attualita.jpg (7645 bytes)

LA LETTERA INVIATA DAL PRESIDENTE DEL C.N.F. AL PROCURATORE GENERALE FAVARA

Relazione inviata dal presidente, Remo Danovi al Procuratore generale della Cassazione Francesco Favara IL 10 dicembre 2003.
 

Sig. Procuratore Generale,
anche quest’anno Ella ha voluto rivolgere al Consiglio nazionale forense l’invito a far pervenire le considerazioni dell’Avvocatura italiana sullo stato dell’amministrazione della giustizia in Italia.
1. Accolgo volentieri il Suo invito che so essere motivato non dalla mera acquiescenza a una ormai consolidata prassi, ma da un più sostanziale riconoscimento del ruolo dell’Avvocatura nella giurisdizione.
Ruolo che, mi piace ricordarlo, Ella ha voluto definire di «coessenzialità al pari della Magistratura - all’esercizio della giurisdizione» (inaugurazione dell’anno giudiziario, 12 gennaio 2001), sottoscrivendo analoghe parole usate dal Suo predecessore, il dott, Antonio La Torre (inaugurazione dell’anno giudiziario, 12 gennaio 2000).
Tale coessenzialità è sempre stata intesa dagli avvocati italiani e dalle loro istituzioni, i Consigli dell’Ordine forense, come viva partecipazione al patrimonio, di valori e di idealità che animano i magistrati italiani, nostri contraddittori istituzionali, ma a noi accomunati dal superiore interesse alla corretta amministrazione della giustizia. La doppia fedeltà dell’avvocato, ovvero la fedeltà alla parte assistita e la fedeltà all’ordinamento, lungi dall’integrare una contraddizione in termini, deve essere piuttosto intesa come una vera e profonda fedeltà alla giustizia, perché proprio essendo pienamente fedele al cittadino e facendosi paladino dei suoi diritti l’avvocato serve fino in fondo la causa della giustizia, come «il primo patrono che sorse ad impedire che col pretesto del diritto si violasse il diritto» (F. Carrara) È infatti solo dall’effettivo dispiegamento di tutte le dinamiche difensive che, nella dialettica fisiologica del contraddittorio, il magistrato giudicante acquisisce gli indispensabili elementi di fatto e le possibili prospettazioni del diritto applicabile necessari per la pronunzia della regola per il caso concreto.
2. In funzione di questa convergenza ideale e di questi profondi sentimenti di vicinanza, il Consiglio nazionale forense ha inteso nell’anno passato manifestare la propria solidarietà alla Magistratura, allorquando i toni del dibattito politico in tema di giustizia hanno travalicato i naturali confini della diversità di opinioni fino a incanalare le istanze contrapposte verso un piano inclinato al fondo del quale altro non vi era se non una distruttiva delegittimazione istituzionale.
Così è stato in occasione della risoluzione dello scorso febbraio del Csm, di cui è condivisibile l’intento di razionalizzare e riportare il confronto a toni e metodi più consoni a una moderna democrazia pluralista. Allo stesso modo il Consiglio nazionale forense ha inteso esprimere piena adesione alla dichiarazione con la quale il Capo dello Stato ha confermato alla magistratura italiana nel suo complesso i sentimenti di fiducia e di riconoscenza dei popolo italiano por l’opera quotidiana prestata per difendere i principi democratici e la Costituzione della Repubblica. Ogni offesa alla funzione giurisdizionale, invero, da qualunque parte provenga, è un’offesa anche alla funzione difensiva e alla Avvocatura italiana, sicché in questo, come in tanti altri contesti della convivenza civile, è necessario oggi più che mai ribadire le ragioni della responsabilità e ricercare con ansia infaticabile i momenti di condivisione e di comunanza del patrimonio di valori che ci uniscono.
Non può essere infatti la giustizia un altro agone dove si perpetuano le difficoltà della comunità nazionale a rinvenire spazi di solidarietà, e dove l’accentuazione delle diversità, piuttosto che fornire occasioni di arricchimento culturale, finisce per indulgere in forme di contrapposizione radicali che lacerano il Paese. Di recente gli storici, ragionando proprio sulle fratture che fin dalla sua unità hanno diviso la nostra ancor giovane nazione (nord-sud, clericali-anticlericali, risorgimento sabaudo-cavouriano e risorgimento democratico-mazziniano fino alle più recenti contrapposizioni) hanno proposto la categoria storiografica della “di visività” come chiave di lettura determinante della vita politica, istituzionale, culturale e sociale della Nazione. Ebbene, in questo difficile frangente del dibattito intorno alla giustizia italiana, abbiamo sentito e continuiamo a sentire alta la responsabilità, quale ceto di giuristi, di non aggiungere alla “divisività” italiana un altro crinale di contrapposizione. E se oggi possiamo almeno rallegrarci di non vedere tra i tanti che già esistono anche un altro muro contro muro - questo si, davvero esiziale per la quotidiana amministrazione della giustizia - ebbene ciò lo dobbiamo proprio al rispetto che abbiamo per il valore della funzione giurisdizionale, di cui facciamo parte e che contrassegna unitariamente la giustizia.
3. L’Avvocatura «non ha quindi meno diritto di ascolto in ogni sede nella quale siano in discussione problemi riguardanti la giustizia».
Non ha meno diritto di ascolto della Magistratura.
Non sono parole di un avvocato. Sono ancora le parole, da Lei condivise, del suo predecessore (A. La Torre. inaugurazione dell’anno giudiziario, 12 gennaio 2000).
Non ritenga pertanto fuori luogo che io mi rivolga a Lei per ribadire innanzi tutto ai magistrati italiani, e attraverso di Lei, se vorrà raccogliere questi miei rilievi, al Paese intero, come l’Avvocatura ritenga che l’effettivo ruolo svolto nell’amministrazione della giustizia, la dignità della difesa tra le parti processuali, la definitiva acquisizione dei principi del giusto processo tra i canoni costituzionali fondamentali postulino una partecipazione alla cerimonia inaugurale dell’anno giudiziario in Cassazione che non sia meramente formale e decorativa.
È trascorso quasi un anno, sig. Procuratore generale, da quando abbiamo formalmente richiesto al Vicepresidente del Csm (con una comunicazione trasmessa anche al Primo Presidente e a Lei ma senza ricevere alcuna risposta) che sia consentito al Presidente del Consiglio nazionale forense, in occasione della inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione, di prendere la parola nelle forme e nei modi che si riterranno opportuni, per rappresentare anche simbolicamente la dignità del ruolo della difesa nella giurisdizione. Le rappresentazioni collettive vivono anche di una dimensione simbolica, che merita sempre attenzione e rispetto, non solo per la solennità delle forme, ma anche perché vi sono fatti in grado di incidere sulla realtà delle cose in misura a volte maggiore delle! norme; le quali mantengono sempre un dato di astrattezza e di distanza dalla realtà delle cose. È stato autorevolmente detto che il vigente codice di procedura penale dovrebbe essere filtrato attraverso il setaccio dell’articolo 111 Costituzione, per verificare il suo grado di resistenza e di efficienza. Vi è comunque il rischio concreto che vadano deluso le aspettative create dalla consacrazione dei principi del giusto processo a livello costituzionale, talché tale importante riforma (approvata, lo ricordiamo, con il consenso quasi unanime delle forze politiche) sembra quasi un episodio isolato, incapace di determinare e plasmare efficacemente il sistema giudiziario italiano.
Ci pare quindi che una partecipazione non meramente formale dell’Avvocatura, nella sua veste istituzionale, sia in linea con le effettive dinamiche del processo, dove l’effettiva parità delle parti e il pieno dispiegarsi
dell’attività difensiva sono ormai acquisiti - nella sensibilità comune, oltre che negli istituti di diritto positivo - quali strumenti essenziali all’interesse oggettivo della giustizia.
In questo modo ci pare che l’inaugurazione dell’anno giudiziario con la partecipazione dell’Avvocatura possa meglio raffigurare, così come accade nelle sedi di Corte d’appello, un’immagine della giustizia illuminata dai principi fissati nell’articolo 111 della Costituzione.
Sarebbe un fatto nuovo. ne siamo consapevoli, ma sarebbe anche un segnale generale di grande importanza, sia sul terreno della effettiva conformazione degli apporti processuali ai parametri costituzionali, sia sul piano civile e culturale, per la promozione di quella immagine di partecipazione alla comune sorte della giustizia cui l’Avvocatura ha già dimostrato di tenere nel più alto grado, perché, lo ripetiamo, la dignità dei soggetti del processo è elemento essenziale della stessa giustizia (né abbiamo compreso perché, alla richiesta da noi formulata, non sia pervenuto neppure un riscontro).
4. In effetti, è la stessa dignità della giustizia, Sig. Procuratore generale, che l’Avvocatura italiana, riunita a Congresso a Palermo pochi mesi fa, ha inteso e intende difendere quando sollecita, nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, le riforme la cui urgenza è sotto gli occhi di tutti.
La riforma del processo civile è una emergenza assoluta, dopo che già lo scorso anno Ella ha segnalato il numero impressionante dei giudizi pendenti (numero che si è formato in pochi anni, senza alcun intervento riparatore, dopo l’azzeramento compiuto con le sezioni stralcio): un numero impressionante cui ovviamente si accompagna la durata irragionevole dei vari procedimenti, malgrado il contrario principio ormai costituzionalizzato.
Per provvedere dunque a contenere questo fenomeno, occorrono molte iniziative e molte risorse: delle prime si parla inutilmente da troppo tempo e delle seconde dichiaratamente non vi è disponibilità!
Sul piano delle iniziative normative, invero, vi è da segnalare la necessità che la c.d. mini-riforma del processo, già approvata dalla Camera dei deputati, possa trovare al più presto il suo epilogo con le eventuali modifiche unanimemente suggerite e con la definitiva approvazione da parte. del Senato. Si tratta di norme particolari e settoriali, che toccano plurimi punti dell’attuale procedimento, e di non strategica importanza, che pur tuttavia nella loro globalità rappresentano un serio tentativo di migliorare l’efficienza del processo. Una piccola serie di interventi di cui dovremmo raccomandare l’urgente approvazione.
Vi è poi la riforma globale, una legge delega approvata dal Consiglio dei Ministri, di cui il Parlamento non ha ancora avviato l’esame: una riforma avversata da una parte della stessa magistratura con l’etichetta che le è stata attribuita (“la privatizzazione dei processo”), che tuttavia - pur con i lunghi tempi prevedibili per il dibattito e per le indispensabili modifiche migliorative - si pone come elemento di novità da prendere in seria considerazione. La riforma tendo infatti a consentire l’approfondimento tra le parti contrapposte dei punti in discussione, il che non vuol dire di per sé privatizzare il processo o dilazionare i tempi senza misura, essendo pur sempre il giudizio riconnesso alla magistratura nel tempo che -le parti stesse potranno giudicare ragionevole. Da un lato quindi appare criticabile l’atteggiamento negativo di chi ritiene che in tal modo venga sottratta la controversia alla giurisdizione (ma è singolare che analogo giudizio negativo non venga formulato quando si invocano dagli stessi soggetti modi alternativi di risoluzione delle controversie - le cosiddette Adr – per deflazionare il numero dei processi!), e d’altro lato l’avvocato è consapevole che il dibattito approfondito - intorno ai diritti contestati potrebbe suggerire forme di conciliazione anticipatrici dell’intervento giudiziario, con sicuro vantaggio per le stesse parti assistite.
Certo è che le piccole o grandi riforme non possono essere fatte a costo zero, né si può pensare di proclamare ad alta voce che mancano i mezzi economici, poiché la mancanza dichiarata di mezzi equivale a mancanza di volontà di riforme. Così è per il processo telematico, che dovrebbe sovvertire l’inadeguatezza attuale del processo, che è fatto attualmente di fascicoli e di carte (come taluno ha dottamente evidenziato), con sicuro stravolgimento dei compiti dei soggetti interessati, in una sequenza ininterrotta di adempimenti, e con la totale inesistenza delle responsabilità cui ricondurre le inevitabili disfunzioni.
5. Quanto poi al processo penale e all’ordinamento giudiziario, l’avvocatura ha segnalato ripetutamente, ancora al Congresso di Palermo, la necessità di interventi risolutori (abbandonata la stagione delle iniziative parziali e disorganiche, che hanno contrassegnato fino ad ora le azioni legislative).
Molto quindi resta da fare, anche per restituire fiducia ai cittadini, dopo le improvvide ed estemporaneo contrapposizioni verbali che hanno colpito individualmente tutti gli eventi che riguardano la giustizia: sono criticate o applaudite le sentenze (di assoluzione o di condanna che siano), e pure sono esaltati o denigrati i giudici che le hanno emesse, e con loro la stessa funzione giurisdizionale.
È un atteggiamento irresponsabile perché finisce per indurre ogni cittadino, per imitazione, a non accettare la giustizia, semplicemente collegando l’esito di una qualsiasi decisione alla stessa funzione giurisdizionale.
Quanto poi agli interventi specifici è doveroso segnalare che la magistratura onoraria, ad esempio deve essere al più presto “riordinata” in adempimento dell’articolo 245 della legge sul giudice unico, che imponeva di farlo entro. cinque anni (mentre più volte abbiamo inutilmente segnalato che non possono essere consentite attività alternative alle funzioni dei giudici togati assegnandole di fatto a giudici onorari).
E ancora sull’ordinamento giudiziario, è naturale dover richiamare le contrapposte ideologie alla necessità di un equilibrio nelle scelte e nelle soluzioni: la valutazione della professionalità dei magistrati è infatti doverosa, pur senza le troppo rarefatte indicazioni effettuate, così come d’altro canto il dibattito sulla interpretazione creativa dovrebbe persuadere che esistono già limiti alla anomalia o abnormità dei provvedimenti, onde la formula utilizzata sembra rappresentare piuttosto una volontà di appiattimento delle determinazioni più che non la ricerca della perfezione del giudicato!
Certo, se fosse concesso alla Avvocatura - come abbiamo chiesto – di poter interloquire più ampiamente in questa solenne inaugurazione, potremmo esprimere più dettagliatamente le nostre convinzioni, nella volontà di suggerire anche i rimedi possibili. Confidiamo sempre, comunque, che ciò possa avvenire.
6. Infine, un contributo al miglioramento della giustizia e del processo può venire anche dalla riflessione critica che si svolge all’interno della categoria forense, per colmare lacune e ritardi. Pur tra molte difficoltà, nell’anno passato l’Avvocatura ha accelerato il dibattito intorno alla conformazione normativa della professione, specialmente con riguardo alla formazione e all’accesso. Su impulso del Consiglio nazionale si è avviato, infatti, un ampio e proficuo dibattito teso a concretizzare finalmente, dopo molti anni di sterili discussioni, una proposta organica di riforma dell’accesso alla professione in grado di rendere gli esami di avvocato più uniformi e corretti su tutto il territorio nazionale.
Dalle parole si è passati finalmente ai fatti: il Consiglio nazionale forense ha formulato una vera e propria proposta di legge proponendo anche misure urgenti per dare un segnale di rinnovamento fin dagli esami del dicembre 2003. L’iniziativa del Consiglio nazionale forense si è formalizzata ad Arezzo lo scorso 3 maggio in una posizione unitaria, anche se non sono mancate osservazioni e differenziazioni. Nel frattempo il ministro della Giustizia ha accolto le richieste formulate dal Consiglio nazionale forense per le misure urgenti e provvisorie e ha predisposto un decreto legge che, dopo alterne vicende parlamentari, è stato convertito in legge (è la legge 180/03). Nessuno ovviamene pensa che gli obiettivi originari, che erano quelli di assicurare lo svolgimento omogeneo e corretto degli esami in tutto le sedi, per evitare le eccessive rigidità o facilità che si sono verificate nel passato, siano stati pienamente raggiunti. Anzi, considerato il carattere dichiaratamente temporaneo del provvedimento, il Consiglio nazionale forense ribadisce la necessità di una riforma, organica dell’accesso alla professione forense che passi per un sistema integrato di scuole forensi e scuole universitarie, e ha già al riguardo presentato un contributo organico che ha ricevuto adesioni in ambito congressuale e suscitato interesse a livello parlamentare.
Pur tuttavia la vicenda del decreto sugli esami di avvocato ha dimostrato che le riforme sono possibili, sia pure con molti sforzi, quando la categoria riesca a trovare al suo. interno le risorse anche culturali per accompagnarle e guidarle, e quando soprattutto il processo di autocritica e di ripensamento abbia raggiunto una maturazione sufficiente.
Allo stesso modo sia lecito dichiarare la nostra legittima soddisfazione per la definitiva. conclusione della vicenda degli avvocati-dipendenti pubblici part-time. Troppe volto avevamo lamentato l’incongruità di una normativa la cui vigenza poneva in serio pericolo non solo l’autonomia dell’avvocato, esponendolo a una serie pressoché illimitata di occasioni di conflitto di interessi, ma anche gli stessi principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, prima fra tutte l’amministrazione della giustizia. Siamo certi che chi vive la quotidianità dell’esercizio della giurisdizione, come la vivono i magistrati italiani, non possa non concordare con noi nel ritenere che il processo abbia bisogno di operatori non soggetti a vincoli e appartenenze di alcun tipo. L’obiettivo comune devo e può essere quello di un’Avvocatura allo stesso modo autorevole e indipendente.
7. Vorremmo ancora ricordare il grande impegno che l’Avvocatura ha posto attraverso la propria Fondazione e il Centro per la formazione e l’aggiornamento degli avvocati per migliorare la qualità e l’immagine degli iscritti, con numerose iniziative di carattere professionale e culturale.
Ultima, in ordine di tempo, è stata la celebrazione del Centenario della morte di Zanardelli, con la pubblicazione dei celebri Discorsi sulla Avvocatura e con la commemorazione affidata a illustri giuristi, che hanno ricordato la figura dello statista, presidente del Collegio degli avvocati in Brescia nel 1875, nelle prime elezioni avvenute dopo la costituzione degli ordini forensi. È stata l’occasione per richiamare le nome deontologiche che accompagnano gli avvocati nella loro quotidiana fatica e che rappresentano oggi i valori e gli ideali della avvocatura.
Sotto questo profilo vorremmo soltanto aggiungere, sig. Procuratore generale, che quando le nuovi leggi hanno delegato agli organi forensi il diritto-dovere di provvedere alla organizzazione delle difese d’ufficio e alla regolamentazione del gratuito patrocinio e del patrocinio a spese dello Stato, i Consigli dell’ordine si sono adoperati con piena efficienza e con la sensibilità necessaria per assicurare ai cittadini il diritto di difesa nella forma più ampia e utile possibile. È un merito questo che ancora una volta contrassegna l’impegno dell’avvocatura per la realizzazione della funziono giurisdizionale e della giustizia.
Nello stesso senso il Consiglio nazionale forense ha partecipato attivamente alle Commissioni per la riforma del diritto societario, del diritto fallimentare e dell’ordinamento delle professioni, e da ultimo alla formulazione delle disposizioni relative alla repressione delle attività di riciclaggio, che riguardano anche le professioni giuridiche, secondo gli intendimenti dell’ultima Direttiva europea. Vi è peraltro un punto in questa materia su cui l’Avvocatura -ritiene di dover responsabilmente richiamare il legislatore: la Direttiva europea e le norme di attuazione si applicano alle professioni giuridiche, e cioè ai professionisti legali iscritti agli albi, mentre paradossalmente rimangono estranei ai doveri imposti dalla legge i consulenti che non siano iscritti ad alcun albo. È questa una ulteriore prova, della necessità che sia finalmente riconosciuta all’avvocatura e alle altre professioni giuridiche l’esclusiva della consulenza, nel rispetto della qualità e dei valori anche deontologici che la contraddistinguono.
8. Alcune cose, dunque, sono stato fatte, e altre lo saranno nei tempi che ci attendono. L’avvocatura è pronta ad affrontare tutti i nodi attraverso i quali passa la modernizzazione della società italiana, anche quelli più difficili per il proprio ruolo sociale, nella certezza e nella volontà di contribuire al miglioramento del processo e della società in cui viviamo.
Con questi auspici, Sig. Procuratore generale, gli avvocati italiani ancora una volta intendono confermare la profonda fedeltà ai principi e ai valori che regolano la professione e la giustizia.