Corte
costituzionale sentenza 11-24 aprile 2002, n. 134
Presidente Ruperto relatore Zagrebelsky
Ritenuto in fatto
1. Il Collegio per i procedimenti relativi ai reati previsti
dallarticolo 96 della Costituzione istituito presso il tribunale di Napoli solleva,
con ordinanza del 24 maggio 2001, questione di legittimità costituzionale della legge
219/89 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dallarticolo
90 della Costituzione), in riferimento agli articoli 3, 27, secondo comma, e 111 della
Costituzione.
1.1. Il Collegio espone sinteticamente le vicende del processo dinanzi a esso
pendente: a) con una sentenza del febbraio 1999 il Giudice (ordinario) delludienza
preliminare presso il Tribunale di Napoli trasmetteva, per competenza, gli atti di un
procedimento penale concernente un ex ministro
e un concorrente «laico» al Collegio per i reati ministeriali, allora costituito da due
dei tre componenti dellodierno organo giudiziario rimettente; b) nel corso del
procedimento, esteso anche nei confronti di altri due indagati «laici», il Collegio
procedeva allinterrogatorio degli indagati, chiedendo poi al Senato della Repubblica
lautorizzazione a procedere nei confronti di tutte le persone sottoposte alle
indagini, per il reato di corruzione; c) concessa dal Senato nel gennaio 2001
lautorizzazione a procedere, e formulata dal pubblico ministero la richiesta
di rinvio a giudizio, il procedimento si trovava quindi nella fase delludienza
preliminare, a trattare la quale era chiamato il Collegio del quale facevano parte, come
detto, due dei tre magistrati che lo avevano composto nella fase delle indagini; d) prima
della trattazione delludienza preliminare, uno dei suddetti componenti formulava
dichiarazione di astensione per «gravi ragioni di convenienza», a norma dellarticolo
36, comma 1, lettera h), Cpp, appunto a causa
della pregressa partecipazione al Collegio nella fase iniziale del procedimento; e)
parallelamente, la difesa dellex ministro
imputato proponeva istanza di ricusazione nei confronti del Collegio, perché composto da
magistrati che avevano svolto funzioni di pubblico ministero, nella fase delle indagini
preliminari; f) sia la dichiarazione di astensione che listanza di ricusazione
venivano rigettate dalla competente Corte dappello.
1.2. Essendo stata nuovamente fissata ludienza preliminare a seguito delle
vicende processuali sopra esposte, il Collegio per i reati ministeriali presso il
tribunale di Napoli solleva, dufficio, questione di costituzionalità, ritenendo che
«lattuale interpretazione della legge 219/89» (cioè lorientamento che
reputa essere il medesimo collegio competente sia per la fase delle indagini che per la
fase successiva alla concessione dellautorizzazione a procedere e dunque anche per
la trattazione delludienza preliminare) possa contrastare con i principi
costituzionali di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione) e di presunzione di non
colpevolezza (articolo 27, secondo comma, della Costituzione), nonché con il principio
del «giusto processo» (articolo 111 della Costituzione): a parere del Collegio
rimettente, infatti, tale disciplina determina, nei procedimenti penali nei quali siano
coinvolti ministri, un irragionevole deficit di
garanzie, giacché limputato ha come giudice delludienza preliminare quello
stesso collegio, istituito in base allarticolo 7 della legge costituzionale 1/1989
(Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale
1/1953, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui allarticolo 96 della
Costituzione), che in precedenza ha svolto nei confronti del medesimo imputato le funzioni
di pubblico ministero, come appunto nella specie si è verificato.
La «prassi interpretativa» concernente i procedimenti per reati ministeriali, poi,
appare al giudice a quo contraddire anche il
principio, posto nel nuovo testo dellarticolo 111 della Costituzione, secondo cui
«ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità,
davanti a giudice terzo e imparziale».
La rilevanza della questione, conclude il Collegio, è evidente, attenendo alla valida
composizione del giudice delludienza preliminare e dunque alla stessa possibilità
di procedere oltre.
2. Nel giudizio così promosso è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dallAvvocatura generale dello Stato.
2.1. Nellatto di intervento, lAvvocatura deduce linammissibilità
della questione per due ordini di rilievi: a) la genericità della richiesta declaratoria
di incostituzionalità, il cui oggetto è lintero complesso normativo di cui alla
legge 219/89, e b) la natura legislativa di un intervento quale quello richiesto alla
Corte sulla disciplina dei procedimenti per i reati ministeriali, che avrebbe una portata
tale da coinvolgere lintero equilibrio della legge, ciò che - afferma lAvvocatura
- costituisce una operazione propria del legislatore, non della Corte costituzionale.
Nel merito, lAvvocatura richiama lorientamento interpretativo che sulla
disciplina in questione è stato accolto proprio dalla Corte costituzionale: chiamata a
pronunciarsi sullarticolo 3 della legge 219/89, la Corte, a fronte della ipotizzata
possibilità di interpretare il sistema nel senso della competenza del giudice comune una
volta concessa lautorizzazione a procedere, ha optato, con la sentenza 265/90, per lopposta
interpretazione, dando della legge ordinaria una lettura aderente alla norma
costituzionale di riferimento (articolo 9, comma 4, della legge costituzionale 1/1989),
nel senso cioè che, concessa lautorizzazione a procedere, è il collegio a
«continuare» il procedimento «secondo le norme vigenti», dopo la rimessione degli atti
al medesimo. È dunque la stessa legge costituzionale, rileva lAvvocatura, a
postulare lidentità dellorgano chiamato a trattare il procedimento prima e
dopo lautorizzazione a procedere e fino al giudizio di merito dibattimentale dinanzi al competente tribunale distrettuale; ne
deriva la conclusione nel senso dellinfondatezza della questione sollevata.
3. Si è costituito in giudizio lex ministro,
imputato nel procedimento principale, chiedendo una declaratoria di incostituzionalità
della legge 219/89 «nella parte in cui non prevede che ludienza preliminare si
svolga innanzi al giudice delludienza preliminare del tribunale ordinario
competente».
La difesa della parte privata, dopo avere ricordato la genesi politica della disciplina,
afferma che la legge costituzionale 1/1989, istituendo lo speciale collegio presso
ciascuna sede di Corte di appello (articolo 7), ha inteso rafforzare, appunto attraverso
la previsione della collegialità, esclusivamente le garanzie del procedimento nella fase
delle indagini, in vista della delicata funzione - di preventivo «filtro
giurisdizionale» rispetto alla notitia criminis
- assegnata al collegio.
Lautorizzazione a procedere segna dunque, secondo la parte, nel disegno della legge
costituzionale, lultimo momento del regime procedimentale speciale, e la riprova
sarebbe offerta dai lavori preparatori della legge stessa, ai quali nellatto di
costituzione si fa richiamo.
Ad avviso della parte, la legge 219/89, emanata in attuazione della legge costituzionale
n. 1 del 1989, ha dettato una serie di norme dalle quali risulta attribuita al collegio
una funzione essenziale di pubblico ministero, nonché una funzione
accessoria di giudice delle indagini preliminari (competente a disporre lincidente
probatorio, larchiviazione e la riapertura delle indagini), e, mediante la
precisazione della formulazione dellarticolo 9, comma 4, della legge costituzionale
1/1989, attraverso la disposizione dellarticolo 3, comma 1, la stessa legge
ordinaria ha chiarito che con il ricevimento degli atti provenienti dallorgano
politico, una volta concessa lautorizzazione a procedere, si conclude
definitivamente la fase delle indagini assegnate al collegio, e si attiva il rito
ordinario.
Di conseguenza, alla stregua della disciplina positiva, come la richiesta di emissione del
decreto che dispone il giudizio deve essere formulata dal pubblico ministero, così la
competenza a celebrare ludienza preliminare dovrebbe essere riconosciuta al
correlativo giudice presso il tribunale ordinario: tanto più ove si consideri che né la
legge costituzionale, né la legge ordinaria contengono disposizioni in materia di giudizi
speciali.
Dallopposta - e censurata - interpretazione, che affida al collegio la celebrazione
delludienza preliminare, discenderebbe infatti unalternativa che in ogni caso
è di dubbia costituzionalità, in quanto (a) o la possibilità di accedere al
«patteggiamento» e al giudizio abbreviato è esclusa per i ministri e per coloro (i
«laici») che concorrono nel reato, oppure
(b) nei confronti di tali soggetti i riti alternativi possono essere celebrati da un
giudice che ha esercitato funzioni di pubblico ministero. Postulando, poi, che leventuale
sentenza di proscioglimento sia, secondo le regole generali, appellabile, col gravame si
determinerebbe, comunque, lintromissione di un giudice ordinario in una fase di
competenza - secondo lassunto criticato - del giudice speciale.
Nonostante i suddetti rilievi, la giurisprudenza di cui viene dato ampio conto nellatto
di costituzione attribuisce la competenza funzionale di giudice per ludienza
preliminare al collegio di cui allarticolo 7 della legge costituzionale n. 1 del
1989, che in tal modo assomma in sé le funzioni di pubblico ministero e di giudice; una
lettura, questa, che non solo conduce a soluzioni inaccettabili dal punto di vista della
coerenza dei principi affermati, ma altresì legittima un sistema che tralascia
completamente lesigenza, viceversa ineludibile, che il giudice, in quanto tale, sia
terzo e perciò imparziale.
Né i dubbi di parzialità, rileva la parte privata, potrebbero essere fugati con il
ricorso agli istituti dellastensione o della ricusazione: la situazione in esame
attiene, infatti, alla sequenza di funzioni di pubblico ministero e di giudice attribuite
alla stessa persona fisica, di modo che, ricorrendo in simile ipotesi la regola, e
comunque lesigenza, espressa dallarticolo 34, comma 3, Cpp, si impone ladozione
di un criterio generale che sancisca anche nellambito dei procedimenti per reati
ministeriali unanaloga causa di incompatibilità. Il riferimento, contenuto nellarticolo
9, comma 4, della legge costituzionale 1/1989, alle «norme vigenti» non potrebbe, di
conseguenza, ritenersi pensato con esclusione di tale regola normativa, che traduce il
principio fissato nella legge-delega per lemanazione del nuovo Cpp 81/1987, che
esclude il cumulo di funzioni di pubblico ministero e di giudice in capo allo stesso
soggetto.
Permanendo tuttavia nella applicazione pratica linterpretazione della norma nel
senso contrario a quello che appare il più logico e conforme ai principi costituzionali,
si manifesta - conclude la difesa della parte privata - «la necessità della declaratoria
di illegittimità costituzionale della legge 219/89, nella parte in cui non prevede che ludienza
preliminare si svolga innanzi al giudice delludienza preliminare ordinario
competente».
4. In prossimità delludienza, lAvvocatura dello Stato ha depositato
una memoria, nella quale sottolinea ancora una volta il rilievo preliminare, già espresso
nellatto dintervento, della genericità del petitum, essendo lordinanza di rimessione
formulata in maniera tale che non potrebbe neppure dirsi portata allesame della
Corte una precisa questione costituzionale. La difesa della parte privata aggiunge
lAvvocatura ha colto questo aspetto e se ne è fatta carico, deducendo, nella
memoria di costituzione in giudizio, lincostituzionalità della legge 219/89, nella
parte in cui non prevede una causa di incompatibilità per il collegio per i reati
ministeriali a emettere il provvedimento conclusivo delludienza preliminare, sia
esso il decreto che dispone il giudizio sia altro tipo di pronuncia; ma questa
puntualizzazione della parte privata costituisce, sempre secondo lAvvocatura, una
forzatura rispetto allo scarno testo dellordinanza del Collegio rimettente, che
«resiste» a ogni tentativo di interpretazione e chiarificazione circa la effettiva
portata della questione che con essa si sarebbe inteso sollevare.
Nel merito lAvvocatura insiste per una dichiarazione di infondatezza della
questione.
La legge 219 impugnata, si osserva nella memoria, costituisce attuazione della legge
costituzionale 1/1989, che evidentemente non potrebbe essere sospettata di
incostituzionalità; ma ciò che più conta è che la formulazione delle norme che vengono
in rilievo, ovvero larticolo 3 della legge ordinaria («Quando gli atti siano stati
rimessi [···] al collegio [···] il procedimento continua secondo le norme vigenti al
momento della rimessione») e larticolo 9 della legge costituzionale («lAssemblea,
ove conceda lautorizzazione, rimette gli atti al collegio [···] perché continui
il procedimento secondo le norme vigenti»), deve ritenersi sostanzialmente equivalente e
sorretta da una medesima ratio: la fase del
procedimento che si svolge prima del dibattimento è del tutto peculiare.
Questa specificità rifletterebbe la volontà del legislatore costituzionale di devolvere
la cognizione dei reati ministeriali al giudice ordinario, ma solo per il processo, non
prima del processo, dunque non prima della conclusione delludienza preliminare, che
segna appunto il passaggio dalluna allaltra fase; e lapparente
imprecisione delluso dellespressione circa la «continuazione del
procedimento» si spiega con lesigenza di tenere presenti le problematiche connesse
alla transizione dal vecchio al nuovo codice, con il passaggio dalla figura del giudice
istruttore nellambito di un sistema di tipo inquisitorio a quella del gip nellambito
di un sistema accusatorio. In entrambi i casi vè infatti un procedimento che può
sfociare nel processo dibattimentale e che si svolge dinanzi a organi giudiziari
differenti (giudice istruttore, giudice delludienza
preliminare), mentre nel caso dei reati ministeriali è il collegio a essere individuato
come lorgano che continua il procedimento secondo le regole processuali ordinarie. Daltra
parte, prosegue lAvvocatura, lavere previsto la competenza del tribunale
(distrettuale) per la fase del dibattimento non consentirebbe alternative rispetto alla
devoluzione della trattazione delludienza preliminare al collegio, come organo sui generis.
Linterveniente affronta poi largomentazione, contenuta nella memoria di
costituzione della parte privata, circa le funzioni di organo inquirente assegnate al
collegio nella normativa in argomento, sia costituzionale che ordinaria e attuativa della
prima; questo rilievo, afferma lAvvocatura, non è però decisivo, poiché il
collegio - come in realtà riconosciuto dalla stessa difesa dellex ministro riveste natura «duale»,
potendo compiere atti propri del pubblico ministero al pari di atti propri del gip, sì
che esso può essere assimilato, quanto a funzioni, al giudice più che al rappresentante
dellaccusa, tenuto conto del fatto che entrambe le leggi, costituzionale e
ordinaria, prevedono comunque, nel procedimento per i reati dei ministri, poteri propri
del Procuratore della Repubblica.
Ma al di là di tutto ciò, sarebbe decisiva, per lAvvocatura, la considerazione
della finalità delle norme in questione: il legislatore ha voluto circondare di speciali
cautele e garanzie la fase delle indagini preliminari alla richiesta di autorizzazione a
procedere, attribuendone la gestione a un organo in grado di accertare, con la massima
estensione possibile e senza condizionamento alcuno, lattendibilità della notizia
di reato, lesistenza della «ragion di Stato» e in genere ogni elemento idoneo a
porre adeguatamente il Parlamento in grado di valutare se concedere o negare lautorizzazione
a procedere; ed è appunto in funzione di questa essenziale esigenza che il collegio ha la
titolarità di poteri sia dellaccusa che del giudice, tanto che sarebbe perfino
improprio parlare di organo con poteri «prevalenti» delluno o dellaltro: il
collegio non è né luno né laltro, e lavere a esso affidato anche la
funzione di trattazione delludienza preliminare - conclude lAvvocatura dello
Stato - non viola i parametri costituzionali invocati: non larticolo 3, per la
specialità che contraddistingue lintera disciplina in questione in ragione della
diversità di posizione dei soggetti coinvolti; non larticolo 27, poiché la
presunzione di non colpevolezza resta intatta, indipendentemente dallorgano che sia
chiamato a decidere sul rinvio a giudizio; non larticolo 111, per la specificità
del giudice, previsto direttamente da una fonte di rango costituzionale.
Considerato in diritto
1. Il Collegio per i procedimenti relativi ai reati previsti
dallarticolo 96 della Costituzione istituito presso il tribunale di Napoli solleva
questione di legittimità costituzionale, in relazione agli articoli 3, 27, secondo comma,
e 111 della Costituzione, della legge 219/89 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e
di reati previsti dallarticolo 90 della Costituzione), il cui articolo 3 stabilisce
che, quando gli atti del procedimento a carico di ministri siano stati rimessi al collegio
a seguito della concessione dellautorizzazione a procedere (articolo 9, comma 4,
della legge costituzionale 1/1989), «il
procedimento continua secondo le norme ordinarie vigenti al momento della rimessione».
Il giudice rimettente ritiene che la norma dellarticolo 3 della legge 219/89 ora
indicata comporti che lulteriore corso del procedimento abbia luogo innanzi al
collegio, anziché davanti agli organi giudiziari ordinariamente competenti secondo il
Cpp, e che quindi il giudice delludienza preliminare sia il medesimo collegio che,
nella fase precedente, ha esercitato le funzioni di pubblico ministero. Ciò
determinerebbe per limputato un irragionevole affievolimento di quelle garanzie che
si compendiano nellespressione «giusto processo» (articolo 111, primo comma, della
Costituzione), comprendenti innanzitutto il contraddittorio tra le parti, in condizioni di
parità, davanti a giudice terzo e imparziale (articolo 111, secondo comma, della
Costituzione).
2. La legge costituzionale 1/1989 (Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della
Costituzione e della legge costituzionale 1/1953, e norme in materia di procedimenti per i
reati di cui allarticolo 96 della Costituzione), ha riformato il precedente sistema
di «giustizia penale costituzionale» facente capo alla giurisdizione della Corte
costituzionale prevista dagli originari articoli 96, 134 e 135 della Costituzione, nel
dichiarato intento di ricondurre allambito dellordinario diritto processuale
penale il processo a carico del Presidente del Consiglio dei ministri e dei Ministri per i
reati commessi nellesercizio delle loro funzioni.
Il nuovo articolo 96 della Costituzione (articolo 1 della legge costituzionale 1/1989)
dispone che «il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri, anche se cessati
dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nellesercizio delle loro
funzioni, alla giurisdizione ordinaria». Lassimilazione di quella che un tempo si
denominava la giustizia politica alla giustizia comune è peraltro avvenuta con due
particolarità. Lo stesso nuovo articolo 96 della Costituzione prevede la previa
autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme
stabilite con legge costituzionale e gli articoli 7 e 8 della legge costituzionale 1/1989
istituiscono, presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte dappello
competente per territorio, un collegio di tre magistrati per il compimento di indagini
preliminari al quale, nellipotesi che non si debba disporre larchiviazione
della notizia di reato, spetta richiedere la predetta autorizzazione parlamentare.
LAssemblea parlamentare competente svolge le sue valutazioni e prende le sue
determinazioni secondo le disposizioni dellarticolo 9, commi da 1 a 3, della legge
costituzionale 1/1989 e, ove conceda lautorizzazione, «rimette gli atti al collegio
di cui allarticolo 7 perché continui il procedimento secondo le norme vigenti» (comma 4 dello stesso articolo 9). A sua volta, limpugnato
articolo 3 della legge ordinaria di attuazione (219/89) stabilisce che «quando gli atti
siano stati rimessi ai sensi del comma 4 dellarticolo 9 della legge costituzionale
16 gennaio 1989, n. 1, al collegio ivi indicato, il procedimento continua secondo le norme
ordinarie vigenti al momento della rimessione».
Il giudice rimettente in questo giudizio di costituzionalità è per lappunto il
collegio il quale, essendo stati rimessigli gli atti dalla Assemblea parlamentare a
seguito della concessione dell'autorizzazione a procedere nei confronti di un ex ministro della Repubblica, si trova a celebrare
ludienza preliminare. Dalla constatazione della propria doppia funzione
quella già svolta, quale organo delle indagini preliminari che richiede lautorizzazione
a procedere dopo avere esclusa larchiviazione; quella da svolgere, quale giudice
delludienza preliminare cui, sulla base degli atti dindagine compiuti (ed
eventualmente delle integrazioni dindagine e probatorie ora consentite dagli
articoli 421bis e 422 Cpp, secondo ciò che è
disposto dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479), spetta decidere il non luogo a procedere
ovvero disporre il giudizio (articolo 424 Cpp) la censura di incostituzionalità
sottoposta allesame della Corte costituzionale.
3. Il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite lAvvocatura generale
dello Stato, eccepisce preliminarmente linammissibilità della questione, sulla base
di due considerazioni: la ritenuta genericità dellordinanza di rimessione, dalla
quale risulterebbe limpugnazione dellintera legge 219/89; il carattere
sostanzialmente legislativo dellintervento che si richiede alla Corte
costituzionale, la quale sarebbe indotta sul terreno delle scelte normative riservate al
legislatore. Leccezione, sotto entrambi i profili, non è fondata. Dal tenore della
pur sintetica ordinanza di rimessione e, in particolare, dallesposizione delle
circostanze che hanno dato luogo al dubbio di costituzionalità, si evince con chiarezza
che denunciata è la disciplina della fase processuale seguente la concessione dellautorizzazione
parlamentare, per quanto riguarda lorgano giudiziario competente a condurla, cioè
il già ricordato articolo 3, comma 1, della legge 219/89. Quanto al secondo profilo di
inammissibilità, la sua inconsistenza risulterà dal seguito della motivazione.
4. Nel merito, la questione non è fondata.
4.1. Il dubbio di costituzionalità prospettato riguarda la sovrapposizione nel
medesimo organo giudiziario (il collegio istituito dallarticolo 7 della legge
costituzionale 1/1989) della funzione di giudice delludienza preliminare con quella
di organo delle indagini preliminari, competente a disporre larchiviazione e, in
mancanza, a richiedere allAssemblea parlamentare lautorizzazione a procedere.
Tale sovrapposizione deriva da uninterpretazione delle norme vigenti in materia che
trova conforto nella giurisprudenza della Corte di cassazione (che ha altresì respinto
come manifestamente infondate le questioni di legittimità sollevate in proposito) e di
alcuni Collegi per i reati ministeriali. Ma, quel che più conta in questa sede, tale
interpretazione è stata accolta dalla Corte costituzionale nella sentenza 265/90.
In questa decisione si affermava che la predetta interpretazione si ricava «con
certezza» dalla lettera della disposizione della legge costituzionale, là dove essa
afferma che il collegio competente nella prima fase del procedimento lo continua secondo
le norme vigenti. A questa osservazione, si faceva seguire, a conferma, il rilievo che loriginaria
formulazione della legge costituzionale (la rimessione degli atti al Procuratore della
Repubblica «perché [avesse] corso il procedimento secondo le norme vigenti») era stata
dalla Camera dei deputati modificata in quella attuale mediante un apposito emendamento e
che il tentativo operato dal Senato di ripristinare il testo originario non aveva avuto
successo.
4.2. Lorientamento predetto non può essere confermato, prima che per le sue
ipotizzate conseguenze incostituzionali, perché così impone linterpretazione
sistematica dellordinamento, quale è venuto a configurarsi progressivamente nel
tempo, uninterpretazione alla quale non si oppone - come si vedrà né la
lettera della legge, né la cosiddetta volontà del legislatore.
Dallepoca in cui la responsabilità penale costituzionale dei ministri è stata
riformata e la prima sentenza della Corte costituzionale su di essa pronunciata, il quadro
normativo, relativamente alleventualità che funzioni decisorie possano essere
svolte da magistrati che abbiano promosso lazione penale o esercitato poteri dindagine,
è profondamente mutato; anzi, è stato capovolto. Al momento dellapprovazione della
riforma era ancora in vigore il precedente Cpp, il quale conosceva quella commistione di
funzioni, tanto nel caso del processo pretorile quanto nellistruzione formale
condotta dal giudice istruttore. Il processo penale rinnovato dal codice del 1988 si è
ispirato allopposto principio della separazione dei due tipi di funzioni,
separazione imposta al legislatore delegato dallarticolo 2, numero 67, della legge
81/1987 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per lemanazione del nuovo
Cpp), nonché dallarticolo 6 (Diritto ad un processo equo) della Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libertà fondamentali (secondo linterpretazione
della Corte europea dei diritti delluomo), richiamata dalla stessa legge-delega
nella prima proposizione dellarticolo 2. Da questa esigenza deriva la soppressione
da parte del nuovo codice tanto del precedente tipo di processo pretorile quanto della
figura del giudice istruttore, in conseguenza della scelta di modelli processuali di tipo
accusatorio. Con riferimento ai riti previsti dal nuovo codice, poi, larticolo 34
Cpp, al comma 3, tra i vari casi di incompatibilità allufficio di giudice, prevede
quello di chi ha esercitato nel medesimo procedimento funzioni di pubblico ministero.
Lanzidetto sviluppo della legislazione processuale penale circa il rapporto tra
funzioni di pubblico ministero e funzioni di giudice non è indipendente dal parallelo
rafforzamento del principio di «terzietà» del giudice sul piano costituzionale,
manifestatosi di pari passo negli orientamenti degli studiosi e tradottosi nella
giurisprudenza e nella legislazione costituzionali. Donde la difficoltà di separare con
nettezza il piano delle norme poste dal legislatore, nellesercizio del suo potere
discrezionale, da quello del principio costituzionale presupposto, che esso è tenuto a
svolgere.
Dopo una prima fase di acquiescenza di fronte alla confusione funzionale che, per vari
aspetti, segnava il codice processuale abrogato (sentenze 61/1967, 123/70, 101/73, in tema
di procedimento penale pretorile), la giurisprudenza della Corte costituzionale si è
decisamente orientata nel senso di ritenere la separazione funzionale coessenziale alla
struttura stessa del processo penale, secondo i principi di parità fra accusa e difesa e
di «terzietà» del giudice rispetto alluna e allaltra (sentenze 268/86 e
172/87, anchesse in tema di processo penale pretorile, nonché, in generale,
sentenze 330/97 e 292/92). Con la sentenza n. 131 del 1996, i medesimi principi assurgono
a elementi costitutivi del «giusto processo», espressione che compendia la disciplina
che la Costituzione detta circa i caratteri della giurisdizione e i diritti di azione e difesa in giudizio. Il
processo può dirsi giusto in quanto, tra laltro, sia assicurata lesigenza di
imparzialità del giudice: imparzialità che non è che un aspetto di quel carattere di
«terzietà» che connota nellessenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la
posizione del giudice, distinguendola da quella degli altri soggetti pubblici, e
condiziona leffettività del diritto di azione e difesa in giudizio. Il medesimo
ordine di esigenze costituzionali è alla base, poi, della giurisprudenza di questa Corte
in tema di incompatibilità al giudizio, ex
articolo 34 Cpp (a partire dalla sentenza 432/95), e di astensione e ricusazione (sentenza
283/00), per possibile pre-giudizio del giudice. Questi sviluppi hanno da ultimo trovato
la loro sanzione costituzionale formale nel nuovo testo dellarticolo 111 della
Costituzione, posto con larticolo 1 della legge costituzionale 2/1999: «La
giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge» (primo comma);
«Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità,
davanti a giudice terzo e imparziale» (secondo comma).
4.3. Di fronte al quadro ordinamentale così venutosi a configurare, il rapporto
tra il procedimento a carico dei ministri per i reati commessi nellesercizio delle
loro funzioni e il diritto processuale comune che si determinerebbe in base allinterpretazione
adottata a suo tempo dellarticolo 9, comma 4, della legge costituzionale 1/1989 e,
ora, fatta propria dal giudice rimettente, comporterebbe conseguenze assolutamente
singolari. Non lo erano al tempo dellapprovazione di tale legge, quando la
commistione delle funzioni di pubblico ministero e di giudice non era stata ancora
superata dal nuovo codice, il quale versava allora in regime di vacatio legis. Il principio della anzidetta
distinzione incontrerebbe invece, oggi, in base a quellinterpretazione, una rottura
evidente, in quanto lorgano che ha compiuto le indagini preliminari e ha richiesto lautorizzazione
parlamentare avendo escluso la possibilità di procedere allarchiviazione della
notizia di reato sarebbe investito della celebrazione delludienza preliminare:
dovrebbe cioè, sulla base delle risultanze delle indagini da esso stesso condotte,
adottare la sentenza di non luogo a procedere o il decreto che dispone il giudizio
(articolo 424 Cpp), nonché celebrare, quando ne ricorrano le condizioni, il giudizio
abbreviato a norma dellarticolo 438 Cpp, ovvero applicare la pena su richiesta a
norma dellarticolo 444 Cpp
Una simile conseguenza salva comunque la possibilità di una sua valutazione alla
luce dei principi supremi della Costituzione (sentenza 1146/88) dovrebbe accettarsi
solo se fosse disposta esplicitamente e inconfutabilmente da una norma di revisione della
Costituzione, il che non è.
4.4. In primo luogo, come indicazione generale, deve considerarsi che, per quanto
riguarda la responsabilità penale dei ministri, la legge costituzionale 1/1989 - con lesclusione
degli articoli 1 e 2 - non è legge di revisione della Costituzione ma contiene norme per
lattuazione dellarticolo 96 riformato. Ciò, già di per sé, induce a
ricercare linterpretazione che ne permetta il più facile e armonico inserimento nel
quadro costituzionale vigente, tanto più in presenza dellintento normativo,
esplicito nel nuovo articolo 96 della Costituzione (introdotto dallarticolo 1 della
legge costituzionale in questione), di valorizzare in materia il diritto processuale
comune.
La norma dellarticolo 9, comma 4, - «Lassemblea, ove conceda lautorizzazione,
rimette gli atti al collegio di cui allarticolo 7 perché continui il procedimento
secondo le norme vigenti» - deriva dallapprovazione da parte della Camera dei
deputati (Atti parlamentari Camera dei
deputati, X legislatura discussioni seduta del 12 maggio 1988) di un
emendamento sostitutivo della corrispondente norma approvata dal Senato della Repubblica:
«Lassemblea, ove conceda lautorizzazione, rimette gli atti al procuratore
della Repubblica perché abbia corso il procedimento secondo le norme vigenti». Linnovazione,
della cui ratio i promotori non dettero
spiegazione, consiste in questo: la rimessione degli atti al collegio, anziché al
procuratore della Repubblica; la «continuazione del procedimento» anziché «laver
corso del procedimento».
Nella seconda «lettura» del Senato, si levarono voci contrarie allinnovazione
apportata dalla Camera dei deputati (Atti
parlamentari - Senato della Repubblica X legislatura, 132^ seduta,
Assemblea, 1° luglio 1988), che riprendevano una critica, già emersa nellaltra
Camera, rivolta alla possibilità che alla stregua della lettera della norma
il collegio «continui il procedimento»,
secondo le norme vigenti. In tal modo, si disse, si veniva a contraddire il significato
generale della riforma, impostata su una deroga al diritto comune solo fino al e non oltre
il momento della concessione dellautorizzazione a procedere da parte della Camera
competente. Nello stesso ordine di idee si espresse il relatore il quale, peraltro,
ritenne che la criticata espressione introdotta dalla Camera dei deputati - «perché
continui il procedimento» - potesse e dovesse leggersi: «perché il procedimento
continui». In tal modo, sulla base della sola lettura testuale, si veniva a sostituire il
soggetto della proposizione («il procedimento» in luogo de «il collegio») e a
intendere in senso intransitivo il significato del verbo «continuare», consentendo lingresso
nel procedimento a carico dei ministri delle norme processuali penali comuni («secondo le
norme vigenti») già dal momento immediatamente successivo alla rimessione degli atti da
parte della Assemblea parlamentare. Lapertura di questa possibilità interpretativa
nel dibattito parlamentare al Senato fu fatta valere per superare le ragioni che avrebbero
militato per il ripristino del testo originario, approvato in prima lettura dal Senato
stesso, ciò che avrebbe peraltro comportato un rischio, con il ritorno allaltra
Camera, per lapprovazione come tale o, comunque, per lapprovazione tempestiva
della legge costituzionale.
Da ciò risulta dunque che la lettera della disposizione dellarticolo 9, comma 4,
della legge costituzionale non è risolutiva. E, quanto allintenzione del
legislatore costituzionale, al non espresso intento della Camera dei deputati che ha
introdotto lemendamento da cui tale disposizione è derivata, può contrapporsi lopposto
intendimento espresso, senza incontrare dissensi, da parte del Senato della Repubblica e
dal relatore della legge in particolare. Né può attribuirsi come fatto nella
sentenza n. 265 del 1990 di questa Corte peso eccessivo alla circostanza che il
Senato, nella seduta predetta, ebbe a respingere senza esplicite motivazioni un
emendamento volto a ripristinare loriginario articolo 9, comma 4: la spiegazione di
tale rigetto può ragionevolmente trovarsi in quella stessa esigenza di conclusività del
procedimento legislativo che aveva indotto ad approvare comunque il testo che proveniva
dalla Camera dei deputati.
4.5. Lobiettiva incertezza derivante dalla lettera della legge e dallintenzione
del legislatore induce allora a far prevalere le ragioni sistematiche che sopra si sono
dette e a ritenere conclusivamente che, una volta concessa lautorizzazione dallAssemblea
parlamentare, nella forma prevista dal comma 3 dello stesso articolo 9, gli atti siano
restituiti al collegio che a essa li aveva inviati, affinché il procedimento prosegua
secondo le forme ordinarie, vale a dire per impulso del pubblico ministero e davanti agli
ordinari organi giudicanti competenti. Ciò è per lappunto quanto risulta
pianamente dallimpugnato articolo 3 della legge 219/89, la cui compatibilità con linterpretazione
fino a ora data alla corrispondente norma della legge costituzionale non risulterebbe
invece evidente. Tale articolo 3, commi 1 e 2, infatti, stabilisce che «quando gli atti
siano stati rimessi ai sensi del comma 4 dellarticolo 9 della legge costituzionale
1/1989, al collegio ivi indicato, il procedimento continua secondo le norme ordinarie
vigenti al momento della rimessione» e aggiunge che, in tal caso, «il collegio provvede
senza ritardo a trasmettere gli atti al procuratore della Repubblica presso il tribunale
indicato nellarticolo 11 della legge costituzionale 1/1989».
5. Così ricostruito il sistema e, in esso, così precisata la portata della norma
impugnata, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Collegio per i
procedimenti relativi ai reati previsti dallarticolo 96 della Costituzione istituito
presso il tribunale di Napoli deve essere dichiarata non fondata per lerroneità del
presupposto interpretativo dal quale il giudice rimettente è partito.
Pqm
la corte costituzionale
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dellarticolo
3, comma 1, della legge 219/89 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati
previsti dallarticolo 90 della Costituzione), sollevata, in riferimento agli
articoli 3, 27, secondo comma, e 111 della Costituzione, dal Collegio per i procedimenti
relativi ai reati previsti dallarticolo 96 della Costituzione istituito presso il
tribunale di Napoli, con lordinanza indicata in epigrafe.
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