attualita.jpg (7645 bytes)

ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA

LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE

UNA SCELTA RAZIONALE E GIUSTA

 

L’accesa conflittualità apertasi tra il mondo politico e la magistratura, le esasperazioni polemiche provenienti da entrambe le parti, l’introduzione di riforme normative che quali che siano le intenzioni, appaiono più dettate dalla logica dell’emergenza o dalla soluzione del problema di un caso concreto, che non da intenti di razionalizzazione e ammodernamento della legislazione, rendono difficile un dibattito sereno ed equilibrato in materia di ordinamento giudiziario.

Meno che mai appare sereno tale dibattito allorquando si parli di separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante.

Pure è necessario affrontare il tema in termini di razionalità che valgano a togliere forza argomentativa a prese di posizione del tutto emotive.

Dal 1989 è entrato in vigore il sistema penalprocessuale accusatorio, cioè il processo di parti che concorrono dialetticamente alla decisione giurisdizionale.

Di fronte alle resistenze allo stesso nell’anno 2000 tale sistema è stato costituzionalizzato con la riforma dell’art. 111 della carta fondamentale.

Il giusto processo è per la Costituzione un processo di parti innanzi ad un giudice terzo ed imparziale.

Lungi dall’essere un’endiadi l’espressione sta ad indicare la esigenza di non prevenzione del giudice (imparzialità) ed il distacco del giudice dalle parti, l’autonomia dello stesso dalle seconde.

La terzietà appartiene al momento ordinamentale del giudice, ed è propria questa sua autonomia dalle parti che la norma costituzionale intende garantire.

Appare sin troppo evidente, allora, che l’appartenenza alla stessa carriera di una parte, il pubblico ministero, e del giudice sia in contrasto con l’esigenza di terzietà del secondo.

Non vale obbiettare sul punto che nei fatti il giudice si dimostra non pregiudicato del pubblico ministero nell’assumere le proprie decisioni.

Anche un processo paternalistico senza regole potrebbe nei fatti essere equo da un punto di vista sostanziale nel caso concreto.

Innegabile, peraltro, è che anche con i migliori giudici occorrono norme positive che diano garanzie.

La terzietà costituisce proprio una garanzia, assicurando nell’ambito di un processo governato dalla iniziativa delle parti  con uguali diritti, al giudice, un ruolo direttivo del processo di arbitro imparziale assicurando altresì di conseguenza con forza normativa l’imparzialità della decisione.

Ma vi è di più!

Il distacco tra giudice e pubblico ministero nella carriera garantisce un altro aspetto fondamentale e cioè la professionalità del secondo.

Quando si invoca a sproposito la cultura della giurisdizione per opporsi alla separazione delle carriere, si dimentica che fondamentale per il pubblico ministero è, in realtà, la cultura della investigazione.

Il pubblico ministero non è un magistrato mero garante dell’attività della polizia giudiziaria, come sembra intendere chi invoca la cultura della giurisdizione.

Si dimentica, invero, che il pubblico ministero ha il potere di ricercare di propria iniziativa le notizie di reato, nonché ha la direzione delle indagini.

Nell’attuale codice di rito il pubblico ministero è sostanzialmente l’organo dell’accusa e dell’investigazione, attività quest’ultima di ricerca della prova e di costruzione dell’ipotesi accusatoria ben diversa da quella del giudice è che chiamato a valutare la prova e la fondatezza dell’ipotesi accusatoria.

Riesce difficile comprendere, in effetti, la razionalità di un ordinamento che consente ad un magistrato il quale abbia sempre esercitato la propria attività in campo civile, magari quasi in prossimità del pensionamento, di assumere la veste di Procuratore Capo della Repubblica.

Quale è la capacità investigativa di quest’ultimo, la capacità di rapportarsi dialetticamente ad una controparte?

Egli avrà bisogno del giudice come ausiliario, ovvero soccomberà quando non avrebbe dovuto soccombere, con sacrificio della terzietà ed imparzialità del giudice, ovvero della repressione dei reati.

La separazione delle carriere non è un attentato all’indipendenza del pubblico ministero.

Nulla impedisce, ed è auspicabile, di riconoscere allo stesso lo stato di magistrato garantendone l’autonomia.

Ciò che va perseguito è un autonomo collocamento del Pubblico Ministero nell’ordinamento giudiziario, una carriera autonoma distinta da quella della magistratura giudicante che valga a garantire la sua professionalità e la terzietà del giudice.

Per queste ragioni da sempre l’Organismo Unitario dell’Avvocatura ha richiesto la separazione delle carriere per un processo giusto ed efciente, in sintonia con quanto richiesto dall’Unione delle Camere Penali.

                                                                                Avv. Rodolfo Bettiol

                                                                              Vice Presidente dell’OUA