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Prime osservazioni sul disegno di legge delega di riforma dell’ordinamento giudiziario

(Claudio Cerroni)

Una considerazione preliminare s’impone, dopo avere dato un’occhiata al disegno di legge delega del 14 marzo 2002 sulla riforma dell’ordinamento giudiziario. Il Ministro della Giustizia ha affermato che con questo progetto si darà finalmente spazio ai giovani. Ma l’impressione che si ricava, al contrario, è che ai giovani spazio non viene proprio offerto, anzi.

 

Gli aspetti positivi.

Vero è che da una prima lettura, per quanto affrettata e limitata solamente ad alcune norme di cui all’articolato, qualche segnale positivo può essere colto.

a)       In primo luogo è finalmente stabilita la temporaneità nello svolgimento degli incarichi direttivi, con previsione di eventuali successivi spostamenti extradistrettuali dell’(ex) capo dell’ufficio giudiziario desideroso di assumere altre funzioni di vertice.

b)      In secondo luogo viene prevista la revisione delle circoscrizioni, ai fini “di un’equa distribuzione del carico di lavoro e di un’adeguata funzionalità degli uffici giudiziari”. Se son rose…

c)       Al tempo stesso le ipotizzate modalità di accesso più rapido alle funzioni di legittimità, sia pure tramite una fase lato sensu concorsuale, non possono trovarci pregiudizialmente contrari, proprio perché si tratta di un momento facoltativo rimesso alla volontà e all’aspirazione del singolo magistrato. Anche se non può sottacersi che in questo modo molte energie lavorative saranno fatalmente rivolte (o quantomeno non può escludersi a priori) alla preparazione per il salto in Cassazione, con possibili ulteriori cadute di efficienza.

d)       Egualmente vi è da prendere atto di quell’incompatibilità su base distrettuale che – in base ad un consenso in realtà trasversale anche a settori dell’opposizione parlamentare, come si evince dai vari progetti di riforma sulla giustizia siccome conosciuti - sarebbe fissata nei riguardi di coloro che intendano mutare le proprie funzioni. Anche se in proposito forte rimane, e rimarrà, la pressione politica tesa a scavare un ben più approfondito solco tra funzioni giudicante e requirente. Ed è per questo che va salutata come male minore la sola previsione, allo stato, di un’incompatibilità territoriale, sia pure non irrilevante come quella distrettuale.  

Ma le valutazioni positive, o quantomeno “neutre”, si chiudono sostanzialmente con questa riflessione.

 

Le note censurabili.

Due proposte di riforma, in particolare, destano pesanti interrogativi.

Alla categoria si iscrivono di diritto la prospettata scuola della magistratura e i novellati consigli giudiziari.

Ci sarebbe poi da sorridere circa gli aumenti retributivi rigorosamente limitati ai magistrati che esercitano funzioni di legittimità in Cassazione e Procura generale, mentre si presenta a dir poco singolare quella norma che, in un contesto dedicato esclusivamente alla giurisdizione ordinaria, improvvisamente prende in considerazione anche i consiglieri di Stato e della Corte dei conti – addetti peraltro alle sole sezioni giurisdizionali - ai soli fini di accordare loro benefici economici sotto forma di indennità di trasferta per venti giorni al mese.

Ma andiamo con ordine, facendo finta di non avere letto le disposizioni appena ricordate.

 

1-Scuola della magistratura. E’ la novità più inquietante, anche se non è detto che si tratti di norme di sicura entrata in vigore. Tali e tante – è sufficiente in proposito scorrere la rassegna stampa fornita quotidianamente dal Consiglio Superiore della Magistratura – sono infatti le perplessità già manifestate circa la trasformazione della Corte di cassazione, organo tipicamente giurisdizionale, anche in struttura formativa permanente, che ben remote appaiono fin d’ora le possibilità che ciò possa realmente accadere.

In proposito non si scopre nulla: la formazione viene già assicurata dal C.S.M., si tratta di perfezionare ed adattare l’offerta scientifica in relazione alle esigenze di aggiornamento e didattiche, curando – nella sede più appropriata – la creazione ed il perfezionamento di una struttura  già parzialmente esistente.

Al contrario, l’organo di autogoverno è tenuto accuratamente al di fuori del circuito formativo, il che – se così dovesse proprio essere – provocherà immediate e devastanti ricadute sulla formazione decentrata, che non avrebbe allora più ragion d’essere nell’articolazione attuale, nonché sulle stesse Scuole di specializzazione forense, destinate probabilmente ad una morte prematura in culla. D’altronde esse hanno avuto vita ben grama, fieramente osteggiate dagli Ordini forensi, mal sopportate dalla classe notarile e sostanzialmente neglette dagli stessi giovani, come si è constatato nelle recenti esperienze di ammissione.

In altre parole, la tanto auspicata formazione comune tra le professioni forensi sarebbe destinata ad un’ingloriosa fine.

Vi è da pensare, comunque, che probabilmente diverse saranno le norme che infine usciranno dal Parlamento.   

Onestà intellettuale impone di ricordare tuttavia la positiva esperienza del Ced, che pure rientra nell’ambito della Corte di Cassazione. Ma una scuola della magistratura si pone in ben altri confini e dimensioni rispetto a quelli, pur preziosi, della gestione informatica del Centro elettronico di documentazione.

2-Consigli giudiziari. Qui si tocca con mano la parte peggiore della prospettata riforma. Il quadro, siccome delineato, può essere così riassunto: i Consigli vedrebbero la presenza dei due membri di diritto attuali, nonché di due magistrati che esercitano funzioni giudicanti (almeno uno dei quali dovrà avere più di vent’anni di anzianità di carriera) e di un magistrato con funzioni requirenti.

Altro che largo ai giovani! I magistrati anziani sono destinati ad essere almeno 3 su 5, con esclusione quindi di un’adeguata rappresentanza di quelle istanze e sensibilità che, quantomeno per ragioni anagrafiche, sono patrimonio dei colleghi entrati da minor tempo in carriera (laddove sarà comunque considerato “giovane” anche il magistrato che ha già alle spalle 16-18 anni di giurisdizione!). Il che, unito al fatto che l’ingresso in magistratura sarà ulteriormente ritardato per effetto degli sbarramenti concernenti i titoli di ammissione, renderà la nostra categoria molto più simile ad una gerontocrazia in stile cinese che ad un’ipotetica azienda, tendenzialmente dinamica e baldanzosamente proiettata al risanamento del servizio giudiziario.

Ma non basta: i quattro componenti laici (un professore, un avvocato, due esponenti regionali, così da fare felici maggioranza ed opposizione) alterano radicalmente i rapporti numerici – costituzionalmente definiti – tra componente togata e componente laica dell’organo di autogoverno, proprio nel momento in cui sarebbe devoluta ai Consigli (operazione astrattamente doverosa, per la verità) una congerie di competenze che incidono sul sistema organizzativo della magistratura. Si pensi solamente alla materia tabellare, nonché all’obbligo di vigilanza disciplinare.

Vero è che una parte non irrilevante della magistratura associata ha sempre valutato con favore la presenza di altre categorie professionali all’interno dei Consigli, ma nell’occasione nulla è stato pensato per gestire al meglio il lavoro.

Per ora, poi, non è stata neppure presa in considerazione l’ipotesi – formulata dal Guardasigilli Flick ma dispersa nel Grande Mare dell’Indecisione Ulivista – di modulare il numero dei componenti dei Consigli in relazione al numero dei magistrati “amministrati”, né viene al momento pensato alcunché circa un possibile esonero dal lavoro ordinario (codificato ora anche dal Consiglio Superiore, vieppiù necessario domani vista la ridotta presenza dei togati).      

Suscita comunque una preoccupazione assoluta lo stravolgimento di ogni regola costituzionale circa le proporzioni tra membri togati e laici, senza dimenticare che i membri laici, giudici di oggi, possono essere gli avvocati che domani si presenteranno avanti al loro giudicato di ieri.  

Giunge così a compimento un percorso singolare, nel corso del quale coloro che sono istituzionalmente deputati al controllo (i magistrati) non compaiono più negli organi disciplinari degli altri soggetti forensi, mentre gli esponenti di interessi di parte (gli avvocati) sono chiamati a giudicare e valutare i loro abituali arbitri.

 

Gli interrogativi.

Accanto agli aspetti sicuramente negativi, due sono i settori di intervento per i quali si può sospendere il giudizio.

1-Accesso in magistratura. L’innovazione è senz’altro censurabile, laddove il concorso per uditore giudiziario sarebbe riservato agli avvocati ovvero ai pubblici funzionari ovvero ancora ai titolari di dottorati di ricerca. Non è difficile pensare da un lato ad un ulteriore innalzamento dell’età media di ingresso in magistratura (largo ai giovani, appunto), e dall’altro ad una palese restrizione per censo dei candidati, atteso che le lunghe attese connesse all’inizio della professione forense richiedono notoriamente altre e diverse disponibilità economiche.

Accanto a ciò, peraltro, va condotta una riflessione maliziosa. La previsione di un accesso non più riservato ai semplici laureati in giurisprudenza porrebbe le condizioni per un’equiparazione piena con le altre magistrature, finora riparatesi dietro il comodo usbergo del concorso di secondo livello. Equiparazione che, e la conseguenza non appare certamente voluta, potrebbe innescare un durissimo contenzioso economico.

2-Illecito disciplinare. Sul punto i pareri sono discordi. La tipizzazione dell’illecito, se può contribuire a fare chiarezza sulla condotta del magistrato, dall’altro renderebbe molto vicino il momento della devoluzione delle valutazioni disciplinari ad organismi estranei al circuito dell’autogoverno e alla sua sensibilità. Ma l’illecito disciplinare chi e che cosa andrebbe a colpire? Il giudice che parla? Il giudice che lavora tanto ma deposita le sentenze in ritardo? Il giudice che non si adegua alla Cassazione? Il progetto di legge delega non si sbilancia in proposito, è lecito pensare di tutto.

 

Conclusioni.

La valutazione, ad una prima lettura, è sicuramente preoccupata. Ma la vera preoccupazione è che potrebbe anche andare peggio. Cerchiamo di farci sentire. Con fermezza ma con capacità di dialogo privo di isterie.