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Venezia 5/02/2004

 

Giustizia più efficiente e indipendenza dei magistrati a garanzia dei cittadini.

La breve riflessione che ritengo di offrire al dibattito in corso non può non partire da una considerazione semplice, ma ovvia, vale a dire che già dal titolo di questo congresso si comprende su quali temi è appuntata l’attenzione della magistratura associata: efficienza del sistema giustizia, indipendenza ed autonomia di chi è chiamato ad esercitare la funzione giudiziaria.

Ciò significa la acquisita consapevolezza da parte dei magistrati delle cause che hanno contribuito alla caduta di efficienza del sistema, prima fra tutte la lentezza dei processi, ma anche della necessità di difendere le garanzie riconosciute dalla Costituzione all’ordine giudiziario in quanto tale per potere assicurare una giustizia realmente autonoma, indipendente ed uguale per tutti.

Ed allora, ripetendo valutazioni già emerse finora e, quindi, rischiando una ripetizione che è facile presumere possa, in questi giorni, assumere caratteristiche di “ossessività”, dobbiamo ribadire con forza la contrarietà assoluta ad una riforma dell’ordinamento giudiziario quale quella approvata dal Senato.

Quale giunta dell’ANM abbiano cercato di far comprendere in tutte le sedi istituzionali le ragioni della non condivisione delle scelte particolarmente su alcuni aspetti della riforma che vanno ad incidere su principi per noi intangibili; abbiamo cerato di chiarire in ogni modo che la magistratura non è pregiudizialmente contraria a qualunque riforma dell’ordinamento ma a questa riforma che, sulla base dei dati di esperienza, non consentirà in alcun modo di migliorare la qualità ed i tempi della giustizia; le forze politiche di questo Paese devono “accettare” le osservazioni critiche e riflettere sulle proposte concrete da noi presentate sugli aspetti salienti della riforma, perché per noi à anche un dovere di coscienza evidenziare, come soggetti e che sono sottoposti solo alla legge, che questa “cattiva” riforma ci consentirà ancor meno di offrire risposte adeguate, coerenti e soprattutto, rapide e, quindi, utili ai tanti che chiedono giustizia.

Perché non pensabile che solo attraverso la prevista riorganizzazione della carriera dei magistrati si possa migliorare tout court il servizio giustizia; non è reale e non è corretto “spacciare” la riforma dell’ordinamento giudiziario come la panacea dei tanti mali del sistema;

 

-          e, quindi, perché svuotare, come si fa, il principio di pari dignità di tutte le funzioni? Perché questo si evince dalla lettura del disegno riformatore: la concezione gerarchica delle funzioni, la minore rilevanza ad esse riconosciuta tanto da meritare un trattamento economico inferiore. Così facendo, però, si pongono le premesse per sguarnire gli uffici di primo grado che diventeranno, inevitabilmente, appannaggio degli uditori con funzioni o, comunque, dei magistrati più giovani, con ovvia conseguente loro esposizione, particolarmente nelle zone afflitte da problemi di criminalità organizzata sempre presente nonostante nessuno ne parli più; ed ancora: non si riflette che gli uffici di primo grado sono quelli con cui più frequentemente ed in prima battuta i cittadini entrano in contatto; da ultimo, ma non meno rilevante, si creano le premesse per una impropria conflittualità al nostro interno in quanto, nella prospettiva di una ancor più impropria progressione in carriera, il magistrato sarà orientato, fin dall’inizio, a precostituirsi i titoli piuttosto che a curare la qualità e l’organizzazione del proprio lavoro, scegliendo, magari, la funzioni e le sedi meno gravose che consentano la preparazione di titoli a fini concorsuali;

 

-          ed ancora, perché prevedere il doppio concorso iniziale con il quale, di fatto, si introduce la separazione delle carriere, dimenticando, tra l’altro, che chi non ha ancora sperimentato le funzioni non è in grado di scegliere con cognizione di causa né di dimostrare eventuali attitudini;

 

-          ed ulteriormente, perché prevedere una valutazione di professionalità basata principalmente su dati teorici, esami scritti ed orali ignorando, ad esempio, che una delle criticità del sistema attuale di selezione iniziale è quella di consentire l’accesso di chi, pur teoricamente preparato, manca magari dell’attitudine e dell’equilibrio richiesto per svolgere la funzione giudiziaria ed il conseguente svuotamento delle attribuzioni, in materia, del CSM?

 

Proprio in tema di valutazione di professionalità, ci sentiamo spesso ripetere che non vogliamo questa riforma perché on vogliamo controlli sulla produttività; questa contestazione, non solo non corrisponde alla realtà, come dimostra il lavoro realizzato dall’ANM sul tema della professionalità nello scorso anno, ma non mi pare che la riforma affronti in qualche modo l’aspetto della produttività che noi,viceversa, riteniamo un punto fondamentale da affrontare sulla strada del recupero dell’efficienza del sistema giustizia.

Tralasciando, per brevità, la necessaria premessa circa le cause che hanno indotto il mutamento del mestiere del magistrato nel corso degli anni e che sono direttamente collegate ai cambiamenti che hanno investito le caratteristiche della legge, la sua essenza e la sua funzioni, (oggi la legge è l’espressione di un ordinamento volto a dare effettività a diritti sempre nuovi, a nuove categorie di persone, a dare risposta a nuove e varie domande di tutela, espressione di interessi fortemente differenziati, spesso non chiaramente definibili in anticipo), bisogna prendere atto che il nodo essenziale è proprio la rilevazione dei criteri di produttività professionalità significa non solo abilità tecnica, ma acquisizione necessaria da parte del magistrato della consapevolezza del proprio ruolo e delle conseguenze del suo agire.

Tanto più ove si ricordi che la prospettiva costituzionale della ragionevole durata del processo, formalmente affermata nell’art. 111 della Costituzione, impone a tutte le istituzioni il dovere di perseguire la massima efficienza ed effettività del sistema.

Tale prospettiva richiama, infatti, il legislatore al suo ruolo di adeguamento del qudro normativo processuale, sostanziale ed ordinamentale, il Ministro della Giustizia ad assicurare i mezzi e gli strumenti necessari per il regolare funzionamento del servizio, il potere giudiziario a garantire, in concreto, una risposta di giustizia più rapida ed efficiente.

Ora, proprio sul piano concreto, nulla è ancora stato realizzato, né è previsto dalla riforma, in relazione all’acquisizione di dati statistici adeguati. Nonostante sia chiaro a tutti la necessità, ai fini di una efficace organizzazione, della conoscenza adeguata e completa della realtà.

È certamente un aspetto di non facile soluzione, ma esenziale tanto che, da tempo, sappiamo essere stata nominata una commissione mista di cui peraltro, non si conoscono le definitive acquisizioni.

Ai fini della concretezza del dibattito mi limito ad indicare alcune proposte concrete.

I punti di partenza sono i seguenti:

1 – prospetti statistici indirizzati ad accertare essenzialmente il c.d. carico di lavoro del singolo ufficio giudiziario riferiti, quindi, solo al movimento dei procedimenti (pendenti, sopravvenuti ed esauriti nel periodo di riferimento), ma non comprensivi del lavoro che ha condotto all’emanazione del provvedimento (dato assolutamente, invece, fondamentale per gli uffici specializzati come la sorveglianza ed i minorenni);

2 – applicazione dei diversi coefficienti di ponderazione riferita al tipo astratto di provvedimento e non all’oggetto concreto; ciò vale anche per i prospetti statistici dei singoli magistrati con la conseguenza che, fornendo solo “indizi” sull’attività svolta, possono e devono aprire la strada ad ulteriori approfondimenti sulla laboriosità, non essendo di per sé esaustivi e consentendo la valutazione comparativa solo tra magistrati addetti allo stesso ufficio.

 

Bisogna, invece, considerare che la complessità del sistema giudiziario richiede di prendere in considerazione i diversi fattori che incidono sulla durata e sulla gestione dei procedimenti sia dal punto di vista funzionale (andamento dei procedimenti in ragione dell’attività dei giudici, dei difensori e delle cancellerie), sia dal punto di vista strutturale (configurazione della articolazione dei procedimenti, sulla base della normativa esistente, dotazione organica reale degli uffici, logistica, dotazione di strumenti informatici) con la conseguenza che solo il monitoraggio dei vari fattori che incidono, in concreto, sullo sviluppo del procedimento e la loro lettura incrociata consente di conoscere le cause della resa del servizio in ogni ufficio e, quindi, di intervenire, se necessario, in termini correttivi e migliorativi.

Ed ancora: solo la comparazione tra dati omogenei permette di riconoscere le differenze macroscopiche di resa dei diversi uffici e di capirne le ragioni.

 

Se così è, non possiamo non riflettere quanto sia opportuna la previsione di una raccolta di dati periodica (se non continua) che consentirebbe la determinazione dei valori medi per ufficio e per tipi di ufficio con successiva rapida individuazione dei risultati che si discostino (sia in positivo che in negativo) dai detti valori; dati che, poi, dovrebbero confluire nel fascicolo del magistrato in modo da consentire, in ogni momento, la valutazione di laboriosità, sia in riferimento a singoli periodi (es. verifica della laboriosità in coincidenza con l’espletamento di incarichi extragiudiziari anche ai fini di una eventuale revoca) sia in termini generali.

 

Certo, resta comunque aperta la problematica del c.d. “rendimento” del magistrato, vale a dire quale livello possa attendersi da un magistrato di buona laboriosità ed impegno.

Metodologicamente ciò richiede che si definiscano le varie forme espressive tipiche del lavoro dei magistrati in modo da isolare, per ognuna, il dato utile da valutare.

In certa misura le varie tipologie di lavoro sono già evidenziate dalle attuali statistiche per cui, nel caso che il lavoro di un magistrato sia notevolmente inferiore rispetto alla media dell’ufficio, si pone il problema di verificare se dipenda da cause a lui riconducibili quali disorganizzazione o scarso impegno oppure a lui non attribuibili.

 

Questo è il vero nodo della questione del controllo di produttività.

 

Prima considerazione: la media della produttività individuata in riferimento alle singole tipologia di lavoro di un certo ufficio giudiziario non ha rilevanza ai fini di un analisi di carattere generale perché può essere influenzata da caratteristiche specifiche di nessun interesse in termini generali.

Pertanto, sarebbe necessario:

a) isolare, dai dati statistici comunemente rilevati, il rendimento medio del magistrato a livello nazionale, utilizzando a questo fine i rilevamenti in vari uffici individuati come uffici campione;

b) così raccolti i dati, procedere all’accorpamento in modo da enucleare un numero indice da considerarsi, con una qual certa approssimazione, indicativo del rendimento medio del magistrato per le varie funzioni;

c) stabilita la media nazionale di rendimento per ciascuna funzione, valutare se essa sia compatibile con la produttività che si richiede ad un magistrato di buona professionalità o se sia inferiore; la delicatezza e complessità della valutazione impone che essa sia rimessa al CSM;

d) predisporre una serie di interventi, in caso di accertamento negativo, differenziati e graduali, ma che prevedano in caso di violazione dei doveri d’ufficio dovuta a negligenza non giustificabile, l’attivazione di sanzioni fino alla procedura disciplinare.

Mi sono permessa di offrire alla riflessione comune questa prospettiva per una serie di ragioni che in breve esemplifico:

1)       possibilità di riforma, sostanzialmente, a costo zero;

2)       riforma che può essere operata dall’interno tanto più alla luce delle carenze della prevista riforma dell’ordinamento;

3)       attività che può condurre ad un recupero di credibilità nei confronti della collettività;

4)       fonte di dati importanti all’attività della sezione disciplinare del CSM ai fini dell’elaborazione di una giurisprudenza più omogenea nella valutazione dei casi di violazione dei doveri di laboriosità perché troppo spesso, infatti, assistiamo ad azioni disciplinari promosse automaticamente sulla base dei risultati delle ispezioni ministeriali, specialmente nei confronti dei colleghi che svolgono funzioni civili, i quali, più di altri, sono oberati da una pluralità di incombenze diverse;

5)       possibile criterio guida per i dirigenti degli uffici per fornire ai Consigli Giudiziari la realtà del profilo professionale di ciascuno di noi;

6)       incisivo strumento di motivazione per i colleghi più giovani.

 

Spero di essere riuscita a rendere con chiarezza il nesso inscindibile che lega il tema della produttività a quello della organizzazione del lavoro sotto il duplice profilo della organizzazione del lavoro da parte del singolo magistrato e della organizzazione generale dell’ufficio; l’unico modo, infatti, per rafforzare la professionalità e, conseguentemente, la legittimazione dei magistrati, è un’ampia e rigorosa preparazione intesa come comunicazione organizzata di conoscenze teoriche, pratiche, e deontologiche che si aggiungono a quelle che derivano dal concreto operare; senza di esse l’indipendenza che noi difendiamo e dobbiamo difendere a tutti i costi non è altro che un privilegio e credo che in una società democratica è un privilegio che non può essere riconosciuto ad alcuno, tantomeno a cittadini che svolgono il difficile mestiere dei giudici.