Verde: ripristiniamo limmunità
o lItalia diventerà ingovernabile
ROMA - «Torno a
casa con animo sereno perché ritengo che abbiamo lavorato molto e bene», premette il
professor Giovanni Verde, che per 4 anni burrascosi ha guidato con fermezza il Consiglio
superiore della magistratura. Nel suo bilancio, che mercoledì presenterà al capo dello
Stato in vista del cambio della guardia a Palazzo dei Marescialli, ci sono «decine di
migliaia di provvedimenti amministrativi»: trasferimenti, promozioni, mozioni a tutela
dei magistrati, la riorganizzazione degli uffici dopo l'abolizione delle preture. Nel
resoconto di Verde ci sono anche «600 decisioni disciplinari» a carico di altrettante
«toghe» messe sotto processo dal Csm. Quantità e qualità del lavoro svolto, però, non
impediscono a Verde di manifestare un doppio rammarico: per la persistenza degli attacchi
dei politici contro il Csm, organo di autogoverno della magistratura, ma anche per la
mancata soluzione del nodo dell'immunità parlamentare «che metteva a riparo i politici
da iniziative disinvolte e non sufficientemente meditate della magistratura». Il discorso
vale per Giulio Andreotti: «Con i processi di Palermo gli è stata tagliata la strada che
portava fino al Quirinale». Ed è attualissimo per il presidente del Consiglio: «In caso
di condanna a Milano, Silvio Berlusconi ha il diritto-dovere di impugnare e, se ritiene di
essere innocente, di attendere fiducioso l'Appello e la Cassazione. Spetta a lui,
comunque, ogni valutazione di carattere politico».
Verde non nasconde la preoccupazione di lasciare in eredità al prossimo vicepresidente
del Csm («Non vorrei essere nei suoi panni») una situazione ingovernabile: «Un politico
è arrivato a sostenere che il fine è l'imparzialità del giudice mentre la sua autonomia
e la sua indipendenza sono solo i mezzi per raggiungere l'obiettivo. Ma questo è un
ragionamento sbagliato e pericoloso». E anche le accuse mosse a un «Csm che fa
politica» non vanno giù al professore: «Esprimiamo pareri che riguardano le ricadute
negative delle leggi sull'organizzazione della giustizia e devo anche dire che in questi 4
anni le nostre indicazioni non sono state quasi mai tenute in considerazione».
Conclusione: «L'obiettivo di questi attacchi è il Csm che rappresenta un baluardo, una
barriera, tra la politica e la magistratura».
E chi tutela i politici da eventuali eccessi della magistratura?
«Nell'impianto della Costituzione c'era un certo equilibrio: assicurare indipendenza e
autonomia alla magistratura, con il Csm, e cercare di evitare che ci potesse essere un uso
strumentale della giustizia a danno del mondo politico. Ma, nel momento in cui l'articolo
68 della Costituzione è stato modificato, con l'eliminazione dell'immunità parlamentare,
abbiamo creato un vuoto che deve essere colmato. Dobbiamo individuare un corretto modo di
mettere il mondo politico a riparo dalle iniziative che potrebbero provenire dalla
magistratura dando luogo a dei processi, come si dice oggi, di persecuzione politica».
Ogni volta che lei tocca questo tasto scoppia un putiferio.
«Il non aver pensato a questo problema, che si giustificava nel '92 quando la scelta
fu fatta in una determinata situazione, ha creato oggi altri problemi che stiamo
scontando: ora rischiamo l'ingovernabilità del sistema».
Ormai sono prossime le sentenze dei processi di Milano in cui è imputato Berlusconi.
Siamo alla resa dei conti?
«Oggi si discute la proposta di legge Cirami che ha il dichiarato scopo di spostare quei
processi. Il proponente ha detto: noi pensiamo che esista già una sentenza
preconfezionata e quindi dobbiamo evitare che ciò avvenga. Ecco, la proposta Cirami mi
sembra uno dei frutti avvelenati della mancata soluzione del problema generale».
Forza Italia presto tornerà alla carica con il «congelamento» dei processi a carico
dei politici. Poi ci sono le modifiche al Codice di procedura penale che partono dal
famoso testo Anedda.
«L'emendamento Nitto Palma parte da una esigenza da me condivisa ma lo strumento
ipotizzato mi sembra eccessivo. Se, al contrario, ci fosse un lavoro di comune intesa tra
maggioranza e opposizione, su questo punto si potrebbe arrivare a soluzioni più
ragionevoli e più rispettose dei principi fondamentali. Il testo Anedda, poi, è
un'esasperazione che nasce dalla precisa volontà di cancellare autonomia e indipendenza
della magistratura in funzione di una esasperata esigenza di imparzialità del giudice. Se
si accettassero quelle proposte, tanto varrebbe scrivere nel Codice che l'imputato ha
diritto di scegliersi il giudice che ritiene imparziale».
Qual è la ricaduta di queste proposte, diciamo, mirate? «Queste leggi rendono non
gestibile la giustizia penale, con gravi ricadute sulla sicurezza: e basta fare l'esempio
dei processi contro la criminalità organizzata».
Ma anche quando l'Ulivo era in maggioranza il Parlamento ha introdotto nuove garanzie
per gli imputati.
«Sono deluso anche dall'attuale minoranza che nel corso degli anni ha seguito una
politica ondivaga: il centrosinistra è stato garantista o giustizialista secondo i casi,
senza saper scegliere una linea coerente. Io, davanti a tante oscillazioni, ho sempre
cercato di seguire l'interesse dell'istituzione senza farmi guidare da un calcolo
politico. E probabilmente questa mia scelta di campo mi è costata in termini personali
(si era parlato di una candidatura Verde per la Corte Costituzionale; ndr ) ma
così me ne vado a casa tranquillo».
Professore, cosa succede se Berlusconi viene condannato in primo grado dai giudici di
Milano?
«Le sentenze sono impugnabili finché non diventano definitive e non modificano la
posizione del soggetto. In un sistema nel quale manca ogni tipo di protezione dell'uomo
politico, questa regola dovrebbe valere due volte. Se c'è una possibilità pressoché
indiscriminata di esercitare l'azione penale e di celebrare i processi contro chicchessia,
a maggior ragione bisogna aspettare la conclusione definitiva per trarre conseguenze.
Questo è il sistema. In caso di condanna di primo grado, il presidente del Consiglio ha
il diritto-dovere di impugnare la sentenza e, se ritiene di essere innocente, di aspettare
fiducioso l'Appello e la Cassazione. E poi non va dimenticato il caso esemplare di
Andreotti: non può più essere eluso, infatti, che un uomo di quella statura resti
bloccato perché il solo processo finisce per rappresentare un danno. Andreotti stava per
diventare il presidente della Repubblica: rendiamoci conto, quindi, cosa hanno
rappresentato quei dibattimenti in un sistema con tempi processuali lunghissimi».
Una condanna in primo grado potrebbe interdire la strada del Quirinale a Berlusconi?
«In un sistema nel quale non ci sono filtri, l'opinione pubblica deve iniziare ad
abituarsi anche a delle persone che hanno processi a carico e che possono svolgere delle
funzioni pubbliche. Il problema, perciò, diventa di opportunità politica e di
sensibilità individuale». |