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Sono lieto di ospitare nelle pagine del sito questo scritto di Sergio Visconti sulla delicata questione dei rapporti con la classe politica e della posizione da assumere in un momento che vede la magistratura tutta sotto un pesante attacco che non ha risparmiato nemmeno le sezioni unite.

Auguro non a me stesso ma a Magistratura Indipendente che altri si inseriscano nel dibattito quali che possano essere i loro punti di vista.

Il dibattito non può che portare ad un arricchimento di coloro che vi partecipano.

Il sito è nato e si è sviluppato in un’ottica di servizio per la Magistratura in genere e per Magistratura Indipendente in particolare e deve continuare ad assolvere a questo suo compito.

Coloro che volessero intervenire possono inviare i loro contributi al seguente indirizzo: orazdent@tin.it

o.d.g. 

 

RIFORME IN CANTIERE

                                                                                              di Sergio Visconti

 

            Raccolgo con piacere l’invito di Orazio Dente Gattola ai colleghi di Magistratura Indipendente di esprimere opinioni su questioni attinenti la giurisdizione, l’attività associativa e quant’altro possa interessare (almeno così mi auguro) i magistrati italiani, e spero non solo quelli del nostro Gruppo.

            Non vi è dubbio che la parte politica che governa il paese sia in uno stato di superattività legislativa in tutti i campi, ma soprattutto in tema di giustizia – a suo dire – per migliorarla e per garantire i cittadini dalla faziosità dei magistrati, che si è ormai estesa anche alle Sezioni Unite della Suprema Corte.

            Due riforme appaiono, pertanto, necessarie per tale parte: la separazione delle carriere ed il ripristino dell’immunità parlamentare o di qualche cosa di simile.

            Tratto separatamente le due questioni. Tutta la magistratura italiana, con qualche singola e personale defezione, è contraria alla separazione delle carriere, non per conservare privilegi, che non derivano dall’unicità della funzione giurisdizionale, ma solo per salvaguardare l’indipendenza della giurisdizione, che deve essere presente anche negli organi di accusa. D’altronde, non si comprenderebbe una volontà innovativa, se non finalizzata a formare un corpo separato di pubblici ministeri, dipendenti dall’esecutivo, od almeno vicino ad esso. Né si può dire che la funzione pubblica dell’iniziativa dell’azione penale non sia attività giurisdizionale, e che non sia intesa in tal senso nell’attuale quadro normativo.

            Né pare convincente la tesi che il P.M. condizioni l’operato della magistratura giudicante, essendo ormai dimostrato che in processi con imputati noti all’opinione pubblica sono molto più numerose le sentenze di assoluzione rispetto a quelle di condanna.

            Pertanto, ritengo accettabile solo l’iniziale previsione di evitare la reversibilità delle funzioni nello stesso ufficio giudiziario o, al più, nello stesso distretto, e, al contrario, condivido pienamente l’opinione autorevolmente espressa da Carlo Federico Grosso dell’utilità di un periodico cambio di funzioni, proprio al fine di evitare un monotono e pericoloso esercizio costante delle mansioni inquirenti, con eccessivo affetto per l’attività di P.M., senza un’adeguata conoscenza diretta delle modalità con cui si forma la decisione di un magistrato giudicante.

            Infine, assurda per la nostra cultura è l’ipotesi del Pubblico Ministero, eletto direttamente dal popolo, quale rappresentante perciò di una cultura politica. E’ talmente semplice contestare ai proponenti – che dichiarano di volere combattere i magistrati politicizzati – che la coerenza delle idee dovrebbe essere un caposaldo di una parte politica. Ma già in occasione della proroga dell’età pensionabile a 75 anni questa parte politica ha dimostrato di sostenere una riforma (la temporaneità degli uffici direttivi), ed ha poi varato una norma in assoluto contrasto con il programma promesso agli italiani, e tante volte sbandierato come giustificazione di decisioni adottate o non adottate, ma quasi sempre in contrasto con gli orientamenti sia del C.S.M. che dell’A.N.M..

            Passo ora all’immunità parlamentare. E’ appena il caso di ricordare che quest’istituto  ha la funzione (giustissima) di tutelare l’investitura parlamentare da qualsiasi persecuzione giudiziaria. Pertanto, il Parlamento, in passato, avrebbe dovuto valutare l’esistenza del “fumus persecutionis”, e, solo nei casi – da ritenere rari – di deviazione della giustizia, negare l’autorizzazione a procedere. Nella c.d. Prima Repubblica si è, invece, verificato il fenomeno non solo di negare ingiustificatamente l’autorizzazione, valutando il merito dell’accusa, per lo più all’inizio dell’istruttoria (dal quale solo fatto non si poteva ritenere la volontà persecutoria), ma ancor più di non decidere affatto per anni sulle richieste dell’autorità giudiziaria, e di decidere – nei pochi casi di accoglimento – quando ormai l’accertamento dei fatti era problematico.

            Pertanto, non solo e non tanto per il furore popolare a seguito delle indagini su Tangentopoli, l’istituto fu limitato ad arresti, perquisizioni ed intercettazioni, ma soprattutto per il pessimo uso di una giusta garanzia parlamentare, che rendeva gli onorevoli giudici di sé stessi, e che, quindi, con tale responsabilità avrebbero dovuto dimostrare assoluta imparzialità.

            Nel clima attuale penso che l’immunità, se ripristinata, non verrà adoperata come l’avevano pensata i padri fondatori della Repubblica, ed ancora peggiore mi pare l’ipotesi che i procedimenti penali siano sospesi durante i mandati ministeriali, che possono protrarsi anche per due o tre legislature, per cui all’esito l’accertamento della verità diventerebbe impossibile, e forse non sarebbe neppure più attuale l’interesse alla punizione, se dovuta. Ciò, tra l’altro, trascurando la questione fondamentale della parità dei cittadini dinanzi alla legge penale.

            Termino con una proposta, perché convengo che la sola critica è argomento inconcludente. L’immunità parlamentare può essere recuperata tramite la composizione di un organo collegiale di “filtro”, di ampia garanzia istituzionale, con nomine dei componenti ad opera di chi è al primo posto nella funzione di tutelare lo Stato, e cioè il Presidente della Repubblica e/o la Corte Costituzionale, deputati ad essere la massima garanzia del primato della legge e della giustizia “equa” per tutti i cittadini. Non credo che ciò limiti l’autonomia della magistratura, ma anzi ne eviti la sovraesposizione.