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  Cooperazione internazionale nel contrasto al crimine organizzato

    

     Louise I. Shelley, direttore del Transnational Crime and Corruption Center della Università di Washington, ha recentemente osservato: “La criminalità transnazionale sarà per i legislatori il problema dominante del ventunesimo secolo, così come lo fu la guerra fredda per il ventesimo secolo ed il colonialismo per il diciannovesimo. I terroristi ed i gruppi criminali transnazionali prolifereranno perché essi sono i maggiori beneficiari della globalizzazione. Acquisiscono vantaggi dalla facilità di spostamenti, dai commerci, dai rapidi movimenti di danaro, dalle telecomunicazioni e dai collegamenti informatici e così hanno tutti i numeri per crescere”.

     Tale valutazione, ormai ampiamente condivisa, testimonia la consapevolezza che la criminalità organizzata ha ormai – e da tempo – assunto una nuova dimensione: quella internazionale.

     La natura stessa dei “beni” trattati dai gruppi criminali, specie mafiosi, ha implicato la loro evoluzione verso dimensioni sopranazionali. I tabacchi, le sostanze stupefacenti, le armi, il danaro “sporco” da riciclare, le autovetture rubate, i materiali nucleari e radioattivi, i rifiuti tossici e, da ultimo, gli stessi esseri umani (emergenza questa che occupa ormai le cronache quotidiane) presuppongono una sinergia fra i gruppi che operano nei singoli Stati cosicché quegli “oggetti” possano essere trasferiti dai territori di “produzione” a quelli di vendita e consumo.

     Tali movimentazioni intanto possono avvenire in quanto in ognuno dei Paesi di transito ed in quello di  destinazione finale agiscano, in stretta correlazione fra loro, le associazioni criminali interessate ai traffici e che, mediante la loro forza d’intimidazione ed ora, sempre più, con quella della corruzione, assicurano la circolazione delle “merci”.

     Ulteriore fattore propulsivo della internazionalizzazione della criminalità sta nella globalizzazione dell’economia, attuata attraverso un progressivo depotenziamento delle frontiere nazionali ed una più libera circolazione delle persone e dei beni, con relative ricadute sullo sviluppo e sull’interconnessione tra le economie ed i soggetti criminali dei vari Paesi.

     E’ evidente che ciascun gruppo vede accresciuta la propria potenzialità criminale dai rapporti che instaura con gli altri, potendo contare  su un “valore aggiunto”, rappresentato dall’ampliamento dei mercati originariamente praticati e da interscambi finalizzati a sempre più massicci arricchimenti.

 

     In particolare per il riciclaggio questa attitudine appare addirittura evidente, posto che le transazioni finanziarie, anche relative al money laundering, trascendono oramai i confini dei singoli Stati. Fenomeno accresciutosi con l’entrata in vigore, per l’Unione europea, della moneta unica, con il favore delle diversità esistenti nei sistemi normativi nazionali, e soprattutto per l’esistenza   in taluni di essi di normative particolarmente protettive  dell’anonimato societario e del segreto bancario.

     Su queste premesse è evidente la necessità di rafforzare una stretta cooperazione fra tutti i soggetti istituzionali, chiamati a prevenire e reprimere il crimine organizzato, che non è certo problema di un singolo Stato ma della comunità internazionale.

     Osservando le logiche della cooperazione in una prospettiva di lungo periodo può dirsi che due sono le ideologie che si sono confrontate negli ultimi quindici anni: l’una  tesa a migliorare la collaborazione fra le Autorità giudiziarie, a migliorare le procedure ed a riconoscere le rispettive decisioni; l’altra a sostenere la necessità di armonizzare leggi e procedure, di fondare una procedura europea, di affidarsi a istituzioni sopranazionali.

     E’ per tal motivo che sono stati adottati in sede internazionale gli strumenti normativi in funzione preventiva e repressiva nei confronti dei fenomeni criminali sopranazionali, nel tentativo di elaborare norme uniformi per gli Stati e di indirizzarli  verso l’armonizzazione delle loro legislazioni interne.

     In questa direzione si muovono la Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope, aperta alla firma a Vienna il 20 dicembre 1988, l’accordo tra l’Italia e la Spagna concluso a Madrid il 23 marzo 1990 per la repressione del traffico illecito via mare, la Convenzione del Consiglio d’Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, aperta alla firma a Strasburgo l’8 novembre 1990; la direttiva comunitaria 91/308/CEE del 10 giugno 1991; gli “Accordi di Schengen” (firmati il 14 giugno 1985 e il 19 giugno 1990) per l’eliminazione graduale dei controlli delle frontiere comuni, cui l’Italia ha aderito con gli Accordi di Parigi del 27 novembre 1990; gli accordi frutto della cooperazione intessuta all’interno del “terzo pilastro” dell’Unione europea, dei quali è operante la convenzione EUROPOL.

     I primi atti di cooperazione giudiziaria in materia penale sono stati elaborati nell’ambito del Consiglio d’Europa (convenzioni del 1957, relativa all’estradizione, e del 1959, relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale).

     Dopo il trattato di Maastricht, che ha incluso nel suo titolo VI la cooperazione giudiziaria in materia civile e penale come una questione di interesse comune tra gli stati membri dell’Unione europea, alle precedenti convenzioni ne sono seguite alcune dell’Unione europea, quali quella del 1995 relativa alla procedura semplificata di estradizione, basata sulle convenzione del 1957, quella del 1996 relativa all’estradizione negli stati membri dell’Unione europea, e quella del 1997 sulla repressione del terrorismo, estendendo la sfera di applicazione della procedura di estradizione.

     Nel 1996 è stato, poi, presentato un progetto di convenzione sull’assistenza in materia di repressione per completare la convenzione del Consiglio d’Europa del 1959 al fine di estendere l’assistenza reciproca tra le autorità giudiziarie e ammodernare i metodi esistenti.

     In materia di frode e corruzione nell’Unione europea sono stati adottati alcuni strumenti specifici: la convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, del 1995, e la convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti i funzionari delle Comunità europee o degli stati membri dell’Unione europea del 1997.

     Nel giugno del 1997 il Consiglio europeo di Amsterdam ha approvato un piano d’azione contro la criminalità organizzata contenente trenta raccomandazioni destinate a promuovere una cooperazione pratica e, eventualmente, il riavvicinamento delle legislazioni nazionali.

     Quest’ultima iniziativa ha anticipato l’entrata in vigore del trattato di Amsterdam. Il trattato sottolinea, nel nuovo titolo VI del trattato sull’Unione Europea (disposizioni sulla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale), l’importanza della lotta contro la criminalità organizzata e prevede il riavvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle infrazioni alle sanzioni applicabili in materia di criminalità organizzata, terrorismo e traffico di stupefacenti.

     Il piano di azione del dicembre 1998 prevede di rafforzare la cooperazione giudiziaria, riavvicinare le rispettive norme, come previsto dal trattato, e affrontare alcuni problemi orizzontali (protezione dei dati, paradisi fiscali, prevenzione della criminalità, assistenza alle vittime e patto di preadesione nella lotta contro la criminalità organizzata nei paesi dell’Europa centrale e orientale).

    Il Consiglio europeo di Tampere si è dichiarato risolutamente deciso a potenziare la lotta contro le gravi forme di criminalità organizzata transnazionale, sottolineando in particolar modo la necessità di una maggiore prevenzione e intensificazione della cooperazione a livello dell’Unione europea. Ha evidenziato, inoltre, che il rafforzamento del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie e delle sentenze ed il necessario riavvicinamento delle legislazioni faciliterebbero la cooperazione tra le autorità, come pure la tutela giudiziaria dei diritti dei singoli. Ha approvato, quindi, il principio del mutuo riconoscimento, che dovrebbe diventare il fondamento della cooperazione, sia civile che penale, al fine di realizzare un autentico spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia.

     Gli sforzi finalizzati al reperimento di accordi su definizioni, incriminazioni e sanzioni comuni in materia di diritto penale debbono in un primo tempo riguardare un numero limitato di settori che rivestono una particolare importanza quali la criminalità finanziaria, il traffico di stupefacenti, la tratta di essere umani, la criminalità organizzata che si avvale di tecnologie avanzate e i reati ambientali. Il Consiglio ha, poi, sottolineato la necessità di varare azioni specifiche di lotta contro il riciclaggio di proventi illeciti.

     Il 29 maggio del 2000, dopo oltre quattro anni di lavori, veniva aperta alla firma la Convenzione di mutua assistenza giudiziaria penale, non ancora ratificata dall’Italia, contenente alcune importanti innovazioni nell’attività di assistenza giudiziaria penale, quali l’esecuzione delle rogatorie nelle forme dello Stato richiedente, la corrispondenza diretta tra le autorità giudiziarie, nonché nuovi strumenti e tecniche investigative, quali le consegne controllate, le squadre investigative comuni e le operazioni di infiltrazione.

     Nell’ordine del giorno del Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000, passato alla storia per avere adottato la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la Commissione aveva proposto una revisione del trattato CE per inserirvi un articolo 280 bis al fine di porre la base giuridica per la creazione del procuratore europeo. Ma la questione fu accantonata perché non vi fu il tempo di approfondirla. La Commissione non ha lasciato cadere l’iniziativa. Essa aveva dato luogo al “Corpus iuris delle disposizioni penali per la protezione degli interessi finanziari dell’Unione europea”, vale a dire un complesso articolato di norme di diritto penale, sostanziale e processuale, che un gruppo di esperti ha elaborato su incarico del Parlamento europeo fra il 1996 ed il 2000. In data 11 maggio 2001 ha adottato il “Libro verde sulla protezione degli interessi finanziari e comunitari e la creazione di un Procuratore europeo”. Si tratta, anche in questo caso, di un articolato tecnico di proposte finalizzate alla creazione della figura del procuratore europeo accompagnato da una serie di quesiti mediante il quale la Commissione ha invitato organi istituzionali, comunitari e nazionali, professionisti, università organizzazioni non governative ad esprimere le loro valutazioni sullo schema normativo.

     Dalle risposte pervenute è emersa una valutazione prevalentemente favorevole sulla proposta di istituzione del pubblico ministero europeo, nonostante la aperta contrarietà manifestata da alcuni Paesi ed i dubbi e le perplessità manifestate in relazione a problematiche tecniche ed ordinamentali di altri Paesi; è stata, comunque, ravvisata la necessità di attuare il reciproco riconoscimento dei provvedimenti coercitivi nazionali ed una progressiva armonizzazione delle fattispecie penali relative a reati aventi carattere transnazionale e delle relative sanzioni.

     Con la decisione-quadro del Consiglio dell’Unione Europea del 13 giugno 2002 è stato introdotto l’istituto del mandato d’arresto europeo, quale strumento destinato a sostituire le tradizionali procedure di estradizione, caratterizzate dalla loro lentezza e complessità, che costituisce la prima attuazione del reciproco riconoscimento delle decisioni penali degli stati membri dell’Unione Europea.La decisione quadro è entrata in vigore in data 7 agosto 2002 e dovrà trovare attuazione negli stati membri dell’Unione Europea entro il 31 dicembre 2003.

La prevista legge di attuazione dovrà stabilire una apposita procedura destinata allo scopo, a cominciare dall’individuazione dell’autorità giudiziaria competente all’emissione del mandato di arresto europeo, nel rispetto dei principi dettati a livello costituzionale in materia di garanzie fondamentali, anzitutto quelle concernenti la libertà personale (art. 13 e 111 Cost.), articolandone gli sviluppi entro le cadenze temporali sancite dalla stessa decisione-quadro, nella quale vengono richiamate le norme costituzionali previste da ogni Stato membro in tema di “giusto processo”, per cui nella attuazione della decisione si porranno alcune delicate questioni di raccordo con la normativa interna e con precedenti convenzioni internazionali attualmente in vigore.

Sono in corso, inoltre, i lavori della Convenzione per la elaborazione del testo della futura Costituzione europea, che hanno ad oggetto disposizioni specifiche tese a garantire le misure necessarie per consentire una efficace cooperazione in materia penale, sulla base dei principi del reciproco riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e il progressivo riavvicinamento delle legislazioni nazionali nelle norme penali e procedurali, quantomeno sotto il profilo delle norme minime di garanzia.

     Sul versante della creazione di organismi unitari di tipo sopranazionale, gli organismi di coordinamento tra le autorità giudiziarie nazionali per quanto attiene alle azioni di contrasto al crimine organizzato ed al fenomeno del terrorismo istituiti in ambito comunitario vanno segnalati:

a)    l’azione comune, del 22 aprile 1996, adottata dal Consiglio sulla base dell’articolo K.3 del trattato sull’Unione europea, ha introdotto un quadro di scambio di magistrati di collegamento diretto a migliorare la cooperazione giudiziaria fra gli Stati membri. Lo scopo è “di accrescere la rapidità e l’efficacia della cooperazione giudiziaria nonché di contribuire allo scambio di informazioni sui sistemi giuridici e giudiziari degli Stati membri e sul loro funzionamento” ( art. 1. 1° e 3° co.).

     La diversità dei sistemi giuridici e la scarsa padronanza delle lingue straniere rappresentano infatti seri ostacoli alla realizzazione della cooperazione giudiziaria in modo conforme alle previsioni delle norme di convenzione, che peraltro evolvono nel senso dell’intensificazione del bisogno della reciproca conoscenza dei sistemi giudiziari. Il ruolo dei magistrati di collegamento, genericamente descritto nell’azione comune, si esplica in varie attività e, sul fronte delle rogatorie provenienti dall’Italia, si risolve in un servizio a disposizione delle autorità giudiziarie nazionali per la migliore predisposizione ed esecuzione della commissione rogatoria, sin dalla fase preliminare, durante la quale può verificare l’eventuale esistenza nello Stato richiesto di procedimenti su fatti che formano oggetto dell’impegno delle autorità giudiziarie italiane, nella prospettiva di un utile coordinamento giudiziario. 

b) l’azione comune, del 29 giugno 1998, del Consiglio dell’Unione Europea (98/428/GAI), nella medesima prospettiva del miglioramento della cooperazione giudiziaria, in particolare sul terreno del contrasto alle forme di criminalità grave, di tipo organizzato e transnazionale, ha istituito una rete di punti di contatto giudiziari tra gli Stati membri, denominata <<rete giudiziaria europea>>, e composta “delle autorità centrali responsabili della cooperazione giudiziaria internazionale, delle autorità giudiziarie o di altre autorità competenti con responsabilità specifiche nell’ambito della cooperazione internazionale, sia in generale che per alcune forme di criminalità grave, quali la criminalità organizzata, la corruzione, il traffico di stupefacenti o il terrorismo”. .

Successivamente all’adozione ed all’entrata in vigore del trattato di Schengen - che ha consentito, tra l’altro, la trasmissione diretta delle richieste di assistenza giudiziaria internazionale all’autorità giudiziaria estera competente ad eseguirla - si è reso necessario conoscere la ripartizione delle competenze interne di ciascuno Stato per potere individuare a quale specifica autorità giudiziaria una singola richiesta debba essere trasmessa.

La mancanza di tale conoscenza, infatti, si traduce nella sostanziale vanificazione della possibilità prima descritta, posto che la necessità di ricorrere all’autorità centrale per il successivo inoltro della richiesta a quella territorialmente competente si traduce in un allungamento dei tempi e delle procedure per l’ottenimento della risposta.

In ogni caso è sempre necessario conoscere se ed in quale forma una richiesta di assistenza giudiziaria può essere proposta o può essere accolta. La trasmissione di una richiesta che non può essere eseguita dall’autorità giudiziaria estera determina non soltanto un inutile aggravio di lavoro per quest’ultima autorità, ma anche un allungamento dei tempi di definizione delle indagini o del procedimento nello Stato richiedente.

Ed in tale ambito di operatività vengono, dunque, a collocarsi le funzioni ed i compiti dei punti di contatto, destinati a fornire quel supporto conoscitivo necessario sia ad individuare l’autorità giudiziaria estera competente all’esecuzione della richiesta di assistenza giudiziaria, sia – ove del caso – a fornire le informazioni di base circa la procedura da seguire nella formulazione e nella spedizione della richiesta; nonchè a stabilire un diretto rapporto con il corrispondente punto di contatto estero allo scopo di superare eventuali difficoltà di comprensione della normativa, ottenere informazioni circa l’accoglibilità ed i tempi di esecuzione della richiesta, consentire l’allacciamento di un diretto contatto tra il magistrato richiedente e quello richiesto (da gestire, eventualmente, attraverso l’assistenza degli stessi punti di contatto)..

Tra i risultati che, attraverso i compiti della rete e dei punti di contatto, si sono conseguiti vi è sicuramente quello dell’accelerazione delle procedure di cooperazione giudiziaria internazionale; utilità da tenere in grande considerazione, perché rappresenta proprio uno di quegli elementi di valore aggiunto che con l’istituzione della rete si è inteso perseguire.

c) La decisione della Commissione europea, del 28 aprile 1999, ha istituito l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (O.L.A.F). I compiti dell’O.L.A.F. consistono nello svolgimento di indagini esterne, ossia estese anche sul territorio di Paesi terzi “al fine di intensificare la lotta contro la frode, la corruzione e qualsiasi altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità, nonché ai fini della lotta contro le frodi inerenti a qualsiasi fatto o atto compiuto in violazione di disposizioni comunitarie” e nello svolgimento di indagini interne, all’interno cioè delle Istituzioni comunitarie;

d) Il Consiglio dell’Unione europea, con decisione del 28 febbraio 2002, ha dato vita all’unità definitiva Eurojust in sostituzione dell’unità provvisoria Pro – Eurojust, a sua volta istituita con decisione del 14 dicembre 2000, tenuto conto delle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, che prevedevano l’istituzione, prima della fine del 2001, di un’Unità (Eurojust), composta di procuratori, giudici o funzionari di polizia, per rafforzare la lotta contro gravi forme di criminalità organizzata.

     Eurojust, che dal 29.4.2003 ha la sua sede definitiva nella capitale olandese, costituisce una rilevante evoluzione rispetto alla rete giudiziaria europea. Infatti ad una rete diffusa sul territorio e sostanzialmente inorganica nonostante i tentativi di darsi un’articolazione, si è sostituita (anzi si è affiancata poiché le istituzioni europee si sviluppano per accumulazione) un organismo centrale, dotato di personalità giuridica, che per ciò stesso dà vita alla prima istituzione europea sul versante del Pubblico Ministero. Un Pubblico Ministero non dotato di azioni di potere penale ma con il compito di migliorare l’assistenza giudiziaria e, soprattutto, di coordinare le indagini; quindi esattamente ribaltando la vocazione della Rete e sviluppando l’intuizione rappresentata dalla Direzione Nazionale Antimafia, al cui modello Eurojust si è esplicitamente ispirata.

     Atteso che Eurojust è un organismo centrale ed una entità autonoma è evidente che essa offrirà quello che la rete giudiziaria non era in grado di dare, cioè stimolo ed impulso all’azione investigativa e penale.

     Il fenomeno della cooperazione giudiziaria non può, poi, essere limitato ai Paesi dell’Unione europea, posto che le caratteristiche di varie forme di criminalità organizzata presuppongono rapporti sempre più frequenti con alcuni Paesi quali gli Stati Uniti, l’America latina, i Paesi dell’est-europeo.

     Si segnala in proposito che è in corso di negoziazione, in ambito ONU, una convenzione sulla corruzione, in relazione alla quale diventa problematico affrontare anche il problema della definizione del reato di corruzione, sulla quale, mentre i paesi dell’Unione europea sono abbastanza concordi, sussistono differenze sostanziali con le normative di altri Paesi, tanto che, data la difficoltà di individuare una definizione universalmente accettata, sarà lasciata ad ogni singolo Stato la responsabilità della definizione di tale reato.

Il problema principale che emerge nell’attività di cooperazione internazionale è costituito dalle differenze degli ordinamenti giuridici, che spesso ostacolano le iniziative di cooperazione internazionale. Quantomeno a livello europeo si auspica una tendenziale armonizzazione delle legislazioni interne, sia nell’individuazione delle tipologie dei reati aventi carattere transnazionale, sia delle norme processuali che disciplinano, ad esempio, l’assunzione della prova e, soprattutto, l’utilizzazione processuale delle medesime, affinché gli sforzi compiuti non rimangano inefficaci.

     Per creare le condizioni di una efficace cooperazione occorre muoversi nel senso di realizzare alcuni obiettivi primari.

     Innanzitutto deve procedersi nel senso del progressivo riavvicinamento degli ordinamenti dei singoli Paesi membri dell’Unione Europea. In tale ottica a livello comunitario occorre, in via assolutamente prioritaria:

a)        prevedere norme minime comuni relative alla definizione di reati penali e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente gravi aventi dimensioni transnazionali o che necessitano di essere combattuti su basi comuni (terrorismo, tratta di esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di capitali, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità organizzata);

b)       prevedere misure dirette ad assicurare il riconoscimento delle decisioni giudiziarie, la   soluzione dei conflitti di competenza nonché misure minime dirette a garantire l’ammissibilità reciproca delle prove tra gli Stati membri.

    Oltre questo sarebbe necessario individuare un Organo giudiziario di investigazione sopranazionale, che possa indagare quei fatti delittuosi, che trascendono i confini dei singoli Stati. Ovvio è il riferimento al Procuratore europeo, già disegnato (come accennato in precedenza) ma non ancora attuato. In questa direzione molti confidavano in una previsione contenuta nella emananda Costituzione europea, ma sotto tal profilo la delusione è evidente.

    Da un punto di vista tecnico il libro verde sulla Procura europea aveva delineato un modello leggero di struttura, con un Procuratore europeo e Procuratori delegati aventi status nazionali, i quali sostenevano poi l’accusa davanti alle giurisdizioni dei vari Paesi.

    Sotto la spinta degli euro scettici (in specie la Gran Bretagna) preoccupati che l’istituzione di una Procura di tal tipo darebbe il via ad una centralizzazione giudiziaria che potrebbe sacrificare i diritti e le libertà dei suoi cittadini, la Convenzione ha adottato un compromesso: si è ritenuto politicamente acquisito il fatto che una Procura europea prima o poi dovrà esistere, ma se ne è rinviata l’istituzione ad una futura legge europea.

    Pur con tutte le evidenti riserve sulla concreta fattibilità di una tale futura decisione, vi è da rilevare che la Convenzione si è mossa su un altro fronte, quello di Eurojust.

    La decisione europea istitutiva di Eurojust lo ha disegnato a somiglianza della Direzione Nazionale Antimafia, a cui del resto ci si è esplicitamente ispirati: cioè un organo di coordinamento delle indagini penali che si svolgono nei diversi Paesi dell’Unione, limitatamente alle gravi forme di criminalità. Quindi null’altro che un organo di coordinamento.

    Peraltro nell’art.III – 169 della bozza del Trattato Costituzionale si legge che tra i compiti di Eurojust, che dovranno essere fissati da una futura legge, potranno esservi l’avvio di azioni penali e la composizione dei conflitti di competenza. E’ evidente il significato di questa previsione, atteso che – mentre fin ora le richieste di Eurojust alle Autorità nazionali hanno solo avuto il valore di una raccomandazione che può essere anche disattesa (art.8 della decisione istitutiva) la Convenzione ha disegnato un organo molto più forte. Quelle di Eurojust non saranno più raccomandazioni, ma direttive vincolanti, alle quali le procure nazionali dovranno attenersi. Se, quindi, Eurojust riterrà che una determinata indagine dovrà svolgersi non in Italia ma in Francia, non sarà possibile disattendere tale indicazione.

    E’ evidente allora che la strada seguita è stata quella di aggirare gli ostacoli frapposti all’istituzione della Procura europea rafforzando Eurojust, facendone una sorta di organo che esercita l’azione penale a mezzo delega, in fondo con poteri ben più forti di quelli dei nostri Procuratori generali.

     Quanto poi agli altri aspetti dello spazio di giustizia, contenuti nella emananda Costituzione,  va segnalato che è prevista l’armonizzazione ed il ravvicinamento delle norme penali ed il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie. Si è, in sostanza, chiarito che nell’ottica del riconoscimento del valore decisorio dei rispettivi provvedimenti tra i vari Stati, questo obiettivo può essere agevolato dalla capacità che avranno le normative dei diversi Paesi di avvicinarsi l’un l’altro. A tal fine si è previsto che siano preventivamente attuate misure di armonizzazione nelle politiche di settore riguardanti ambiti che possano essere presupposti del momento penale.

     Si è deciso, inoltre, di definire una chiara cornice del diritto sostanziale e del diritto procedurale europeo. Infatti sono stati elencati i settori di criminalità per i quali creare un diritto penale minimo sul presupposto di una loro valenza transnazionale: terrorismo, criminalità organizzata, traffico di stupefacenti, tratta di esseri umani (e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori), traffico di armi, riciclaggio, corruzione, contraffazione dei mezzi di pagamento, criminalità informatica. E il diritto penale minimo lo si è ancorato a questi due elementi: la definizione dei reati e le sanzioni.

     Quanto al diritto processuale minimo per l’unione, che è uno dei capisaldi della cooperazione giudiziaria, sono tre le direttrici seguite: i diritti della persona, i diritti delle vittime e l’ammissibilità delle prove. Esse si muovono su un versante fondamentale per l’integrazione delle diverse legislazioni nazionali e per la nascita di un diritto europeo.Tutto ciò sarà di particolare importanza anche ai fini della nascita di una Procura Europea perché, se si riuscirà a creare un corpus normativo a protezione delle libertà e dei diritti dei cittadini, sarà più facile accettare un organo con i poteri invasivi di una procura.

 

    

In sostanza, deve affermarsi all’interno dei Paesi dell’Unione Europea una vera e propria cultura della cooperazione giudiziaria, che si manifesta nella formazione di magistrati preparati per compiere tali attività, nella disponibilità a inviare magistrati presso gli organismi internazionali che si occupano di cooperazione internazionale in materia di assistenza giudiziaria e nel rigoroso rispetto delle misure contenute nell’azione comune del 29 giugno 1998 sulla buona prassi nell’assistenza giudiziaria in materia penale. A tal fine sembra opportuno prevedere che i magistrati di collegamento possano svolgere anche un ruolo di supervisione del rispetto di tali disposizioni, relazionando in tal senso in ordine ad eventuali disfunzioni o ai problemi riscontrati, in maniera tale da consentire efficaci interventi per far fronte ad essi.