centrali

-PREMESSA-

 

  Per analizzare responsabilmente il momento politico nel quale si inserisce questo congresso nazionale dell’A.N.M. occorre in realtà partire dall’inizio della legislatura corrente, poiché fin dall’inizio di essa si è avuta chiara la percezione dei problemi di rapporti tra l’attuale maggioranza politica e la magistratura che sono poi clamorosamente esplosi in così tante occasioni successive.

  Fin dall’inizio, infatti, si capì che le disfunzioni della giustizia già allora a tutti evidenti erano, dal Governo e dalla maggioranza che lo sosteneva, attribuite non alla irragionevolezza delle procedure - specie di quella penale -, non alla cronica insufficienza di mezzi, non alla sempre maggiore complessità della vita e dei rapporti economici e sociali che esige un intervento sempre più diffuso e qualificato della magistratura, ma ad atteggiamenti colpevoli dei magistrati, sia giudici che pubblici ministeri, apertamente sospettati e spesso direttamente accusati di faziosità nel merito delle loro decisioni, e di infingardaggine nello svolgimento in generale del loro lavoro.

  In quest’ottica, pertanto, non sono apparsi necessari, al Governo e alla maggioranza che lo sostiene, maggiori stanziamenti per la giustizia, modifiche normative per rendere più ragionevoli le procedure, accorgimenti che consentissero di utilizzare meglio le risorse disponibili. Sono invece apparsi necessari, e sono stati realizzati o si stanno realizzando, contro tutto e contro tutti (contro il senso del diritto e della giustizia  sempre, e talvolta anche contro la Costituzione) interventi come la legge Cirami, necessaria “perché i magistrati sono legittimamente sospettabili”, o come il lodo  Schifani “perché dai magistrati ci si deve in qualche modo difendere”, o come la riforma dell’ordinamento giudiziario nei termini in cui la si è proposta, perché in qualche modo “i magistrati si devono correggere”. E accanto a ciò,  per rendere digeribile tutto ciò all’opinione pubblica, per convincere gli elettori che quella era la politica necessaria per migliorare la giustizia, perchè il male era lì, nei magistrati, e per combatterlo occorreva intervenire su di loro, sui magistrati, è stato necessario insultare i magistrati e offenderli periodicamente per dimostrare che non li si dovevano temere, accusarli di parzialità per dimostrare quanto fossero faziosi,  ed esporli al pubblico disprezzo.

 

 

LA RIFORMA DELL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO

 

  Nasce così, in questo contesto, la riforma dell’ordinamento giudiziario, e si può ben capire cosa potesse venirne fuori con tali presupposti. Ed è stato un peccato perché si è così persa o probabilmente si perderà l’occasione per migliorare comunque qualcosa dell’esistente. Infatti, pur essendoci in materia di ordinamento giudiziario molti spazi di potenziale dialogo costruttivo tra il mondo della politica e quello giudiziario, coerentemente con la politica già ricordata la maggioranza ha privilegiato anche in questa occasione la ricerca di motivi di contrapposizione a tutti i costi  con i magistrati, andando a ricercare provocatoriamente i punti che potevano toccare i nervi per loro più sensibili e creare occasioni di scontro.

  Cito i punti più significativi in  tal senso, cercando di spiegare in modo che possa essere comprensibile anche ai non addetti ai lavori le ragioni del nostro fermo, irremovibile, irrinunciabile dissenso su di essi.

  Primo caso. Tutti noi sappiamo che non esiste gerarchia tra le funzioni giudiziarie, che un magistrato non è più importante di un altro solo perché svolge le sue funzioni all’interno di in un grado di giudizio superiore rispetto all’altro. E invece si vuole affermare ad ogni costo una fittizia gerarchia tra le funzioni giudiziarie, collegando benefici in termini di status sia giuridico che economico all’esercizio di alcune funzioni rispetto ad altre, come se l’attività dei magistrati di primo grado non avesse un’importanza eguale, nell’economia del buon esito di un processo, a quella dei magistrati d’appello o di quelli di legittimità. E’ come, in sostanza, se si ritenesse giusto pagare di più l’operaio che costruisce il tetto rispetto a quello che costruisce le fondamenta di un palazzo. Il risultato sarà quello di una corsa per costruire i tetti, così tutti i processi crolleranno per mancanza di buone fondamenta. E’ come, ancora, se un’industria destinasse il 90 per cento delle sue risorse ai controlli di produzione e solo il 10 per cento alla produzione. Così avrebbe degli splendidi controlli di produzione che non potrebbero fare altro che accertare una pessima produzione, quindi non si produrrebbe più niente. Basta solo il buon senso per comprendere ciò, per comprendere che è del tutto illogico ritenere che sia meno importante, che addirittura a parità di merito e di anzianità lo si debba pagare  meno, ad esempio il pubblico ministero di primo grado che si sveglia di notte e si reca sul luogo di un omicidio, vede un cadavere sconosciuto, istruisce per mesi o per anni un’indagine, dirige la polizia giudiziaria, affronta gli avvocati in contraddittorio in udienza, eventualmente scrive anche i motivi di appello, rispetto al pubblico ministero che in secondo grado, per lo stesso processo,  espone oralmente le sue conclusioni, e ancor meno rispetto ad altro pubblico ministero che nel giudizio di legittimità affronterà solamente le eventuali questioni di diritto. Sia ben chiaro, nessuna di queste funzioni è meno importante dell’altra, ma nessuna ha nemmeno il diritto di dirsi più importante delle altre, hanno tutte le stessa importanza e la stessa dignità.

  Secondo caso. Si pretende di imporre l’esame scritto e orale come metodo principale di valutazione della professionalità dei magistrati. Quindi accade che magistrati, che facciano questo lavoro da quindici anni o venti anni  e chiedano di andare a fare i giudici d’Appello o di Cassazione, anziché essere giudicati in base alle centinaia di sentenze emesse negli anni di attività, dovrebbero essere riportati sui banchi di scuola, dotati di penna e calamaio, per essere giudicati sulla base di un esamino, con tutta l’aleatorietà tipica delle prove d’esame di un giorno solo, e con l’aggravante dell’impossibilità di dare il giusto rilievo (che deve essere “prevalente” rilievo) alle qualità più importanti per un magistrato, specie già in carriera da anni, che sono l’equilibrio,  l’attitudine e il coraggio delle proprie decisioni. Qualità, tutte queste,  che da un esame teorico non emergono.

  Terzo caso. E’ incomprensibile la previsione di concorsi di accesso diversi per l’esercizio delle funzioni giudicanti o requirenti nel quadro di una permanente unicità di carriera, che trova l’unica spiegazione nell’avvio surrettizio di un processo riformatore diretto alla separazione delle carriere. Si dica allora, quantomeno con chiarezza ed onestà, che questo è veramente ciò che si intende perseguire, la separazione delle carriere, e noi allora cercheremo di spiegare con chiarezza ed onestà a chiunque ci vorrà ascoltare che l’unicità di carriera tra giudici e pubblici ministeri è una soluzione più avanzata, e non più arretrata rispetto a quella adottata in altri Paesi, per rafforzare sempre più le garanzie di libertà dei cittadini. Faremo capire quante controindicazioni presenta il modello di pubblico ministero-avvocato propugnato dai sostenitori della separazione delle carriere, dimostreremo che quel modello spinge al carrierismo basato sulla ricerca esasperata dei risultati senza la mediazione dei valori perseguiti, spiegheremo come quel modello non può vivere senza compromessi con il consenso dell’opinione pubblica che spingano in tanti casi alla ricerca di un colpevole ad ogni costo senza andare tanto per il sottile sulle prove e sulla ricerca delle vere responsabilità, documenteremo come quel modello non possa vivere – e infatti non viva dove c’è – senza che i pubblici ministeri rispondano al potere esecutivo - e quindi alla parte politica di volta in volta   prevalente – sostanzialmente prendendo ordini da esso.

  Mi sono sforzato, come avrete notato, di esemplificare il più possibile in maniera semplice i nostri argomenti sui punti che ho toccato, perchè ritengo che il nostro compito principale, oggi, in questo congresso, sia soprattutto quello di parlare chiaro e in modo onesto, per farci capire meglio di quanto solitamente non riusciamo a fare; se alla fine saremo riusciti a farci capire meglio anche da un solo cittadino, allora questo congresso avrà avuto successo.    

 

CONSIDERAZIONI FINALI

 

   Ho detto che voglio parlare in modo chiaro, e in quest’ottica non voglio sottrarmi nemmeno a quel compito di chiara e onesta autocritica, dinanzi all’opinione pubblica, che possa far giudicare il mio intervento come “politicamente corretto”; chi è onesto e capace di criticare se stesso, può legittimamente pretendere di essere considerato più credibile e affidabile quando critica gli altri. D’altronde ciò è necessario particolarmente oggi per comprendere se sotto qualche aspetto abbiamo noi stessi magistrati fornito a coloro che vi avevano interesse l’occasione di attaccarci, amplificando e generalizzando nostri errori o manchevolezze, al fine di porre pronti rimedi a tali errori o manchevolezze e rimuovere così futuri pretesti per ulteriori strumentalizzazioni..   

  Veniamo al dunque.

  Se le valutazioni sulla professionalità dei magistrati, se la scelta dei dirigenti degli uffici giudiziari, se le nomine ai più diversi incarichi fossero state sempre e solo frutto di un’approfondita analisi dei meriti, delle attitudini e delle capacità di ciascuno, probabilmente nessuno oggi avrebbe il pretesto di valutazioni superficiali, di scelte sbagliate e di nomine ingiuste per pretendere di rimandare i magistrati dietro un banco con una penna in mano e un foglio bianco per ritornare alunni e “fare l’esame”. Si dice che ciò è generalmente dovuto a insufficienti livelli di informazione, ma io dico che spesso ciò è stato dovuto anche ad una non assoluta “neutralità” del C.S.M. nelle sue scelte, ad una eccessiva ingerenza degli apparati di corrente sull’attività istituzionale. Un vizio, quello del “correntismo” onnipresente nella vita della magistratura e onnipotente per la carriera di ogni singolo magistrato, che non ha nulla a che vedere con la “politicizzazione” della quale il C.S.M. è solitamente e ingiustamente accusato da chi da un lato ha interesse ad accusarlo, dall’altro nulla sa nulla capisce delle nostre vere problematiche, ma che spesso con la “politicizzazione” è confuso ed equivocato. Un vizio dal quale dobbiamo liberarci, al fine di poter continuare – là dove occorre, e non è certo il caso del giudizio sulle attitudini a dirigere un ufficio giudiziario o a svolgere il compito di referente informatico - a usufruire dei benefici del pluralismo culturale  del quale le correnti della magistratura sono opportuni portatori.

  Se le scelte organizzative adottate nelle sedi competenti fossero sempre state le più efficaci e aderenti alla volontà della legge e al comune buon senso, se laddove ciò fosse stato possibile, ad esempio negli uffici di procura, fossero stati approntati accorgimenti per evitare che l’elevazione di un muretto potesse portare all’esercizio dell’azione penale da parte di un pubblico ministero ed alla richiesta di archiviazione da parte del collega della stanza accanto nello stesso corridoio nello stesso ufficio giudiziario,   con l’ovvio e normale sconcerto da ciò derivante ad una normale collettività, sarebbe stato più difficile per tutti proporre oggi un impossibile modello di procuratore della repubblica autoritario, onnipresente ed onnisciente.

  Se la nostra associazione, l’A. N. M., se tutti i dirigenti di essa, e se tutti noi individualmente avessimo sempre avuto ben chiaro che non esiste solo il “popolo dei magistrati”, ma esiste e ci giudica anche il ”popolo” senza aggettivi, la gente che ci osserva e che legge le nostre dichiarazioni sui giornali, e che talvolta sarebbe stato più conveniente preoccuparsi di piacere un po’ di meno al popolo dei magistrati pur di piacere un po’ di più a tutti gli altri, guadagnandosi la loro fiducia, utilizzando modi, parole e toni che al “popolo” senza aggettivi piacciono di più in un magistrato, ispirano maggiore fiducia nella sua serenità di giudizio e nel suo equilibrio, sarebbe più difficile per tutti oggi offenderci ed accusarci impunemente delle peggiori nefandezze.

  Ecco, questi sono e sono stati i nostri veri errori, questi sono i nostri difetti: gravi, per carità, ma non certo quelli, diversi anzi da tutti quelli per i quali i magistrati sono stati tante volte offesi, tante volte esposti al pubblico disprezzo.

  Concludo: disprezzare la magistratura, far venir meno la fiducia della gente in chi amministra la giustizia, convincere l’opinione pubblica che non può più avere giustizia, vuol dire minare le basi della democrazia. Non voglio drammatizzare, ma ritengo mio diritto e dovere di magistrato, diritto e dovere di cittadino, biasimare chi si rende responsabile di ciò. Voglio, ho il diritto di difendere la democrazia; voglio, ho il diritto di pretendere che nessun altro la ponga in pericolo.

 

Antonio Patrono