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Alcune riflessioni del prof. Giovanni Verde

 Il 29 luglio 2002 e cioè alla vigilia della scadenza del C.S.M. il Corriere della Sera ha pubblicato l’intervista che segue con il proessor. Giovanni Verde.

Riprendo volentieri in questo momento di bilanci della consiliatura il lucido intervento dell’illustre cattedratico sottolineando due passaggi, a mio avviso, molto significativi:

innanzi tutto vanno rimarcate le amare considerazioni a proposito degli attacchi dei quali il Consiglio è stato fatto oggetto specie nel corso degli ultimi mesi allorché esso è stato costretto ad intervenire sempre più spesso a tutela dell’indipendenza del Consiglio oltre che dei singoli magistrati.

Il secondo punto che la dice lunga sulla situazione esistente è quello nel quale il prof. Verde attribuisce nemmeno troppo velatamente alle posizioni da lui assunte la propria esclusione dalla corsa per la carica di giudice costituzionale logica conseguenza della possibilità che si voglia giungere ad affermare il principio in virtù del quale ognuno può scegliersi il giudice da lui ritenuto più imparziale.

Orazio Dente Gattola.

 

 

Verde: ripristiniamo l’immunità o l’Italia diventerà ingovernabile

ROMA - «Torno a casa con animo sereno perché ritengo che abbiamo lavorato molto e bene», premette il professor Giovanni Verde, che per 4 anni burrascosi ha guidato con fermezza il Consiglio superiore della magistratura. Nel suo bilancio, che mercoledì presenterà al capo dello Stato in vista del cambio della guardia a Palazzo dei Marescialli, ci sono «decine di migliaia di provvedimenti amministrativi»: trasferimenti, promozioni, mozioni a tutela dei magistrati, la riorganizzazione degli uffici dopo l'abolizione delle preture. Nel resoconto di Verde ci sono anche «600 decisioni disciplinari» a carico di altrettante «toghe» messe sotto processo dal Csm. Quantità e qualità del lavoro svolto, però, non impediscono a Verde di manifestare un doppio rammarico: per la persistenza degli attacchi dei politici contro il Csm, organo di autogoverno della magistratura, ma anche per la mancata soluzione del nodo dell'immunità parlamentare «che metteva a riparo i politici da iniziative disinvolte e non sufficientemente meditate della magistratura». Il discorso vale per Giulio Andreotti: «Con i processi di Palermo gli è stata tagliata la strada che portava fino al Quirinale». Ed è attualissimo per il presidente del Consiglio: «In caso di condanna a Milano, Silvio Berlusconi ha il diritto-dovere di impugnare e, se ritiene di essere innocente, di attendere fiducioso l'Appello e la Cassazione. Spetta a lui, comunque, ogni valutazione di carattere politico».
Verde non nasconde la preoccupazione di lasciare in eredità al prossimo vicepresidente del Csm («Non vorrei essere nei suoi panni») una situazione ingovernabile: «Un politico è arrivato a sostenere che il fine è l'imparzialità del giudice mentre la sua autonomia e la sua indipendenza sono solo i mezzi per raggiungere l'obiettivo. Ma questo è un ragionamento sbagliato e pericoloso». E anche le accuse mosse a un «Csm che fa politica» non vanno giù al professore: «Esprimiamo pareri che riguardano le ricadute negative delle leggi sull'organizzazione della giustizia e devo anche dire che in questi 4 anni le nostre indicazioni non sono state quasi mai tenute in considerazione». Conclusione: «L'obiettivo di questi attacchi è il Csm che rappresenta un baluardo, una barriera, tra la politica e la magistratura».
E chi tutela i politici da eventuali eccessi della magistratura?
«Nell'impianto della Costituzione c'era un certo equilibrio: assicurare indipendenza e autonomia alla magistratura, con il Csm, e cercare di evitare che ci potesse essere un uso strumentale della giustizia a danno del mondo politico. Ma, nel momento in cui l'articolo 68 della Costituzione è stato modificato, con l'eliminazione dell'immunità parlamentare, abbiamo creato un vuoto che deve essere colmato. Dobbiamo individuare un corretto modo di mettere il mondo politico a riparo dalle iniziative che potrebbero provenire dalla magistratura dando luogo a dei processi, come si dice oggi, di persecuzione politica».
Ogni volta che lei tocca questo tasto scoppia un putiferio.
«Il non aver pensato a questo problema, che si giustificava nel '92 quando la scelta fu fatta in una determinata situazione, ha creato oggi altri problemi che stiamo scontando: ora rischiamo l'ingovernabilità del sistema».
Ormai sono prossime le sentenze dei processi di Milano in cui è imputato Berlusconi. Siamo alla resa dei conti?
«Oggi si discute la proposta di legge Cirami che ha il dichiarato scopo di spostare quei processi. Il proponente ha detto: noi pensiamo che esista già una sentenza preconfezionata e quindi dobbiamo evitare che ciò avvenga. Ecco, la proposta Cirami mi sembra uno dei frutti avvelenati della mancata soluzione del problema generale».
Forza Italia presto tornerà alla carica con il «congelamento» dei processi a carico dei politici. Poi ci sono le modifiche al Codice di procedura penale che partono dal famoso testo Anedda.
«L'emendamento Nitto Palma parte da una esigenza da me condivisa ma lo strumento ipotizzato mi sembra eccessivo. Se, al contrario, ci fosse un lavoro di comune intesa tra maggioranza e opposizione, su questo punto si potrebbe arrivare a soluzioni più ragionevoli e più rispettose dei principi fondamentali. Il testo Anedda, poi, è un'esasperazione che nasce dalla precisa volontà di cancellare autonomia e indipendenza della magistratura in funzione di una esasperata esigenza di imparzialità del giudice. Se si accettassero quelle proposte, tanto varrebbe scrivere nel Codice che l'imputato ha diritto di scegliersi il giudice che ritiene imparziale».
Qual è la ricaduta di queste proposte, diciamo, mirate? «Queste leggi rendono non gestibile la giustizia penale, con gravi ricadute sulla sicurezza: e basta fare l'esempio dei processi contro la criminalità organizzata».
Ma anche quando l'Ulivo era in maggioranza il Parlamento ha introdotto nuove garanzie per gli imputati.
«Sono deluso anche dall'attuale minoranza che nel corso degli anni ha seguito una politica ondivaga: il centrosinistra è stato garantista o giustizialista secondo i casi, senza saper scegliere una linea coerente. Io, davanti a tante oscillazioni, ho sempre cercato di seguire l'interesse dell'istituzione senza farmi guidare da un calcolo politico. E probabilmente questa mia scelta di campo mi è costata in termini personali (si era parlato di una candidatura Verde per la Corte Costituzionale; ndr ) ma così me ne vado a casa tranquillo».
Professore, cosa succede se Berlusconi viene condannato in primo grado dai giudici di Milano?
«Le sentenze sono impugnabili finché non diventano definitive e non modificano la posizione del soggetto. In un sistema nel quale manca ogni tipo di protezione dell'uomo politico, questa regola dovrebbe valere due volte. Se c'è una possibilità pressoché indiscriminata di esercitare l'azione penale e di celebrare i processi contro chicchessia, a maggior ragione bisogna aspettare la conclusione definitiva per trarre conseguenze. Questo è il sistema. In caso di condanna di primo grado, il presidente del Consiglio ha il diritto-dovere di impugnare la sentenza e, se ritiene di essere innocente, di aspettare fiducioso l'Appello e la Cassazione. E poi non va dimenticato il caso esemplare di Andreotti: non può più essere eluso, infatti, che un uomo di quella statura resti bloccato perché il solo processo finisce per rappresentare un danno. Andreotti stava per diventare il presidente della Repubblica: rendiamoci conto, quindi, cosa hanno rappresentato quei dibattimenti in un sistema con tempi processuali lunghissimi».
Una condanna in primo grado potrebbe interdire la strada del Quirinale a Berlusconi?
«In un sistema nel quale non ci sono filtri, l'opinione pubblica deve iniziare ad abituarsi anche a delle persone che hanno processi a carico e che possono svolgere delle funzioni pubbliche. Il problema, perciò, diventa di opportunità politica e di sensibilità individuale».

 

 

 

 

 

Dino Martirano