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Commissione Giustizia della Camera dei Deputati

Audizione dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati

intervento dell’avvocato Mario Papa, Presidente dell’AIGA

25 febbraio 2004

 

L’AIGA ha già avuto occasione di esporre al Ministro della Giustizia (12 marzo 2003) ed alla Commissione Giustizia del Senato (2 aprile 2003) le ragioni, di metodo e di merito, che l’hanno indotta ad assumere una posizione critica verso il DDL in materia di riforma dell’Ordinamento Giudiziario.
- Quanto al metodo, il Governo, nell’esitare il progetto, ha finito per qualificare la magistratura associata quale esclusivo interlocutore che, anche per questa ‘investitura’, si è sentita nel diritto-dovere di ingaggiare una battaglia politica culminata in due scioperi della categoria. Eppure, se da un lato l’Ordine Giudiziario è, in parte, il destinatario della riforma, dall’altro è evidente che un nuovo assetto della giurisdizione può essere ridisegnato solo con l’apporto indispensabile di quei soggetti che in essa agiscono nell’interesse dei cittadini-utenti. Anzi, una moderna rielaborazione dell’Ordinamento giudiziario deve costituire occasione per responsabilizzare l’Avvocatura nei processi organizzativi della giurisdizione, chiamandola ad esercitare un ruolo attivo e comprimario nella ricerca di efficienza ed effettività del sistema giustizia.   
- Nel merito, il DDL lascia intravedere una palese divaricazione tra gli obiettivi dichiarati ed i risultati che, a nostro avviso, risultano concretamente perseguibili attraverso le soluzioni proposte dal Senato.
La posizione critica non significa, tuttavia, che il processo riformatore di cui si avverte l’urgente necessità, debba arrestarsi ed è per questo che abbiamo scelto di tenere un atteggiamento costruttivo, cercando di proporre tutti i miglioramenti possibili al progetto licenziato dal Senato attraverso mirati emendamenti al DDL. 
Emendamenti che, in larga parte, potrebbero consentire il superamento di rigide contrapposizioni o, comunque, evidenziarne l’eventuale pretestuosità e, in ogni caso, ridurre molti dei punti controversi.  
1) La vexata quaestio della separazione delle carriere o delle funzioni.
Il DDL  propone di risolvere il problema della separazione delle carriere prevedendo (art. 2) un unico concorso di accesso alla magistratura con prove specializzanti per le funzioni inquirenti e giudicanti da espletarsi innanzi a distinte commissioni aventi un rispettivo vicepresidente ed un unico presidente. Il mutamento di funzioni sarebbe possibile solo in altro distretto e dopo il decorso di almeno 5 anni di esercizio della funzione, in più,  richiederebbe il giudizio favorevole ad un corso di formazione  (necessario esclusivamente in occasione del primo passaggio a diverse funzioni) ed il superamento di un concorso (con prove scritte ed orali) per la copertura del 25% dei posti vacanti della funzione cui si aspira.
Obiettivo dichiarato dal legislatore è quello di garantire una effettiva  terzietà del giudice; ma non potrà essere raggiunto con le soluzioni proposte con il DDL.
La soluzione prospettata servirà solo a rendere più difficile il tramutamento di funzioni, nella speranza, evidentemente, di dissuadere chi   aspiri al passaggio orizzontale.
Tutto ciò non ha nulla a che vedere con le ragioni per cui l’Avvocatura chiede la separazione delle carriere e non farà avanzare di un solo passo il percorso di attuazione del giusto processo che presuppone l’equi-distanza del giudice terzo dalle parti processuali.
Il DDL scontenta perciò sia quelli che auspicavano la separazione delle carriere sia quelli che si sarebbero accontentati della separazione delle sole funzioni.
L’AIGA, come tutta l’Avvocatura, è per la separazione delle carriere e, nell’affermare tale posizione, tiene a rimarcare tre principi  ovvero: 
che l’attività inquirente deve rimanere nelle mani del magistrato e non refluire in quelle della   PG (come sembra voler preludere l’adozione del termine ‘requirente’ con cui, nel DDL, viene sistematicamente appellata la funzione del PM);
che il PM deve rimanere inserito nell’Ordine Giudiziario con tutte le garanzie costituzionali di autonomia ed indipendenza;
che l’obbligatorietà dell’azione penale deve rimanere intangibile (anche se, per impedire che si risolva in una discrezionalità esercitata insindacabilmente dal PM, occorrerà prevedere un termine perentorio di decadenza entro il quale il rappresentante dell’Accusa dovrà esercitare l’azione penale).
Pur ritenendo la soluzione della separazione delle carriere non surrogabile,  non si può sottacere che una separazione delle (sole) funzioni poteva essere più semplicemente realizzata attraverso un concorso promiscuo, con una successiva prova orale specializzante per le funzioni inquirenti o giudicanti. Il tramutamento, poi, si sarebbe potuto  condizionare, oltre che al trasferimento in altro distretto, al passaggio alle funzioni superiori, in modo da subordinarlo alla maturazione della relativa anzianità (8 anni anzichè gli attuali 5) ed al relativo  concorso per titoli ed esami: si sarebbe così realizzato un accenno di separazione almeno nei vari gradi delle funzioni. 
2) La progressione in carriera.
Il DDL prevede una progressione economica automatica dalla I alla VIII classe ed un avanzamento della carriera sottoposto a concorsi per titoli ed esami che consente un raggiungimento anticipato (di 5 anni) dello scatto di stipendio.  Invero, si potrà concorrere, dopo 8 anni di svolgimento delle funzioni di I grado, per quelle di II grado (con cui si consegue la V classe di stipendio, raggiungibile automaticamente solo dopo 13 anni) e, dopo 15 anni,  per quelle di legittimità (con cui si consegue la VI classe di stipendio,  raggiungibile automaticamente solo dopo 20 anni).
Obiettivo dichiarato è quello di migliorare la professionalità dei magistrati, ma tale risultato sarà ben lungi dall’essere realizzato perché, se il possesso degli standard dovrà dipendere dal superamento del concorso per le funzioni superiori, è evidente che riguarderà un limitato numero di magistrati. La maggior parte, invece, si sottoporrà a tre blande e inconsistenti verifiche ‘in negativo’ nel corso dell’intera carriera (13°, 20° e 28° anno) evitando, quindi, di dover dimostrare il raggiungimento di standard qualitativi e quantitativi.
L’obiettivo realisticamente perseguito produrrà, in più, diversi inconvenienti in quanto: 
una percentuale bassa di partecipazione ai concorsi determinerà un problema di copertura dei posti nelle funzioni superiori;
una percentuale alta  (dettata magari dal desiderio di anticipare lo scatto stipendiale)  determinerà, invece, una ‘fuga’ dalle funzioni di primo grado che sarebbero viste, astrattamente, come ‘poco qualificanti’;
concretamente, peraltro, chi rimarrà ad esercitare tali funzioni eviterà effettivamente di rispondere a seri controlli di professionalità (tali non essendo,  come si è detto, le tre verifiche nel corso della carriera);
mentre i magistrati che si sottoporranno ai concorsi saranno esposti  ai guasti del carrierismo che hanno indotto all’adozione dell’attuale (seppure insoddisfacente) progressione automatica ed i cui difetti congeniti sono stati, in verità, ulteriormente esasperati dal mancato funzionamento del sistema di valutazione dell’attività.
Tuttavia, un meccanismo che si limitasse oggi a ridare effettività alle ‘valutazioni in negativo’ (come ha proposto la minoranza in Senato, rispolverando le c.d. ‘pagelle’ proposte nella passata legislatura) appare francamente insufficiente e, ormai, politicamente impraticabile.
Più agevole è, invece, la strada degli emendamenti all’attuale struttura disegnata dal DDL giungendo ad un compromesso che appare possibile attraverso l’adozione di un doppio sistema di valutazione:
positivo (attraverso un concorso misto per titoli o per esami) per l’avanzamento in carriera;
negativo (attraverso l’esame dell’attività svolta) per l’avanzamento automatico delle classi stipendiali. 
1.  Quanto alla progressione in carriera,  la commissione di concorso prevista dal DDL potrebbe, infatti, assegnare   i posti vacanti, per il 75% attraverso un concorso per soli  titoli (come attualmente fa il CSM) e, per il  restante 25%, attraverso un concorso per titoli ed esami, facoltativo per la progressione (così agevolando, attraverso il criterio meritocratico, i più giovani) ed obbligatorio per il tramutamento (ove mai si dovesse insistere per la prospettata separazione delle funzioni in luogo dell’invocata separazione delle carriere).
Un tale sistema:
eviterebbe che i magistrati, per preparare i concorsi, possano ‘distrarsi’ dalla loro attività, perché sarebbero valutati proprio in base ad essa (coerentemente, allora, occorrerà anche escludere le “pubblicazioni scientifiche“ dal novero dei titoli attualmente previsti dall’art. 2, comma 16 bis, del DDL);
eviterebbe una dannosa ‘fuga’ dei magistrati dagli uffici di primo grado (per fini stipendiali);
consentirebbe, ai giovani più preparati, di avanzare nella carriera (per fini professionali) facendo valere i propri meriti (come d’altra parte già oggi avviene attraverso le applicazioni individuali alle funzioni superiori);
permetterebbe, in ogni caso, di attribuire le qualifiche – come prescritto dal DDL – solo a quanti effettivamente svolgano le corrispondenti funzioni.
I concorsi per i posti direttivi e semidirettivi dovrebbero comunque essere sottoposti ad esami non limitati alla valutazione dei meri titoli, ma contemplanti la verifica di attitudini alla direzione ed organizzazione di risorse, costituenti criteri decisamente più qualificanti in luogo della mera anzianità di servizio.
2.   Al di là dei (facoltativi) concorsi per la progressione in carriera, la verifica (generale) dei requisiti di professionalità e laboriosità dovrebbe, invece, essere affidata ad un rigoroso vaglio in “negativo” cui dovrebbero sottoporsi tutti i magistrati, con cadenza almeno quadriennale, e che dovrà contemplare, almeno sui grandi numeri, la possibilità di una comparazione in termini di efficienza dell’attività svolta dal magistrato, mettendo a confronto le risorse impiegate con i risultati conseguiti nonché  le scelte procedimentali assunte con  gli esiti definitivi del processo.  
Opportuna, comunque, la previsione, nel DDL:
di un divieto di permanenza (già contemplato per le funzioni di gip/gup), per oltre 10 anni, nello stesso incarico e  presso lo stesso Ufficio,
della temporaneità delle funzioni direttive,
della istituzione dell’Ufficio del giudice.
Del tutto inspiegabile, invece, l’abrogazione della funzione semidirettiva nelle Procure, sulla quale si dovrebbe puntare, per ottenere un più efficace sistema di controllo della  professionalità del gruppo di sostituti procuratori coordinati dall’Aggiunto.
Opportuna sarebbe, inoltre, una nuova disciplina in materia di trasferimenti che consenta di trovare un giusto punto di equilibrio tra il diritto del magistrato a prendere possesso delle funzioni nella sede ove abbia chiesto ed ottenuto di essere trasferito e le negative ripercussioni determinate (soprattutto negli Uffici medio-piccoli) dalla non contestuale copertura, con altra risorsa,  del posto che rimane   vacante per lunghi periodi.
3) La riorganizzazione dell’ufficio del PM.
Il DDL propone (art. 5)  di risolvere il problema della responsabilità dei pubblici ministeri rafforzando il potere gerarchico dei capi delle procure che divengono esclusivi titolari dell’azione penale, rilasciano l’obbligatorio assenso per i provvedimenti restrittivi, tengono i rapporti con gli organi di informazione.
Obiettivo dichiarato dal legislatore è la ricerca di una maggiore responsabilità da parte del PM, ma il risultato che si potrà raggiungere,   con le soluzioni prospettate, appare ben lontano da tale proposito.
La gerarchizzazione delle Procure - in combinato disposto con i poteri di  avocazione attribuiti al P.G. -  si risolverà piuttosto in un controllo dell’esercizio dell’azione penale: il che è ancor peggio di un’erosione del principio dell’obbligatorietà.
L’avversione per la monopolizzazione di alcuni momenti di impulso delle indagini  non può, tuttavia, far negligere che occorre un rimedio contro fenomeni di ingovernabilità degli Uffici Giudiziari, ove il Dirigente è quasi sempre ostaggio del potere esercitato dalle correnti della magistratura associata in seno ai Consigli Giudiziari.
Apprezzabile è, comunque, lo sforzo di risolvere il problema della spettacolarizzazione delle indagini, ma la semplice previsione della esclusività in capo al Dirigente dell’Ufficio dei rapporti con gli organi di informazione e l’obbligo, da parte di questi, di attribuire le notizie impersonalmente all’Ufficio, appare del tutto insufficiente in mancanza di un effettivo sistema di regole e di sanzioni a carico tanto dei magistrati quanto dei difensori.
4)  Il sistema disciplinare
E’ condivisibile la tipizzazione e la regolamentazione dell’azione disciplinare la cui titolarità, tuttavia, dovrebbe essere estesa anche ad un livello distrettuale e resa totalmente obbligatoria.
Inoltre, occorrerebbe rafforzare la effettività (e credibilità) del procedimento disciplinare affidandolo ad una sezione nominata dal CSM ma ad esso esterna.
Ciò che non convince dell’impianto licenziato dal Senato è la  esasperazione che francamente  trapela dalla  pletora di divieti imposti al magistrato, talmente numerosi e generici da lasciare presagire che, alla fine, tali divieti rimarranno del tutto inapplicabili, ma assolveranno ad una funzione di deterrenza  e di assoggettamento di cui potrà impadronirsi il potere politico di turno.
Il paradosso, poi, è che, a dispetto di tale molteplicità dei divieti – alcuni dei quali rasentano effettivamente una incostituzionale  compressione delle libertà individuali (pur se nessuno deve dimenticare il dovere di riservatezza, di continenza e di imparzialità anche apparente imposto dalla   funzione giudiziaria) –  il legislatore non ha preso in considerazione quelle  fattispecie che,  invece,   sono veramente in grado di incidere negativamente sulla efficienza del servizio e sull’autonomia ed indipendenza.
5) Il legislatore avrebbe dovuto, infatti,  disciplinare compiutamente l’assetto generale degli incarichi e delle attività extragiudiziarie nonché il regime delle prescrizioni e dei controlli lasciati, oggi, alla totale discrezionalità, del tutto opinabile, del CSM. Il DDL, invece,
si è limitato a vietare il ritorno, nella sede di provenienza, del magistrato eletto al parlamento (quando sarebbe stato più logico vietargli quei tipi di giurisdizione che, come quella penale, possono avere maggiori probabilità di implicazioni politiche);
ha taciuto sulla possibilità che oggi ha un  magistrato di  amministrare giustizia e svolgere contestualmente le funzioni di sindaco od assessore di un ente locale;
ha altresì taciuto sulla possibilità che oggi ha un magistrato di conseguire un dottorato di ricerca presso un’università, cumulando i compensi derivanti dalla borsa di ricerca con l’assegno alimentare;
non ha considerato la possibilità che oggi ha un magistrato di stipulare un contratto di docenza con un’università, entrando in una rete di cointeressenze incidenti sulle prerogative di autonomia ed indipendenza che l’Ordinamento può garantire (a tutela del cittadino) solo se si opera dentro e non fuori la giurisdizione;
ha lasciato intatta la possibilità per  i magistrati amministrativi di conseguire incarichi arbitrali, dando luogo ad una inaudita commistione tra controllante e controllato;
si è limitato ad inserire  “l’assunzione di incarichi senza la prescritta autorizzazione” tra gli illeciti disciplinari (art. 7 ), omettendo una previsione generale di quelli che possano essere autorizzati o comunque espletati (visto che, per molti di essi, il CSM si limita addirittura ad una mera presa d’atto), nonché i limiti che debbono presidiare lo svolgimento ed i   controlli  esercitabili dal CSM  per verificarne l’osservanza.  
Al di là di questi interventi, ad avviso dei Giovani Avvocati, non può non convenirsi sulla necessità quantomeno di istituire un’anagrafe pubblica, presso il CSM, che consenta  al cittadino di ottenere le informazioni necessarie onde poter denunciare la sussistenza di condizioni incidenti sulla imparzialità del proprio giudice.       
6)  Altrettanto grave è il silenzio del DDL sulla  Magistratura Onoraria meritevole, invece, di un generale riassetto reclamato ormai da tutti.  Proprio per questo, nel maggio dello scorso anno,  l’AIGA ha organizzato, assieme all’ANM, la 1^ Conferenza Nazionale  sulla Magistratura Onoraria, all’esito della quale ha insediato un Osservatorio permanente che riunisce, oltre ai rappresentanti della magistratura (CSM ed ANM), tutti i rappresentanti della magistratura onoraria e dell’Avvocatura. 
Non può sottacersi, in questa occasione, che il DL licenziato dal governo lo scorso dicembre (con cui è stata prorogata di un anno la scadenza di molti GOT e VPO) evidenzia il senso di approssimazione e di precarietà con cui si muove il legislatore, ingenerando, peraltro, pericolose aspettative in una parte della magistratura onoraria (che auspica la rimodulazione del principio di temporaneità) ed aggravando, specularmente, le preoccupazioni di quanti (avvocatura e magistratura togata)   a quel principio tengono.
7) Del pari insoddisfacente è la proposta di modifica dei Consigli Giudiziari che, nel DDL (art. 4) ,  comprendono, oltre al PG ed al presidente della Corte di Appello (che lo presiede),  5 o 3 magistrati togati (rispettivamente nei distretti con oltre o meno di 350 magistrati, ripartiti in 3 o 2 giudicanti e 2 od 1 requirente), 1 GdP, 4 laici (di cui 1 professore universitario in materie giuridiche, 1 avvocato con almeno 15 di effettivo esercizio professionale, 2  eletti dal Consiglio regionale tra esterni a tale organo che non svolgano e non  abbiano svolto attività forense negli ultimi 5 anni nel distretto).
I componenti non possono essere immediatamente riconfermati; i  membri laici ed il GdP hanno potere deliberante limitato e, precisamente:
i membri eletti dal Consiglio Regionale possono partecipare solo alle riunioni, alle discussioni ed alle deliberazioni  inerenti la vigilanza sull’andamento degli uffici  (cui è collegato l’ obbligo di segnalazione, al Ministro della Giustizia, delle eventuali disfunzioni rilevate) e la  formulazione di pareri e proposte sull’organizzazione ed il funzionamento degli Uffici di Pace;
gli altri membri laici (avvocati, professori universitari e rappresentante dei GdP) possono prendere parte alle discussioni ed alle deliberazioni già concesse ai membri di cui innanzi e, in più, alle deliberazioni inerenti l’approvazione delle tabelle.
L’AIGA propone un CG sul modello del CSM, e perciò ritiene che:
non possa essere presieduto dal presidente della Corte di Appello (essendo spesso parte in causa per le questioni trattate);
non possano  non essere limitati i poteri dei membri laici;
non debba essere possibile che  i componenti togati continuino ad esercitare le funzioni nel distretto onde evitare, ad esempio, che un PM si trovi ad esprimere un giudizio di idoneità nei confronti di un giudice che poche ore prima può avergli respinto una richiesta giurisdizionale;
in ogni caso, andrebbe espressamente contemplato il coinvolgimento dell’Avvocatura nella fase di elaborazione delle tabelle giudiziarie e, più, in generale nell’organizzazione dell’Ufficio, in modo da responsabilizzare attivamente tutti i soggetti della giurisdizione e costruirne l’efficienza in funzione del contributo critico che è in grado di offrire la classe forense per la quotidiana ed empirica conoscenza dei problemi.