfera del dominio politico e sfera dei diritti. Non di
modernizzazione perciò bisognerebbe parlare, ma di funzionalizzazione della magistratura,
secondo una tendenza antica e ricorrente nella storia delle istituzioni. 3. La figura
del giudice - funzionario è sopravvissuta per molti anni allentrata in vigore della
Costituzione italiana del 1948, che aveva invece messo da parte, anche se con prudenza, il
vecchio modello per introdurre principi fortemente innovativi. Restano nella storia
costituzionale italiana le pagine incisive di Giuseppe Maranini, studioso di schietta
formazione liberale, nelle quali lalternativa magistrati o funzionari
era posta con grande lucidità. La strada verso
lindipendenza effettiva, che non si addice al funzionario, anche dopo
lattivazione del Csm, era seriamente ostacolata da un problema di non facile
soluzione. Come conciliare lo status dei magistrati, pur sempre pubblici impiegati
reclutati per concorso, secondo larticolo 106, comma 1, Costituzione, con il rigetto
della gerarchia esplicitamente proclamato dallarticolo 107, comma 3, della medesima
Carta? Abolizione della carriera e distribuzione dei magistrati sui vari livelli della
giurisdizione appariva problema simile alla quadratura del cerchio. Lassoggettamento
ai superiori gerarchici non è meno dannoso per limparzialità del giudice di quanto
lo sia la dipendenza del potere politico. Se poi si verificano luna laltra
condizione, si possono tranquillamente strappare i ritratti di Montesquieu, vecchio
utopista, come tale presentato infatti dalla tradizionale manualistica giuridica, molto
preoccupata di segnalare gli eccessi della teoria della separazione dei
poteri. La stessa
Costituzione parla di, promozioni dei magistrati. Qualunque sia il significato
preciso che si vuole dare a questo termine, non si può cancellare il suo nucleo
essenziale di miglioramento della propria condizione professionale ed economica.
Lintroduzione della progressione a ruoli aperti avrebbe dovuto essere,
per attuare correttamente il dettato costituzionale, la sintesi del massimo di rigore
valutativo sulla professionalità e del massimo di indipendenza del singolo magistrato.
Solo questa sintesi poteva evitare gli opposti pericoli della carriera garantita ope
legis, senza verifiche di mento (non voluta dalla Costituzione, che parla appunto di
promozioni) e della sfrenata concorrenzialità interna tra i magistrati,
aspiranti a salire verso i 1 vertice della piramide, magari tentando di buttare di sotto i
competitori con lesibizione del proprio conformismo. Purtroppo nella
prassi sè affermato il principio noto volgarmente come anzianità senza
demerito, che si è rapidamente trasformato in quello di anzianità senza
gravi colpe. I Consigli giudiziari e lo stesso Csm hanno contribuito
allaffermazione di questa prassi corporativa, anche se da qualche tempo si possono
registrare significative inversioni di tendenza e la verifica di professionalità è
diventata un tema centrale della magistratura associata. Nonostante la
prassi distorsiva prima segnalata, sarebbe ingeneroso affermare che il sistema vigente
abbia prodotto una dequalificazione di massa. I magistrati italiani, nella loro grande
maggioranza, hanno saputo far fronte ad una situazione di sfascio organizzativo e di
carenza di risorse con grande dignità professionale e con esempi non infrequenti di
eccellenza nella preparazione e nella dedizione al proprio lavoro quotidiano. 4. Tornare ad
un metodo di selezione interno basato su concorsi a cascata, come vorrebbe il
Ddl approvato dal Senato, significherebbe ridurre pericolosamente lindipendenza
interna, senza garantire una migliore professionalità. Il rischio non è soltanto quello
di stimolare il conformismo giurisprudenziale, ma anche quello di puntare ad una
preparazione tecnico-giuridica coltivata in vitro, a scapito della necessità di valutare
il magistrato per il suo operato sul campo. Ad esempio,
larticolo 2, comma 1, lettera e) prevede che nei concorsi per titoli ed esami
necessari per lattribuzione delle funzioni di secondo grado e di legittimità, le
prove desame consistano nella redazione, anche con limpiego di prospettazioni
e materiali forniti dalla commissione, di uno o più provvedimenti relativi alle funzioni
richieste e in una discussione orale sui temi attinenti alle stesse. In altre parole, i
finti processi si sovrappongono ai processi veri, privilegiando una formazione artificiale
e libresca rispetto ai menti effettivi dimostrati nellesercizio delle funzioni. Un
numero elevato di magistrati, esaminati ed esaminatori, saranno impegnati in questa
giurisdizione virtuale e quindi distolti da quella reale, con prevedibili
ulteriori disfunzioni del già disastrato servizio giudiziario. Ciò senza contare il
prevedibile contenzioso nascente dalla evidente difficoltà di operare una selezione
impeccabile con criteri tanto discutibili. Un altro
aspetto dei concorsi previsti suscita perplessità, anche di legittimità costituzionale.
Per passare dalle funzioni requirenti alle giudicanti, e viceversa, alla luce del
principio di separazione delle carriere, di cui dirò qualcosa più avanti, si prescrive
che occorra superare specifici concorsi, per i quali sono previste commissioni formate in
parte da magistrati ed in parte da professori universitari in materie giuridiche, nominati
dal Csm. Non si tratta quindi di concorsi interni, ma di veri e propri
concorsi esterni. Difatti mentre i concorsi per ottenere le funzioni di
secondo grado o di legittimità sembrano da espletare dallo stesso Csm, secondo quanto si
legge al n. 2) della lettera e) dellarticolo 2, quelli diretti al passaggio dalle
funzioni requirenti alle giudicanti e viceversa dovrebbero avvalersi di commissioni di
magistrati e di professori nominati dal Csm. Delle due luna: o il concorso è da
classificarsi esterno, ed allora la riserva a favore dei magistrati in servizio è
illegittima perché altera la par condicio dei possibili aspiranti, come ha più volte
statuito la Corte costituzionale, o si tratta di promozioni operate con il
metodo del concorso ed allora si deroga in modo illegittimo alla competenza esclusiva del
Csm, sancita dallarticolo 105 Costituzione, e certamente non delegabile a soggetti
esterni. La stessa
illegittima espropriazione del Csm si nota a proposito della commissione di concorso per
gli incarichi direttivi e semidirettivi, che si sostituisce di fatto al Consiglio, il
quale formerà la graduatoria acquisendo ulteriori elementi di valutazione
dedotti dalla pregressa esperienza del magistrato e dal parere del Consiglio giudiziario.
Ci si chiede: quid juris il Csm rovesciasse lesito del concorso - così definito
dallarticolo 2, lettera 1) n. 1) del Ddl in commento, e quindi diverso da un mero
accertamento istruttorio di natura tecnica - sulla base della pregressa esperienza del
magistrato e del parere del Consiglio giudiziario? Ci sarebbe molto lavoro per la
giustizia amministrativa. Daltra parte, sarebbe lunico modo per attenuare la
censura di legittimità costituzionale su tali norme. Gli
onnipresenti professori universitari vengono ancora chiamati in causa addirittura per
scegliere il Procuratore nazionale antimafia, ritenendosi evidentemente che quelli
presenti in Consiglio non sono idonei per tale delicata scelta, così come non lo sono i
componenti togati (articolo 2, lettera m)). A nome della categoria dei docenti
universitari, non posso che essere grato al ministro della Giustizia per tanta
considerazione. Suggerirei che la medesima considerazione il Governo la riservasse ai
docenti quando si occupa ex professo delluniversità. Visto il Ddl sullo stato
giuridico recentemente varato dal Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro
dellIstruzione, delluniversità e della ricerca scientifica, sembra purtroppo
che per essere apprezzati come professori bisogni giocare fuori casa. 5. Tanto tuonò
che piovve! Dopo, ripetuti annunci di imminenti iniziative volte a separare le carriere di
giudici e pubblici ministeri, il Ddl approvato dal Senato realizza una separazione
effettiva delle carriere, anche se attenuata da passerelle defatiganti,
concepite in modo evidente per scoraggiare e rendere più difficili i passaggi
dalluna allaltra funzione. Sin
dallinizio i giovani candidati al concorso in magistratura devono scegliere a quale
funzione intendono accedere. Dalla scelta deriva la differenza delle prove desame e
la diversa composizione della commissione, con prevalenza di giudicanti o di requirenti, a
seconda delle funzioni prescelte. Senza entrare
in minuti particolari, si può osservare che la filosofia che sorregge questo meccanismo
concorsuale differenziato è quella di una distinta professionalità richiesta ai giudici
da una parte ed ai pubblici ministeri dallaltra. Si favorisce in tal modo
lautoreferenzialità delle due categorie di magistrati, avviando una scissione
fondata, se vogliamo trovare una ratio nella proposta, tra lattitudine prevalente a
giudicare in posizione di terzietà e lattitudine prevalente a formulare accuse da
una posizione di parte. Sarebbe
superfluo riprendere, in questa sede, una querelle ormai divenuta oggetto di esercitazioni
diffuse sulla stampa quotidiana e sullarena politica, oltre che nella dottrina
giuridica e nel dibattito tra gli specialisti. Mi limito a dire che spero vivamente che
non dover ricordare tra qualche anno agli entusiastici sostenitori di questa separazione
che hanno volutamente rinunciato ad una parte delle loro garanzie, favorendo la formazione
di una categoria di accusatori di professione, sempre più avulsi dalla giurisdizione in
senso stretto e sempre più animati dallansia del risultato. Ciò che viene oggi
indicato come un vizio, una deviazione d a censurare anche nelle sedi istituzionali
appropriate, diverrebbe il proprium della funzione, il metro per misurare meriti e
demeriti. Personalmente diffiderei di un candidato che dimostrasse eccessive
attitudini alla funzione requirente. Sarebbe prudente consigliare a questo
bravo giovane un diverso mestiere. Non possiamo
negare che oggi si assista in vane parti dItalia ad una ipertrofia dellazione
penale, derivante da una concezione pan-penalistica dei rapporti sociali, politici e
istituzionali coltivata da taluni magistrati. In contrasto con la cultura del diritto
penale minimo, che dovrebbe essere lapprodo di una più aggiornata visione della
legalità, si sviluppa talvolta un iperattivismo inquisitorio e accusatorio non certo in
linea con un equilibrato esercizio della giurisdizione. Dobbiamo tuttavia notare che
complessivamente la terzietà del giudice nel nostro sistema funziona abbastanza bene e
che la maggior parte dei procedimenti iniziati in modo avventato - in assenza di un quadro
probatorio sufficiente o in base a forzature pan-penalistiche delle leggi - si concludono
con decisioni di proscioglimento. Il processo penale italiano contiene in sé una grande
quantità di garanzie per la difesa. Sono convinto che, di fronte alla scelta di
barattarlo con altri sistemi, molti suoi detrattori farebbero un passo indietro. Sarebbe
interessante unindagine statistica sulla propensione dei giudicanti (Gip e giudici
del dibattimento) ad accogliere le richieste dei Pm. Purtroppo i massmedia amplificano
molto a senso unico le lamentele. Se un imputato viene assolto, si inveisce contro il Pm
che ha esercitato lazione penale, dimenticando di sottolineare che cè stato
un giudice che non si è adagiato sulle prospettazioni dellaccusa; se invece viene
condannato, allora i medesimi giudici vengono presentati come succubi dei Pm, perché
colleghi ed amici. Lideologia
verticistica e gerarchica viene in piena luce nella nuova configurazione degli uffici del
Pm emergente dal Ddl appena approvato dal Senato. Si tenta di ricostruire la piramide che
vede in cima il Pg, in posizione intermedia il Procuratore della Repubblica ed alla base i
sostituti. I poteri di
sostituzione e di avocazione del Pg vengono considerevolmente aumentati: basta dare uno
sguardo al punti 1), 2) e 3) della lettera g) del comma 1 dellarticolo 5 del Ddl per
rendersi conto che si tratta di norme molto elastiche, sulle quali può legittimarsi un
potere di ingerenza a vasto raggio. La stessa
ispirazione accentratrice traspare dalle norme riguardanti i rapporti tra Procuratore e
sostituti, i quali vengono ridotti a meri bracci operativi del capo dellufficio. Per esigenze di
brevità non entro nel merito di una serie di problematiche specifiche attinenti alla
funzionalità del nuovo assetto profilato dal Ddl. Con ben altra competenza rispetto alla
mia lo potranno fare i processualisti ed i magistrati impegnati quotidianamente
nellamministrazione della giustizia. Il mio punto di vista è quello del modesto
cultore di diritto costituzionale. Ebbene, non si
può fare a meno di notare che lintroduzione di una rigida gerarchia
allinterno degli uffici del Pm è difficilmente compatibile con la lettera e lo
spinto delle nonne costituzionali sullordinamento giurisdizionale. Larticolo
102, comma 1, stabilisce che la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati
istituiti e regolati dalle norme sullordinamento giudiziario. Larticolo 107,
comma 3, statuisce che i magistrati si distinguono tra di loro soltanto per diversità di
funzioni. Il comma 4 dello stesso articolo prescrive che il Pm goda delle garanzie
stabilite nei suoi riguardi dalle norme sullordinamento giudiziario. Da queste
disposizioni costituzionali si ricava agevolmente che: a) lesercizio d ella f
unzione giurisdizionale è attribuita a tutti magistrati, senza distinzione tra giudicanti
e requirenti; b) la gerarchia
è abolita per tutti i magistrati e non solo per una categoria di essi; c) le garanzie di
indipendenza del Pm, anche se in ipotesi diversamente configurate rispetto a quelle dei
giudicanti devono essere sistemiche rispetto ai principi dellordinamento giudiziario
generale e non possono comunque conciliarsi con qualsiasi forma di gerarchia, esclusa in
via radicale per tutti i magistrati dalla stessa Costituzione. Lunico
modo per sfuggire alla logica giuridica di questo ragionamento sarebbe quello di dire che
i pubblici ministeri non sono magistrati. Ogni sistema possiede una sua logica intrinseca.
Quello tracciato dalla Costituzione è molto coerente; può non piacere, ma non è
possibile sconvolgerlo con una legge ordinaria, senza incorrere in una serie di forzature
e contraddizioni facilmente n«levabili. E appena
il caso di osservare che una revisione costituzionale che sottraesse i pubblici ministeri
allordinamento giudiziario e togliesse loro la qualifica di magistrati si dovrebbe
accompagnare, per coerenza giuridica e istituzionale, a forme precise di responsabilità
politica, senza le quali si avrebbe un corpo chiuso di funzionari inquisitori posti fuori
dalla giurisdizione ed affrancati pure da qualunque controllo democratico. Si tratta di
scelte da fare con schiettezza, senza dimenticare che qualunque detentore del potere
politico, in un ordinamento democratico, deve sempre rappresentarsi la possibilità di
perdere tale potere, per effetto di consultazioni elettorali successive, e di cadere nelle
mani di un potere inquisitorio manovrato dai suoi avversari politici, oggi
allopposizione, domani forse al governo. Diceva Kelsen che quando si sale alla
sommità dei principi non vale più una logica giuridica formale basata sulla
concatenazione delle norme, ma si devono fare delle scelte. Non esiste u n principio
ontologico che imponga la scelta di un Pm indipendente. Dipende da quanto vogliamo
sentirci garantiti. Coloro che oggi sperano che una riforma verticistica e gerarchica
possa aumentare le chance degli imputati rischiano, a mio modesto avviso, di avere domani
un amaro risveglio. Verticalizzazione
e gerarchizzazione della magistratura possono avere tre sbocchi: il primo è
lassoggettamento più o meno intenso dellintera struttura ad unautorità
esterna (verosimilmente, Governo o Parlamento); il secondo è la dipendenza sempre più
stretta dal Csm, che si trasformerebbe da organo di garanzia in organo di governo politico
della magistratura; il terzo che la stessa struttura gerarchizzata, o alcuni settori di
essa, divenga, per così dire, autocefala, non ricollegata cioè ad organi di governo o di
autogoverno. Le tre ipotesi
sono ugualmente inaccettabili, se si ha in mente un ordinamento giudiziario adeguato al
principi di una democrazia pluralista fondata sul primato della Costituzione e della
legge. In un modo o
nellaltro, una struttura verticale deve avere un indirizzo politico, che può essere
o proprio o discendente da un organo di vertice posto alla sommità della piramide o al di
sopra di essa. Se dovesse avanzare il processo di compattamento della magistratura, quale
emerge dal Ddl appena approvato dal Senato, in un lasso di tempo non molto lungo farebbe
la sua comparsa un indirizzo politico della magistratura stessa, nel senso proprio di
attività classicamente distinta in tre fasi: individuazione dei fini, predisposizione dei
mezzi, attuazione. Una struttura
orizzontale ed un potere diffuso, come quelli emergenti - pur con insufficienze e
contraddizioni - dalle norme attuali e dalla giurisprudenza della Corte costituzionale,
postula invece lassenza di indirizzo politico. Ciò che si tende a confondere sono
gli effetti politici dellattività giudiziaria o le tendenze politiche dei singoli
magistrati con lindennizzo politico come canalizzazione di mezzi verso fini
prestabiliti mediante laffermazione di una volontà superiore. Un ordinamento come
quello giurisdizionale disegnato dalla Costituzione, senza superiori o subordinati, nel
quale ogni organo è, in sé e per sé, espressione dellintero potere
(organo-potere, secondo la felice definizione di Vezio Crisafulli) è strutturalmente
incapace di darsi un indirizzo politico. Manca difatti un vertice munito di poteri idonei
a rendere conformi al proprio orientamento i comportamenti dei sottoposti. Come è noto,
il sistema delle impugnazioni, che culmina nella Suprema Corte di cassazione, non è una
piramide gerarchica, ma solo lattuazione di una garanzia di pronunce plurime, in
fatto e in diritto, che nella funzione di nomofilachia del massimo giudice di legittimità
trova il suo strumento equilibratore oggettivo, basato essenzialmente sul valore
persuasivo delle massime interpretative. Il giudice di appello o di legittimità non può
prescrivere a priori i contenuti delle pronunce, ma può solo valutare a posteriori le
decisioni impugnate. La stessa cogenza per il giudice di rinvio del punto di diritto
fissato dalla Cassazione è ovvio effetto dellesigenza primaria di coerenza interna
al singolo procedimento, non espressione di una posizione di supremazia gerarchica. La
Corte suprema, nel sistema delineato dalla Costituzione, deve essere una èlite del
sapere, non del potere. 6. La
professionalità dei magistrati è bene prezioso non tanto e non solo per i magistrati s
tessi, che a spirano, nel corso della loro carriera, a d a vere i giusti
riconoscimenti, secondo i propri meriti, ma soprattutto per i cittadini, i quali devono
potere aver fiducia in una amministrazione della giustizia affidata a persone di adeguata
capacità. Laggiornamento professionale costituisce quindi attività indispensabile
per un buon funzionamento del servizio-giustizia. Suscita
perplessità tuttavia la previsione, contenuta nel Ddl citato, di un ente
autonomo denominato Scuola superiore della magistratura. Tale ente
difatti non è una struttura di servizio per il Csm, che attualmente e con successo
gestisce corsi e seminari di aggiornamento professionale destinati ai magistrati, ma un
vero e proprio organo di governo parallelo, dotato di penetranti poteri sulla carriera dei
magistrati. La Scuola difatti opera una valutazione di idoneità degli uditori
allassunzione delle funzioni giudiziarie, sulla cui base il Consiglio superiore
delibera in via finale; è pure previsto che, in caso di valutazione finale negativa,
luditore possa essere ammesso ad un ulteriore periodo di tirocinio, di durata non
superiore ad un anno e che da unulteriore valutazione negativa derivi la cessazione
del rapporto di servizio (articolo 3, comma 1, lettera i) e l)). La normativa è
ambigua e si presta a dubbi di legittimità costituzionale. Si tratta di vedere in quale
misura il Csm è vincolato alla valutazione della Scuola. Se tale valutazione acquistasse,
come sembra, un peso preponderante, si introdurrebbe nel sistema un pericoloso strumento
per condizionare i giovani che hanno superato il concorso sulla base innanzitutto di prove
scritte e anonime valutate da commissioni interamente nominate dal Csm. Docenti nominati
da un organo esterno al Csm avrebbero il potere di operare una post-selezione su uditori
che hanno già superato il concorso, allesito di corsi non certo caratterizzati
dalle stesse garanzie del concorso medesimo. Siamo certi dellimparzialità e della
probità dei futuri docenti di tali corsi. ma non possiamo dimenticare che le garanzie
istituzionali sono state inventate perché lindipendenza dei magistrati sia protetta
da condizionamenti, anche culturali, provenienti da soggetti non inquadrati nel sistema
istituzionale previsto dalla Costituzione. Occorre quindi
una chiarificazione, al fine di evitare che una utile ed opportuna struttura, come la
Scuola della magistratura, si trasformi in un anomalo organo di amministrazione della
giurisdizione non previsto dalla Costituzione. 7. Anche la
composizione dei Consigli giudiziari prevista nel Ddl citato suscita qualche perplessità.
Nessun dubbio che lapertura dei Consigli ad altre componenti del mondo della
giustizia, diverse dal magistrati, debba essere salutata come una innovazione positiva. Lo
stesso ragionamento fatto dal Padri costituenti, che non vollero un Csm tutto formati di
magistrati, per evitare la formazione di una casta chiusa, vale per organi
periferici come i Consigli giudiziari, che possiedono tuttavia competenze che incidono in
modo rilevante sia sullorganizzazione della giustizia sia sullo status dei
magistrati. Mi sembra però
che il rapporto interno tra componenti fissato dalla Costituzione per il Csm (due terzi
togati, un terzo laici, con i membri di diritto esclusi dal conteggio) assurga
alla dignità di principio generale nella materia, con la conseguenza che la sua
alterazione crea uno scompenso nel sistema e indebolisce la tenuta complessiva delle
garanzie. Nei distretti nei quali prestino servizio fino a trecentocinquanta magistrati,
oltre al presidente della corte di appello ed al procuratore generale, membri di diritto,
farebbero parte dei CG tre magistrati togati, un professore universitario in materie
giuridiche, un avvocato, due componenti nominati dal consiglio regionale ed un giudice di
pace. Nei distretti più numerosi i componenti togati salgono da tre a cinque. La situazione
che queste proporzioni creerebbero è piuttosto curiosa: nei distretti meno numerosi i
laici sarebbero quasi il doppio dei togati, in quelli più numerosi togati e
laici sarebbero in pari numero. A parte la
considerazione, prima accennata, che in entrambi i casi non viene rispettato il rapporto
previsto dalla Costituzione per il Csm, mi sembra abbastanza significativo il divario di
proporzioni previsto per i distretti con maggior o minor numero di magistrati. ú stato
applicato un criterio rappresentativo -numerico che ricorda quello usato per la
composizione del Csm dalla legge 44/2002, con la differenza che in questultimo caso
la proporzione numerica (quattro a dieci) serve per contingentare il numero di
magistrati requirenti e giudicanti. Traspare da
queste disposizioni - sia da quelle della recente legge di riforma del Csm, che da quelle
del Ddl sinora citato - unidea distorta del ruolo degli organi di garanzia
allinterno dellordinamento giudiziario. Mentre avrebbe avuto un senso
razionale prevedere un diverso numero complessivo di componenti, a seconda della
numerosità dei distretti, nessun senso sembra avere il cambiamento di rapporto interno,
giacché non si capisce per quale motivo nei distretti più numerosi i togati dovrebbero
avere, nei consigli giudiziari, un peso relativo maggiore di quello di cui disporrebbero
in quelli meno numerosi. Lunica spiegazione potrebbe essere quella che un maggior
numero di magistrati richiede un maggior numero di rappresentanti. Si disvelerebbe in tal
modo unideologia rappresentativa non coerente con la struttura ed il ruolo di un
organo di garanzia, dove lequilibrio interno tra le varie componenti deve rimanere
uguale, anche se la base di una di esse sia più o meno numerosa. Non si
tratta di registrare rapporti di forza, ma di mantenere integre le garanzie di
indipendenza. 8. Difficile
dire quanto il Ddl approvato dal Senato possa essere ricondotto al principi costituzionali
mediante opportuni emendamenti introdotti nel seguito dell iter parlamentare. Certo
andrebbero salvate, con opportune precisazioni, alcune innovazioni positive come la
tipizzazione degli illeciti disciplinari, la temporaneità degli incarichi direttivi e
listituzione dellufficio del giudice. Forse sarebbe auspicabile un clima
diverso tra le forze politiche rappresentate in Parlamento, senza crociate da una parte e
dallaltra, nella consapevolezza che una magistratura indipendente giova a tutti,
mentre una magistratura asservita al potere politico o allindennizzo dei propri
stessi vertici provocherebbe nel sistema una serie di plusvalenze politiche di cui tutti
tenterebbero di avvalersi con grave pericolo per i diritti e le libertà dei cittadini. Non serve
additare colpe vere o presunte dei magistrati per invocare unattenuazione delle
garanzie. Anche chi ha subito un torto per lignoranza, la scorrettezza o la
faziosità di un magistrato ha tutto da guadagnare da un sistema che gli fa sempre sperare
di trovare un altro magistrato che ponga riparo allerrore o allabuso. In
unistituzione gerarchica gli errori e gli abusi verrebbero riparati o mantenuti
secondo la convenienza del sistema e non secondo la coscienza del singolo giudice adito.
Personalmente, pur consapevole delle incognite del sistema attuale, preferisco correre il
rischio della molteplicità non programmata, per non essere schiacciato dal peso
delluniformità prestabilita. Gaetano Silvestri |