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Sergio Gallo

La riforma dell’ordinamento giudiziario non costituisce un episodio eccentrico, anche se di enorme portata, nel disegno riformatore in atto ma costituisce un tassello importante di un progetto complessivo di cui si riesce ad intravedere il nucleo strategico fondante rappresentato dal rafforzamento del Potere Esecutivo rispetto agli altri Poteri dello Stato.

Già nell’intervento al Congresso di Salerno segnalavo l’esistenza di una strategia riformatrice destinata a ridefinire quello che alcuni costituzionalisti hanno definito come il Potere Governante e come questa tendenza non costituisca un’anomalia italiana quanto piuttosto una comune prospettiva delle Nazioni più avanzate dell’Occidente.

Il problema è che in Italia questo disegno viene perseguito attraverso un processo di sostanziale delegittimazione e depotenziamento degli altri poteri ed in particolare dei cd. poteri neutri e di garanzia tanto più necessari in una fase di transizione incompiuta e di esasperato bipolarismo.

Questa analisi significativamente trova riscontro anche in autorevoli esponenti dell’attuale maggioranza come ad esempio il Vice-Presidente del Senato sen. Fisichella, il quale, in una recente intervista ad un quotidiano, ha dichiarato espressamente che “questa coalizione ha una visione distorta della democrazia”.

Si tratta dunque di un disegno complessivo la cui riprova è rappresentata dall’accelerazione della nuova fase di politica costituzionale del secondo governo Berlusconi.

Il 16 settembre 2003, infatti, il Consiglio dei Ministri ha approvato un nuovo disegno di riforma costituzionale destinato ad incidere su ben sei titoli della 2^ parte della Costituzione.

Questo disegno di legge, in questi giorni in discussione al Senato, incide sulla cd. seconda Camera, sul procedimento legislativo, sulla forma di governo, sull’autonomia legislativa regionale, sulla composizione della Corte Costituzionale e infine sul procedimento di revisione costituzionale.

Di particolare interesse è la proposta di riforma della forma di governo ove si passa da una cd. forma di governo a razionalizzazione debole al cd. premierato.

Con tale nuova forma di governo si riducono sostanzialmente i poteri del Presidente della Repubblica e si rafforzano quelli del Primo Ministro il quale, tra l’altro, non dovrà più chiedere la fiducia alle Camere ed  si vedrà attribuito il potere di nominare e revocare liberamente i ministri.

Nel contempo il ruolo complessivo del Presidente della Repubblica viene ridotto divenendo sostanzialmente un organo di riserva per le fasi di crisi.

Anche la Corte Costituzionale vede modificato il suo assetto prevedendosi un aumento del numero dei suoi componenti dagli attuali quindici e diciannove con il contestuale aumento da cinque a nove dei suoi componenti eletti dalle due Camere.

E ciò certamente non va nella direzione della finalità di depoliticizzazione della Corte come pure è stato sostenuto.

In questo contesto si inserisce la riforma dell’ordinamento giudiziario.

I più attenti e acuti studiosi della materia hanno evidenziato come dal contenuto e dall’assetto delle norme dell’ordinamento giudiziario dipende, poi, necessariamente quale giustizia potrà essere resa dai magistrati ordinari: non si può cioè dimenticare che la giustizia è il giudice.

Nel contempo non si deve dimenticare come il costituente abbia strettamente collegato la riforma dell’ordinamento giudiziario con le norme costituzionali sulla magistratura: le norme ordinamentali, cioè, dovevano necessariamente completare i principi costituzionali fissati tanto che si auspicava una pronta approvazione delle stesse già nel corso della prima legislatura.

E proprio per questo motivi venne elaborato il testo del primo comma della VII disp. transitoria e finale della Costituzione per il quale fino a quando non sia emanata la nuova legge sull’ordinamento giudiziario in conformità con la Costituzione, continuano ad osservarsi le norme dell’ordinamento vigente.

Ma proprio questa disposizione transitoria, di fatto, ha consentito la sopravvivenza di un ordinamento giudiziario in un contesto costituzionale profondamente mutato.

Certo nel frattempo sono intervenuti molteplici interventi riformatori sempre settoriali e parziali per cui il quadro complessivo è sicuramente confuso e contraddittorio.

Ma certamente la riforma dell’ordinamento giudiziario, come licenziata dal Senato, da un lato non fornisce una risposta organica ed adeguata al problema principale dell’efficienza della giustizia e, dall’altro, presenta profili di sospetta incostituzionalità in taluni punti caratterizzanti l’impianto normativo approvato.

Non possiamo dunque condividere quanto affermato dal Ministro Castelli in Commissione Giustizia del Senato e cioè che la riforma dell’ordinamento giudiziario rappresenta un tassello importante di una serie di interventi tesi a rimuovere le cause della patologica lentezza della giustizia in Italia.

Non è così: la riforma quelle cause non eliminerà ma le accentuerà a discapito della richiesta dei cittadini di una giustizia efficace e ragionevolmente celere.

Sull’analisi complessiva della riforma mi sono a lungo dilungato nell’editoriale dell’ultimo numero de La Magistratura (n.3/4 del 2003) e dunque non posso che riportarmi a quanto già ampiamente scritto.

Vorrei solo sottolineare i profili estremamente pericolosi introdotti con l’art. 7 della riforma condividendo appieno quanto autorevolmente affermato dal Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione nel corso della recente inaugurazione dell’Anno giudiziario per cui questo tipo di intervento rischia di trasformarsi in una limitazione dell’autonomo esercizio della funzione giurisdizionale garantita dalla Costituzione.

Non tocca certamente al sottoscritto valutare l’operato dell’A.N.M. in questi mesi ma certo devo riaffermare con forza che la strategia del confronto serrato con le Istituzioni, i partiti ma anche con la società civile era l’unica possibile, plausibile e soprattutto coerente con il nostro ruolo istituzionale.

Certo ora occorre aggiornare ma anche modificare questa strategia.

Aggiornare significa non disperare della possibilità che tutti i soggetti istituzionalmente competenti riconsiderino le soluzioni adottate in previsione del prosieguo del dibattito parlamentare.

Modificare significa che la magistratura, la magistratura associata deve ora e subito dare un chiaro e forte segnale che non si può né ora né in futuro condividere questo tipo di riforma.

I recentissimi attacchi alla magistratura, purtroppo, vanno nella direzione opposta a quella auspicata dal Presidente della repubblica il quale ancora di recente, intervenendo al C.S.M., ricordava come la stabilità delle istituzioni si fonda sul rispetto pieno e reciproco delle funzioni” e che occorre che tutti non travalichino i confini istituzionali e le funzioni di ciascuno.

Il Capo dello Stato ha altresì riaffermato come la risoluzione delle questioni richiede necessariamente il rispetto reciproco senza mai lasciarsi andare a toni che delegittimano o compromettano l’equilibrio istituzionale.

In questa fase della vita istituzionale della repubblica dobbiamo prendere atto che il dialogo è quasi del tutto impossibile e certo non per colpa nostra.

Ora, come dicevo in precedenza, occorrono risposte chiare, univoche e condivise che lascino il segno del nostro impegno e siano testimonianza della nostra difesa dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura.