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Corte costituzionale – ordinanza 26 marzo-2 aprile 2003, n. 112
Presidente e relatore Chieppa


Ritenuto

Che con ricorso 23 gennaio 2003, depositato il 27 gennaio 2003, il Csm, in persona del Vice Presidente, a ciò delegato dal Presidente della Repubblica con decreto 1° agosto 2002, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Ministro della giustizia, senatore Roberto Castelli, chiedendo che la Corte – previa declaratoria di ammissibilità del conflitto – dichiari che non spetta al predetto Ministro il potere di rifiutare di dar corso alla deliberazione del Csm che conferisce l’ufficio direttivo di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo al Dott. Adriano Galizzi;
che nel ricorso viene ricostruita l’intera vicenda che ha dato luogo al conflitto;
che il ricorrente ritiene il ricorso ammissibile sia sotto il profilo soggettivo – avendo questa Corte costantemente ritenuto che il Csm possa essere parte tanto attiva quanto passiva di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (si richiamano le sentenze 419 e 435/95 e l’ordinanza 480/95) – sia sotto il profilo oggettivo, controvertendosi in ordine alla «delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali» (articolo 110 della Costituzione, per le competenze del Ministro della giustizia; articolo 105 della Costituzione, per le competenze del Csm);
che, in particolare, il ricorrente assume che il rifiuto del Ministro della giustizia di dar corso alla deliberazione del Csm che conferisce l’ufficio direttivo di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo al Dott. Adriano Galizzi sarebbe lesivo delle competenze che gli articoli 105, 106, 107 e 110 della Costituzione attribuiscono esclusivamente al consiglio medesimo, attenendo allo status dei magistrati a garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario;
che il potere di controfirma ministeriale del decreto del Presidente della Repubblica, sancito dall’articolo 17 della legge 195/58 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Csm), assolverebbe soltanto ad una funzione meramente integrativa dell’efficacia di un atto («che si forma interamente ed esclusivamente all’interno del Consiglio»), allo scopo di consentire che lo stesso assuma la forma tipica dell’atto amministrativo, rendendolo così assoggettabile agli ordinari controlli dei giudici contabili e amministrativi (si citano le sentenze 44/1968; 168/63; 4/1986).


Considerato


Che in questa sede di mera delibazione senza contraddittorio, possono ritenersi sussistenti, sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto quello oggettivo, i requisiti di cui all’articolo 37 della legge 87/1953, ai fini della configurabilità di un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato la cui risoluzione spetti alla competenza di questa Corte;
che, infatti, ciascuno degli organi fra i quali si assume essere insorto  il conflitto è abilitato ad esercitare, nella materia, attribuzioni proprie ad esso conferite dalla Costituzione (articoli 105, 110 e 95  ella Costituzione);
che, d’altro canto, si lamenta la lesione di una attribuzione costituzionalmente garantita al Csm (articolo 105 della Costituzione);
che, pertanto, deve essere dichiarata l’ammissibilità del ricorso ai sensi dell’articolo 37 della citata legge 87/1953, restando impregiudicata – secondo la giurisprudenza di questa Corte – ogni pronuncia definitiva, anche in ordine alla ammissibilità del ricorso.


Pqm
La Corte costituzionale


Dichiara ammissibile, ai sensi dell’articolo 37 della legge 87/1953, il ricorso per conflitto di attribuzione indicato in epigrafe proposto dal Csm nei confronti del Ministro della giustizia;
dispone:
a) che la cancelleria di questa Corte dia immediata  comunicazione della presente ordinanza al ricorrente;
b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente   ordinanza siano notificati al Ministro della giustizia, entro il termine di quarantacinque giorni dalla comunicazione di cui sub a), per essere successivamente depositati presso la cancelleria di questa Corte entro il termine (venti giorni dall’ultima notificazione) fissato dall’articolo 26, terzo comma, delle norme  integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.




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