CASSAZIONE E NUOVA NORMATIVA SUI COLLABORATORI DI GIUSTIZIA
Cassazione sezione prima penale sentenza 22 gennaio
2001-14 marzo 2002, n. 10648
Presidente Rossi relatore Giordano
Pm Galati ricorrente Greco ed altri
OMISSIS
Osserva
Il procedimento riguarda due omicidi avvenuti nel novembre 1989 in
Puglia nel contesto di contrasti insorti per il controllo malavitoso del territorio di
Copertino tra fazioni della organizzazione criminale denominata «Sacra corona unita», il
gruppo di De Tommasi Giovanni e quello dissidente dei fratelli Tornese.
Per il primo episodio, di cui fu vittima Corigliano Giovanni scomparso da Veglie il 5
novembre 1989 e mai più ritrovato, sono stati incriminati quale mandante Cirfeta Cosimo,
esponente di grado elevato (allepoca detenuto) del gruppo De Tommasi, e quali
esecutori materiali i fratelli DAgostino Cosimo e Tonio.
Secondo la ricostruzione operata dai giudici del merito, sulla base anche di sentenze
passate in giudicato emesse in altri procedimenti, si trattò di un fatto interno a detto
gruppo, con cui si volle punire il Corigliano per comportamenti trasgressivi, mentre va
inquadrato nella vera e propria guerra di mafia che era in corso il secondo episodio,
avvenuto il 25 novembre 1989 in Copertino, in cui la vittima designata Martina Giuseppe,
uomo dei Tornese, venne solo ferito e rimase invece uccisa la fidanzata Greco Ornella che
si trovava in sua compagnia.
Per questultimo fatto è stato incriminato Greco Giovanni, accusato di avere
materialmente compiuto il crimine insieme ad altri appartenenti al clan De Tommasi tra i
quali Conte Claudio, responsabile del gruppo per la zona di Copertino che in altro
procedimento è stato per tale episodio condannato con sentenza non definitiva.
In esito al giudizio di primo grado, con sentenza in data 13 maggio 1999 della Corte di
assise di Lecce il DAgostino Cosimo e il DAgostino tornio sono stati
dichiarati colpevoli di concorso nellomicidio del Corigliano, aggravato dai motivi
abietti e dalla premeditazione, e in strumentali violazioni delle leggi sulle armi; il
Greco Giovanni è stato dichiarato colpevole di concorso nellomicidio della Greco
Ornella e nel tentato omicidio del Martina, aggravati dai motivi abietti e dalla
premeditazione, e in strumentali violazioni delle leggi sulle armi e inoltre di
partecipazione allassociazione di stampo mafioso capeggiata dal De Tommasi; e,
ritenuta la continuazione tra i reati loro rispettivamente ascritti, tutti e tre sono
stati condannati allergastolo con le pene accessorie di legge.
Proposto gravame dagli imputati, la pronuncia di condanna è stata interamente confermata,
nei confronti degli attuali ricorrenti, con sentenza in data 17 ottobre 2000 dalle locale
Corte di assise di appello cha ha invece assolto il Cirfeta, il quale pure in primo grado
era stato condannato per concorso nellomicidio del Corigliano.
La prova della responsabilità dei fratelli DAgostino è stata desunta dalle
dichiarazioni accusatorie di tre collaboratori di giustizia che hanno ammesso di essere
stati affiliati al clan De Tommasi il già menzionato Cirfeta, Manca Pietro e
Cagnazzo Maurizio e da un altro collaboratore, Martella Salvatore, che ha invece
ammesso di avere fatto parte del gruppo rivale dei Tornese.
Il Manca ha riferito di avere appreso dal DAgostino Tonio, durante un periodo di
comune detenzione nel carcere di Lecce, che il Corigliano era stato eliminato per ordine
del Cirfeta in quanto non aveva consegnato alla madre di costui una somma proveniente
dallo spaccio di stupefacenti e che a prelevarlo in un bar e a condurlo in un luogo
isolato era stato lo stesso DAgostino Tornio il quale lo aveva consegnato ad altre
persone, tra cui il fratello Cosimo, che lo avevano ammazzato.
Quanto al Cagnazzo, ha dichiarato di avere appreso dal De Tommasi e dal Cirfeta che questultimo
aveva dato ordine di uccidere il Corigliano, che era un suo uomo, perché aveva saputo che
si stava avvicinando al gruppo Tornese e che lomicidio era stato eseguito dal De
Tommasi, da Pulli Antonio e dal DAgostino Cosimo.
Alla stessa causale indicata dal Cagnazzo, lavvicinamento del Corigliano ai Tornese,
ha attribuito il fatto il Cirfeta il quale, pur negando sempre di essere stato mandante
dellomicidio, già nel 1992 aveva dichiarato di avere appreso dal suo fiduciario
Pulli che, durante il periodo in cui era stato in carcere, proprio per questa ragione
costui aveva dovuto eliminarlo insieme al Conte e ai fratelli DAgostino che lavevano
attirato in una trappola.
Il Martella per parte sua ha riferito che il Corigliano, da lui incontrato poco prima che
sparisse, gli aveva detto che i fratelli DAgostino lo avevano contattato per sapere
dove si nascondessero gli appartenenti al gruppo Tornese, e di avere poi appreso dal DAgostino
Tonio, durante un periodo di comune detenzione, che lui e il fratello lo avevano a cagione
del suo tradimento prelevato e poi ucciso.
La Corte di assise di appello ha giudicato queste dichiarazioni, quanto alla convergenza
sul nome dei DAgostino, pienamente attendibili e tali da fornirsi reciprocamente i
necessari riscontri individualizzanti, in un quadro in cui ha valutato come elementi
significativi anche la giudizialmente accertata partecipazione dei predetti allassociazione
capeggiata dal De Tommasi e le dichiarazioni del padre e del fratello del Corigliano circa
i rapporti di amicizia e intensa frequentazione, oltre che di consorteria mafiosa, che gli
stessi avevano con la vittima.
Per quanto concerne il Greco a base della affermazione di responsabilità sono state poste
le dichiarazioni accusatorie del Manca, il quale pure in questo caso ha sostenuto di avere
ricevuto confidenze dallimputato durante un periodo di comune detenzione nel carcere
di Lecce.
Sono state inoltre valutate dal giudice di secondo grado le dichiarazioni di un altro
collaboratore, Cirfeta Luigi, che ha indicato come fonte il Conte con il quale, come già
detto, il Greco abitualmente agiva e che per questo fatto è stato condannato in altro
procedimento.
Riscontri oggettivi individualizzanti sono stati desunti dagli accertamenti eseguiti su
armi sequestrate in occasione dellarresto del Greco avvenuto in Gallipoli nel
dicembre 1989 mentre si trovava insieme al De Tommasi e ad altri latitanti appartenenti al
suo gruppo una delle quali, un fucile calibro 12, è risultato essere stato usato
nellagguato al Martina e dal fatto che lo stesso Greco al momento della cattura
presentava in regione iliaca la cicatrice di una ferita da arma da fuoco con proiettile
ritenuto risultato, dallesame delle radiografie, avere caratteristiche compatibili
con il calibro 7.65.
Ha rilevato in proposito la Corte di assise di appello che secondo quanto è emerso dalle
indagini, il Martina reagì esplodendo contro gli attentatori i proiettili contenuti nel
caricatore della sua pistola calibro 7.65 e che il Manca ha dichiarato che il Greco,
quando si era confidato con lui in carcere, gli aveva detto di essere stato a sua volta
colpito e gli aveva mostrato una cicatrice allaltezza del fianco destro.
Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione, integrato per
il DAgostino con motivi nuovi, i difensori degli imputati condannati deducendo
violazione di legge e vizi di motivazione sotto vari profili.
Le principali doglianze ovviamente riguardano, per il posto centrale che occupano nella
costruzione accusatoria convalidata dai giudici del merito sia nei confronti dei DAgostino
che del Greco, le dichiarazioni del Manca e degli altri collaboratori di giustizia.
Di tali dichiarazioni si contesta da parte della difesa dei DAgostino anzitutto lutilizzabilità,
che viene messa in discussione in relazione a due aspetti legati alle recenti novelle
legislative: ex articolo 14 legge 45/2001, per la tardività rispetto allinizio
della sua collaborazione (dal 1983 al 1995) con cui il Manca ha parlato della
partecipazione dei suddetti imputati allomicidio del Corigliano, ed ex articolo 64
comma 3bis Cpp, introdotto dalla legge 63/2001 sul giusto processo, per essere laudizione
di tutti collaboratori avvenuta senza gli avvertimenti da questa norma prescritti.
Si contesta comunque da parte della stessa difesa dei DAgostino la valutazione di
affidabilità del contributo dei vari collaboratori per riserve sulla loro credibilità
(con particolare riguardo ai tempi e alla genesi che si vuole sospetta delle dichiarazioni
del Manca, al fatto che lo stesso Manca e il Cagnazzo non sono stati ritenuti attendibili
quando hanno accusato il Cirfeta e alla smentita che il Manca avrebbe ricevuto quanto alla
affermata codetenzione con tale Satolla Francesco), per il carattere de relato
delle loro più importanti propalazioni e per le divergenze tra di esse esistenti.
In buona parte analoghe sono le critiche mosse dalla difesa del Greco, nel contestare laffermazione
di responsabilità per tutti gli addebiti compreso quello associativo, quanto alla
valutazione di attendibilità delle dichiarazioni accusatorie del Cirfeta e del Manca che
vengono aggredite sia sotto il profilo soggettivo e intrinseco che lasserita assenza
di significativi riscontri, con specifica doglianza in punto mancata esecuzione di
approfondimenti tecnici che avrebbero potuto escludere che il proiettile che il pervenuto
ha ancora in corpo sia di calibro 7.65.
Dalla difesa del Greco viene anche riproposta leccezione di nullità del giudizio di
primo grado che era stata sollevata in quella sede respinta dalla Corte di assiste
con ordinanza in data 7 maggio 1999, fatta oggetto di motivo di appello e ritenuta
infondata anche dal giudice di secondo grado par la mancata citazione del Martina
in qualità di persona offesa dal resto di tentato omicidio.
Da tutte le difese si contestano ancora le ritenute aggravanti dei motivi abietti e della
premeditazione e il diniego agli imputati delle attenuanti generiche.
Nessuna di questa censure ha fondamento, e i ricorsi devono quindi essere rigettati con le
conseguenze in ordine alle spese processuali previste dallarticolo 616 Cpp.
La questione procedurale sollevata dalla difesa del Greco in relazione alla omessa
citazione nel giudizio di primo grado, in violazione di quanto disposto a pena di nullità
dallarticolo 178 lettera c) Cpp, della persona offesa Martina è stata correttamente
risolta dalla Corte di assise di appello alla luce della costante giurisprudenza di questa
corte (cfr., tra le molte, sezione prima 19 novembre 1998, Senneca rv 211870;
sezione terza 8 aprile 1998, Verzi rv 210971; sezione terza 18 maggio 1994, Diodato
rv 199819; sezione sesta 20 dicembre 1993, Pm in proc. Michienzi e altri rv.
198494) secondo cui, ai sensi dellarticolo 182 Cpp, limputato non può
eccepire la suddetta nullità di ordine generale a regime intermedio in quanto non ha
interesse allosservanza della disposizione violata ma solo eventualmente allaudizione
della persona offesa come testimone, alla quale nel caso di specie la stessa difesa ha
rinunciato, ottenibile esercitando la facoltà di cui allarticolo 468 Cpp.
Delle questioni sollevate dalla difesa dei DAgostino in ordine allutilizzabilità
delle dichiarazioni rese in questo procedimento dai collaboratori di giustizia, quella che
vorrebbe fosse esclusa per il mancato rispetto di quanto successivamente stabilito dai
commi 3 lettera c) e 3bis dellarticolo 64 Cpp come modificato dallarticolo
2 legge 63/2001, sullassunto che le nuove regole a norma dellarticolo 26 comma
1 di tale legge dovrebbero trovare immediata applicazione anche in questa sede, incontra linsormontabile
ostacolo rappresentato dalla disposizione derogatoria dettata per il giudizio di
cassazione dal comma 5 dello stesso articolo 26 che, come questa sezione ha già avuto
occasione di puntualizzare (cfr. la sentenza 1102/2001, Calafato e altri), deve
interpretarsi come riferita non solo alla fase finale della valutazione ma anche a quelle
delle formazione e acquisizione della prova dichiarativa.
Contrariamente a quanto sostenuto sempre dalla difesa dei DAgostino, va poi senzaltro
esclusa lapplicabilità dei commi 1 i 9 dellarticolo 16quater del
decreto legge 8/1991 convertito in legge 82/1991, inserito dallarticolo 14 legge
45/2001 recante modifiche alla disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio
di coloro che collaborano con la giustizia, secondo cui non possono essere valutate ai
fini della prova dei fatti in esse affermati contro le persone diverse dal dichiarante,
salvo i casi di irripetibilità, le dichiarazioni rese da coloro che hanno manifestato la
volontà di collaborare oltre il termine di centottanta giorni dalla suddetta
manifestazione di volontà come è avvenuto nel caso del Manca.
A tale soluzione conducono le disposizioni transitorie contenute nei commi 1 e 2 dellarticolo
25 della legge 45/2001 dalle quali chiaramente risulta che la nuova disciplina delle
collaborazioni riguarda, anche per coloro che hanno già precedentemente manifestato tale
volontà, solamente quelle poste in essere dopo lentrata in vigore delle legge
medesima.
Venendo ai motivi di gravame che investono la valutazione di affidabilità delle
dichiarazioni accusatorie del Manca e degli altri collaboratori di giustizia, va subito
detto che la regole di giudizio dettata dallarticolo 192 comma 3 Cpp è stata dalla
Corte di assise di appello applicata in modo ineccepibile, essendo dette dichiarazioni
dette sottoposte a penetrante esame senza trascurare alcuno dei fondamentali passaggi in
cui tale controllo, secondo la ormai copiosa giurisprudenza di questa corte, si deve
articolare e pienamente rispettando il principio (cfr., tra le molte, sezione quinta 14
novembre 1992, Pm e Madonia ed altri rv 193557; sezione prima 6 febbraio 1992, Pm e
Baraldi ed altri rv 189867) secondo cui la verifica di attendibilità deve essere
particolarmente rigorosa, e va estesa sino alla fonte originaria delle notizie, quando,
come sui punti cruciali è avvenuto nel caso di specie, sia stata dai dichiaranti trasfusa
nel processo una conoscenza solo de relato dei fatti da provare.
Si è evidenziato al riguardo nella sentenza impugnata, come aspetto di fondamentale
importanza che è stato invece eluso nei ricorsi, che il Manca e gli altri collaboratori
di giustizia, tutti confessi di numerosi e gravi reati, appartenevano alla «Sacra corona
unita» (per lo più nella stessa fazione) così come gli imputati e le altre persone da
cui hanno ricevuto le informazioni sui due omicidi.
Linternità, e per alcuni con ruolo apicale, di tutti i protagonisti, comprese le
vittime, alla suddetta organizzazione criminale è una connotazione della vicenda
processuale che giustamente è stata dalla Corte di assise di appello valorizzata nel
giudicare lattendibilità delle notizie riferite dai dichiaranti, soprattutto sotto
il profilo della plausibilità dei vari passaggi di informazioni nellambito dei
rapporti delinquenziali o tramite confidenze carcerarie.
In questa ottica si è rimarcato, per ciò che attiene più in particolare alla posizione
di fratelli DAgostino, come si debba considerare del tutto naturale che il
capo-mafia Cirfeta sia stato noviziato dal luogotenente Pulli, che dopo il suo arresto lo
aveva sostituito, della sorte che era toccata al Corigliano, uno degli adepti cui lo
stesso Cirfeta era più legato, delle regioni per cui lo si era dovuto eliminare e di chi
insieme a lui aveva svolto tale compito.
Si è quindi rilevato nella sentenza impugnata come lindicazione per questa via dei
DAgostino come concorrenti nella esecuzione materiale del crimine abbia trovato
prima rispondenza in quanto autonomamente dichiarato, oltre che dal Manca e dal Cagnazzo i
quali come il Cirfeta facevano parte del clan De Tommasi, anche dal Martella, appartenente
alla fazione opposta, che aveva avuto contatti con la vittima prima della sua scomparsa e
poi raccolto, come il Manca, le confidenze del DAgostino Tonio.
Questa pluralità di convergenti elementi dichiarativi non è stata dalla Corte di assise
di appello recepita acriticamente, ma è stata esaminata nel contesto delle altre
risultanze processuali, tra cui le deposizioni dei famigliari processuali, tra cui le
deposizioni dei famigliari del Corigliano, e tenendo conto di tutte le obiezioni difensive
alle quali sono state date puntuali ed esaurienti risposte, immuni da vizi di logicità e
pertanto non sindacabili in questa sede.
Non ha mancato anzitutto il giudice di secondo grado nellassolvere il Cirfeta
dalladdebito di essere stato mandante dellomicidio del Corigliano, in quanto
ha ritenuto di non potere escludere che si fosse in realtà trattato di unautonoma
iniziativa posta in essere dal Pulli, anche per rancori personali, avvalendosi del potere
malavitoso delegatogli dal capo durante la dentizione di evidenziare come ciò non
costituisce affatto una prova di inaffidabilità del Manca e del Cagnazzo, sulle cui già
riferite dichiarazioni tale addebito era stato fondato, in quanto i predetti ben potevano
essere stati sviati da ciò che il Pulli aveva lasciato intendere e dallatteggiamento
di approvazione dellaccaduto verosimilmente assunto dallo stesso Cirfeta con gi
altri appartenenti allorganizzazione quando era stato portato a conoscenza della
gravità delle trasgressioni della vittima alle regole criminali.
Le dichiarazioni del Manca sono state sottoposte ad approfondito vaglio sia stato il
profilo del ritardo con cui erano state rese,spiegato con la precedenza data nella prima
fase della collaborazione ai reati di cui il predetto era stato diretto protagonista, sia
stato il profilo del contenuto fatto oggetto dalle difese di rilevi di cui è stata in
buona parte dimostrata linconsistenza, come per quelli riguardanti la codetezione
con il Satolla, e per il resto la marginalità, con argomentazioni cui vengono opposte dai
ricorrenti solo critiche inammissibili poiché di puro merito.
Altrettanto deve dirsi per quelle che fanno leva su una certa povertà di particolari nel
racconto dello stesso Manca e degli altri collaboratori e sulla non piena coincidenza tra
le varie versioni sui nomi degli altri esecutori materiali dellomicidio del
Corigliano, aspetti che la Corte di assise di appello ha attribuito al carattere indiretto
delle conoscenze e alla diversità delle fonti senza che ne venisse intaccato il giudizio
di piena affidabilità, e sufficienza per la pronuncia di condanna, delle stesse in ordine
al coinvolgimento, da tutte affermato, dei DAgostino nel crimine.
Giudizio che i sottrae a censure di legittimità anche sotto il profilo della ritenuta
causale dellomicidio che la Corte di assise di appello ha, con adeguato apparato
argomentativi, individuato in quella riferita dal Cirfeta, dal Cagnazzo e dal Martella
riferita dal Cirfeta, dal Cagnazzo e dal Martella considerata preferibile a quella
(peraltro, come rilevato dal giudice di primo grado, non incompatibile) indicata dal Manca
per la non escludibile possibilità che su questo solo punto costui si fosse lasciato
andare a congetture in quanto condizionato da animosità nei confronti del Cirfeta (il
quale aveva accusato lui e suo fratello Fernando, che proprio per questa ragione era stato
ucciso, come responsabile dellammanco di proventi del traffico di droga).
Il percorso che il giudice di secondo grado ha dovuto compiere per ribadire laffermazione
di penale responsabilità del Greco Giovanni per lomicidio della Greco Ornella e il
tentato omicidio del Martina è stato ancora più agevole, per limpotenza dei
riscontri oggettivi che in questo caso le dichiarazioni del Manca e quelle convergenti
dellaltro collaboratore Cirfeta hanno trovato.
Largo spazio è stato dato in proposito nella sentenza impugnata allepisodio, su cui
nel ricorso si tace, della cattura del Greco insieme al De Tommasi e ad altri appartenenti
al suo clan, le cui circostanze sono state ritenute oltre che dimostrative dellinserimento
dellimputato nel sodalizio, affermata anche dal Cagnazzo e dalla fidanzata del Conte
Greco Anna e contestata dalla difesa in modo del tutto generico significativa
conferma del suo coinvolgimento nellattentato, di poco precedente, ai danni del
Martella, posto che tra le numerose armi di cui egli e gli altri arrestati erano in
possesso vi era anche un fucile utilizzato per tale impresa criminosa.
A ciò si deve aggiungere la ferita non proiettile ritenuto che il Greco presentava in
zona iliaca, dato che la Corte di assise di appello, in assenza di plausibile spiegazione
alternativa da parte dellimputato, ineccepibilmente ha ritenuto di dovere assumere
come riscontro della veridicità del racconto del Manca senza necessità di eseguire gli
approfondimenti di carattere tecnico richiesti dalla difesa, al fine di stabilire lesatto
calibro di detto proiettile, con istanza di rinnovazione del dibattimento contenuta nellatto
di appello.
Si tratta di accertamenti di cui non era stata fatta richiesta a norma dellarticolo
495 comma 2, presupposto per la deducibilità ai sensi dellarticolo 606 comma 1
lettera d) Cpp, ma solo in via di sollecitazione al giudice di primo grado di fare uso dei
poteri integrativi in materia probatoria previsti dallarticolo 507 Cpp.
La Corte di assiste aveva respinto tale sollecitazione, con ordinanze in data 5 febbraio e
7 maggio 1999 richiamate dalla sentenza impugnata, ponendo tra laltro in rilievo che
i limiti dei mezzi di indagine non invasivi disponibili, in assenza di consenso del Greco
ala estrazione del proiettile, non consentivano di pervenire a risultati certi più
precisi di quelli acquisiti con gli accertamenti già compiuti, il che costituisce
adeguata giustificazione, non sindacabile in questa sede, della decisione recettiva
correttamente presa dal giudice di secondo grado alla stregua del restrittivo criterio di
cui allarticolo 603 comma 1 Cpp.
La Corte di assise di appello ha congruamente motivato anche in ordine alla ritenuta
sussistenza, per tutti e due gli episodi criminosi, delle aggravanti di cui ai numeri 3 e
4 (in relazione allarticolo 61 numero 1) del comma 1 dellarticolo 577 Cp.
Quanto alla premeditazione si è invero evidenziato come non si trattasse affatto di
episodi connotati da estemporaneità poiché, al contrario, sia il modo in cui il
Corigliano era stato prelevato e consegnato a chi lattendeva per ucciderlo sia il
vero e proprio agguato teso al Martina esigevano previe intese tra i correi e unaccurata
preparazione.
Labiezione dei motivi che hanno spinto gli imputati ad agire è stata correttamente
ravvisata nellessere espressivi della loro totale indifferenza e disponibilità,
rivelatrici della particolare perversità che giustifica laggravamento di pena, a
perseguire nel modo più spietato gli obiettivi criminali della organizzazione di
appartenenza senza riguardo, quanto ai DAgostino, per il rapporto di amicizia che
avevano con la vittima e senza remore, per il Greco, a coinvolgere persone del tutto
estranee alla guerra di mafia come la giovane che si trovava in compagnia del Martina.
La sentenza impugnata non merita infine censura neppure per ciò che concerne il diniego
delle attenuanti generiche ritenute incompatibili con le ampiamente rimarcate connotazioni
di estrema pericolosità degli imputati, allepoca dei fatti già radicati, malgrado
la giovane età che secondo le difese dovrebbe giustificarle, negli ambienti
delinquenziali che destano il massimo allarme sociale.
PQM
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle
spese processuali
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