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 MAGISTRATURA E POLITICA 

(Intervento di Antonio Patrono, segretario generale di Magistratura Indipendente, tenuto a Crema il 31 gennaio 2003 in occasione del congresso nazionale di Unità per la Costituzione) 

Vi ringrazio per l’invito, che credo di onorare al meglio non limitandomi a un saluto formale, ma esponendovi brevemente ma chiaramente il mio pensiero circa l’argomento del giorno, ovverosia l’accentuarsi della crisi tra politica e magistratura, determinata dalla dichiarazione del Presidente del Consiglio resa la sera del 29 gennaio, dopo la decisione della Corte di Cassazione che aveva respinto la sua richiesta di rimessione ad altra sede per legittimo sospetto dei processi a carico suo, di un altro esponente politico della sua stessa maggioranza e di altre persone. 

E’ necessario soffermarsi sul messaggio politico che emerge da quella dichiarazione, estremamente importante in virtù dell’alta carica ricoperta da chi l’ha trasmesso, che ci obbliga a considerarlo con la massima attenzione.

E’ un messaggio politico che penso si possa idealmente dividere in due parti, comprendenti la prima una valutazione dell’accaduto, e la seconda l’esposizione di prospettive per il futuro; entrambe queste parti suscitano preoccupazioni considerevoli, e non ritengo possano essere condivise nei loro aspetti essenziali.

Parliamo prima delle valutazioni dell’accaduto, e in particolare dell’accusa esplicita di persecuzione giudiziaria, e quindi di sviamento dall’onesto e normale esercizio delle funzioni giudiziarie per fini e interessi politici. E’ questa un’accusa frequente, grave, gravissima, ma mai dimostrata finora, e che proprio in questa occasione non avrebbe dovuto essere ripetuta perché proprio in questa occasione è stata smentita per tabulas dall’ultima decisione giudiziaria. E questo per due motivi, assolutamente evidenti. Il primo è che stavolta oggetto del giudizio era esattamente quello, ovverosia stabilire se i giudici competenti potessero essere legittimamente sospettati di parzialità e di pregiudizi sfavorevoli agli imputati (e in realtà agli imputati in quanto esponenti politici di una certa parte, o ad essa legati). Il secondo motivo è che stavolta i giudici che, con questa decisione, sarebbero evidentemente anch’essi entrati nel novero dei “parziali”, degli “affetti da pregiudizi”, in poche parole dei politicizzati contro il presidente del consiglio e l’attuale maggioranza parlamentare, non sono più i pubblici ministeri, i giudici per le indagini preliminari, i giudici di svariati dibattimenti (badate bene, già tutti costoro in realtà decine di persone fisiche, decine di magistrati con personalità e storie individuali tutte diverse tra loro, fra molti dei quali è difficile trovare punti di contatto diversi dall’unico in comune, quello di indossare una toga), ma i giudici delle sezioni unite della corte di cassazione, che davvero nessuno ha mai potuto e potrà mai seriamente pensare di assimilare ad un una congerie di pericolosi sovversivi. I giudici delle sezioni unite della corte di cassazione sono i migliori fra i giudici della cassazione, che è già composta dai più anziani ed esperti fra i magistrati; anzianità ed esperienza che dalla stessa maggioranza parlamentare sono considerate indice sicuro di affidabilità, tanto che proprio costoro saranno i principali destinatari naturali della modifica legislativa, fortemente voluta dalla maggioranza, che ha spostato l’età pensionabile dei magistrati da 72 a 75 anni. La valutazione di una giustizia amministrata in nome e per conto di una parte politica, pertanto, è sbagliata, o quantomeno non dimostrata, e la circostanza che sia stata invece riaffermata con tanta nettezza e con tanto clamore crea oggettivamente un grave problema istituzionale.

Le prospettive per il futuro, come si è detto, sono inquietanti, ma proprio su di esse deve invece doverosamente soffermarsi soprattutto la nostra attenzione, innanzitutto con un invito al presidente del consiglio e ai politici della sua stessa maggioranza a ripensare a talune posizioni espresse e, soprattutto, a ripensare all’effetto negativo che può avere non sui magistrati ma sui cittadini, e non solo sui cittadini che hanno votato per l’opposizione ma anche sui cittadini che hanno votato per la stessa maggioranza, l’annuncio di una “resa dei conti” finale tra chi fa le leggi e chi le applica, in pratica di un “regolamento dei conti” tra le istituzioni cardine di un sistema democratico. E questo punto devo per forza parlare di politica, anche se sono solo un magistrato ho il diritto e il dovere di farlo, per la veste nella quale sto intervenendo, per la gravità di ciò che sta accadendo. E anche perché, diciamolo chiaramente senza più girare intorno alla questione, solo parlando di politica possiamo capire e far capire le ragioni della disgrazia che si è abbattuta sul mondo della magistratura nell’ultimo periodo. E, parlando di politica, dico subito che è comprensibile, è accettabile, è a mio giudizio addirittura apprezzabile che un presidente del consiglio rappresenti o comunque si prefiguri preoccupazioni per i riflessi negativi che, sul funzionamento delle istituzioni e sulla collocazione e l’immagine anche a livello internazionale del Paese, possano derivare dalla sua condizione di eterno imputato. E comprensibile, a mio giudizio, e democraticamente accettabile sarebbe anche stato che un leader politico in quella situazione, che aveva vinto le elezioni nonostante quella situazione, avesse chiaramente detto che i processi a suo carico, proprio in virtù di quella elezione, secondo lui non erano più solo un problema giudiziario, ma erano diventati qualcosa di più, un problema politico. E che come un problema politico fossero quindi stati affrontati, con gli strumenti della politica, con il coraggio di assumersi i rischi degli strumenti della politica, ma apertamente e chiaramente. Autorizzazione a procedere, amnistia e quant’altro, sono questi gli strumenti della politica con i quali si risolvono le questioni politiche di quel genere, ovviamente accettando con ciò di esporsi al rischio che ne consegue, dalle critiche dell’opposizione fino al giudizio degli elettori, ma seguendo comunque la via maestra, la via della politica, assumendosi la responsabilità di tali atti. Nel caso di specie nulla di tutto ciò è avvenuto,  e invece di risolvere il problema politico con gli strumenti della politica si è cercato di aggirarlo e di risolverlo per vie traverse, all’interno della via giudiziaria ma senza rispettare le regole della via giudiziaria, con gli strumenti del discredito dei magistrati, delle mille dilazioni, fino alla predisposizione di leggi strumentali alle istanze procedurali difensive. Tutto vano oltretutto, come sempre è stato e sempre sarà ogni sforzo che, in qualsiasi tempo e in qualsiasi senso, cercherà di risolvere problemi politici con mezzi giudiziari, di spostare il terreno della lotta politica dai parlamenti ai tribunali, di vincere le battaglie politiche non con gli uomini politici ma con gli avvocati. Tutto vano come vano sarebbe ogni ulteriore sforzo rivolto nella medesima direzione, come vana sarebbe a tal fine l’annunciata “resa dei conti” a colpi di riforme “contro” i magistrati. Se anche si dovessero emarginare i pubblici ministeri dal resto dell’ordine giudiziario, relegandoli in un ruolo e una carriera dai margini ambigui ed esclusivamente autoreferenziali; se anche si dovesse infarcire il processo penale di mille altri ostacoli e trabocchetti, lastricandole di nuove nullità e inutilizzabilità; tutto ciò non risolverebbe alcun problema politico, ma avrebbe l’unico effetto di rovinare ancor più il già disastrato sistema giudiziario.

Io non voglio nemmeno pensare che ciò possa accadere. Ecco perché rifiuto questa logica da “resa dei conti”, e spero che dopo il punto di scontro più alto si torni tutti a ragionare da uomini delle istituzioni. Che vuol dire soltanto, in realtà, fare ognuno la parte che gli spetta nel quadro delle istituzioni, al quale tutti apparteniamo, con gli strumenti propri della parte che spetta a ognuno di noi. I magistrati, per parte loro, in questo momento per la verità credo che ben poco possano fare per risolvere la crisi, se non mantenere la calma, e rivestire il proprio ruolo in ogni occasione con la dignità ed il riserbo che a loro compete (e richiamando all’ordine, se del caso, coloro che a tale modello di dignità e di riserbo non volessero attenersi). Molto, invece, possono e debbono fare le altre istituzioni, e, in generale, il mondo della politica, realizzando le riforme necessarie per migliorare l’efficienza della giustizia e affrontando le proprie responsabilità con coraggio e con chiarezza, senza indulgere alla tentazione di scaricare indebitamente sulle spalle di altri, ad esempio i magistrati, l’onere di risolvere problemi che altri, ad esempio i magistrati, non possono risolvere per loro.