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COMUNICATO STAMPA 

Nella seduta del 22 maggio 2003 l’Assemblea Plenaria del CSM, su richiesta  del Ministro della Giustizia, ha deliberato, a maggioranza,  un parere sugli emendamenti al d.d.l. recante “Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e disposizioni in materia di organico della Corte di Cassazione e di conferimento delle funzioni di legittimità”.

Il Consiglio, nell’analizzare gli emendamenti, ha dimostrato, con dovizia di argomenti, come talune proposte significative, come quelle attinenti al sistema dei concorsi, non possano rappresentare un sistema idoneo a garantire una maggiore efficienza della risposta di giustizia.

Il parere solleva delle importanti questioni di compatibilità della riforma con la Carta Costituzionale evidenziando, da una parte, l’eccessiva genericità della delega - in contrasto con l’art. 76 della Costituzione - e dall’altra, uno svuotamento di competenze del CSM in materia di status  del magistrato e, specificamente, in materia di trasferimenti e promozioni, in palese violazione dell’art. 105 della Costituzione che affida tali competenze all’organo di autogoverno della magistratura.

Il parere sottolinea che il principio da porre in linea preliminare come regola insuscettibile di qualsiasi deroga, espressa o surrettizia, è che il sistema di selezione deve essere incentrato sull’attribuzione esclusiva al CSM del potere di effettuare la valutazione e quindi di conferire le funzioni.

Viene altresì denunciato il sostanziale “svilimento” del  principio costituzionale, fissato all’art. 107 della Costituzione, secondo cui “I magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni”.

La previsione di  concorsi  interni  come strumenti di selezione dei magistrati ai fini della progressione in carriera ripropone, infatti, una organizzazione giudiziaria fortemente gerarchizzata e piramidale, capace di minare il principio della indipendenza interna della magistratura e fondata  sul presupposto, manifestamente errato ed in contrasto con il dettato costituzionale summenzionato, “che le funzioni di appello e di cassazione debbano essere affidate ai migliori, mentre le funzioni di primo grado debbano restare a magistrati che non hanno voluto o non sono stati in grado di progredire in carriera”.

Si palesa inoltre una sostanziale inattuazione dell’art.   51 Cost. così come da ultimo modificato,   secondo cui “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini” perché il sistema concorsuale per la progressione in carriera è produttivo di effetti differenziati tra donne e uomini già vietati dalla legge 125 del 1991.

Il parere evidenzia l’inidoneità del sistema concorsuale in ragione della peculiarità delle funzioni giudiziarie,  richiamando a conferma i numerosi dibattiti parlamentari che, sin dagli anni ’60, ne avevano evidenziato l’ingiustizia - poiché favorisce i magistrati meno gravati dal lavoro giudiziario e quindi con maggior tempo da dedicare allo studio - l’inadeguatezza - perché permette di accertare la  cultura tecnica del magistrato, ma non anche tutte le altre doti attitudinali, di laboriosità, di equilibrio, di imparzialità, di relazione - la capacità di incidere sulla serenità di giudizio del magistrato distogliendolo dal lavoro giudiziario, creando disservizi negli uffici e giustificando criteri di redazione dei provvedimenti giudiziari che, a discapito dell’efficienza del servizio e del trend legislativo volto ad ottenere atti  sinteticamente motivati, favoriscano la precostituzione di titoli valutabili in occasione della selezione concorsuale.

Il parere si sofferma, altresì, sui riflessi negativi che il meccanismo che si intende introdurre per il mutamento di funzioni dalle requirenti a quelle giudicanti e viceversa – e cioè selezione concorsuale e  mutamento del distretto -  potrà  avere  in termini di sicuro   irrigidimento dei ruoli, marcata separatezza tra le funzioni (che sembra sottendere una vera e propria separazione delle carriere) con conseguente incrinatura del principio dell’unità della giurisdizione e di una comune cultura della giurisdizione nel giudice e nel p.m., in attuazione dei principi dell’art.111 Cost.. 

Il parere condivide invece l’opportunità di eliminare le qualifiche astratte e  rimarcare l’indipendenza tra le funzioni esercitate in concreto ed il livello retributivo riconosciuto al magistrato quale applicazione necessaria del principio di pari dignità delle funzioni.

E’ indubbio che il sistema attuale di valutazione della professionalità si palesa come insoddisfacente.

L’inadeguatezza ha ragioni strutturali.

La situazione non può mutare senza un rinnovamento del sistema in relazione a tempi e contenuti delle valutazioni di professionalità, strumenti per procedervi, organi da coinvolgere.

Sono necessarie valutazioni periodiche non troppo distanziate nel tempo, alle quali legare le progressioni economiche.

Le valutazioni negative di professionalità devono avere ricadute economiche, come proposto dall’ANM.

Non è chi non veda come la crescita della professionalità che il legislatore dichiara di voler assumere come obiettivo primario della riforma resti concretamente contraddetto da un impianto normativo che non favorisce la crescita complessiva di tutta la magistratura perché da una parte si prevedono molti concorsi destinati solo a coloro che vorranno concorrere, e quindi ad una minoranza di magistrati, e dall’altra si lascia la massa dei magistrati soggetta solo a poche valutazioni di professionalità, distanti nel tempo, così riproducendo l’attuale sistema da tutti ritenuto insufficiente.

Con il che si vuole sottolineare che la via da seguire è quella non di stravolgere, ma di completare il processo riformatore attuato dalle leggi degli ultimi decenni in conformità al disegno costituzionale che, nonostante i suoi punti critici, ha comunque aiutato e favorito una crescita complessiva, culturale e professionale, della magistratura.

Valutazioni positive sono pure espresse con riguardo alla introduzione della temporaneità nell’esercizio delle funzioni direttive,   posto che la  stabilità indefinita dell’incarico direttivo è considerata suscettibile di creare  centri di potere   radicati e visibili sul territorio, con seri rischi per l'indipendenza interna dei magistrati e per l'immagine di imparzialità del magistrato. Si  rappresenta tuttavia che tali esigenze  devono essere  opportunamente bilanciate con l’esigenza della  continuità nella dirigenza.

Si condivide infine  la  promozione di una fattiva collaborazione tra il capo dell’ufficio e il dirigente amministrativo nei limiti delle rispettive competenze,  pur segnalandosi la necessità di una normazione maggiormente puntuale e precisa quanto agli ambiti di  responsabilità di ciascuno.

Si esprime parere negativo sull’attribuzione al Ministro di un potere sostitutivo dei poteri del dirigente dell’ufficio, che invece dovrebbe essere attribuito al capo dell’ufficio superiore.

Con riguardo alla disciplina dell’accesso in magistratura il parere affronta alcuni nodi critici concernenti la partecipazione al concorso di talune categorie professionali  in possesso di titoli non sempre pertinenti con le funzioni giudiziarie che ambiscono  svolgere ( es. dottorato in materie genericamente giuridiche) e concernenti la ripartizione iniziale tra funzioni requirenti e giudicanti, sulla base del superamento di prove meramente teoriche e non già, come accade attualmente, all’esito di un periodo di tirocinio pratico e di una valutazione finale di idoneità all’esercizio di specifiche funzioni.

Si condivide invece il riconoscimento del valore del titolo di specializzazione conseguito presso le Scuole  per l’accesso alle professioni legali quale criterio legittimante  per l’ammissione al concorso in magistratura anche se si denuncia  che il  nuovo sistema delineato , prevedendo  un corso di formazione presso la Scuola di nuova istituzione crea un duplicato lesivo dei principi di buon andamento dell’Amministrazione, e assai meno fruibile da parte degli interessati poiché con un’unica sede  centrale e tre sole sedi interregionali a fronte della capillare presenza delle Scuole per l’accesso alle professioni legali.

Il CSM  nel riconfermare il suo assoluto favore per l’istituzione di una Scuola della Magistratura, mette a disposizione per la sua realizzazione l’esperienza maturata nel corso degli anni in materia di formazione, pur evidenziando come  la formazione iniziale e permanente sia materia riservata dalla Costituzione al Consiglio Superiore della Magistratura.

Ulteriori rilievi critici sono formulati nel parere con riguardo alla verticizzazione   dell’ufficio di procura. Il parere, pur  auspicando  un ruolo di maggiore incisività dei capi degli uffici nelle relative funzioni di organizzazione e direzione, come in più occasioni sottolineato anche dal Capo dello Stato, nonché nelle funzioni di vigilanza, anche con riferimento alle esternazioni alla stampa reputa eccessive le soluzioni offerte dal disegno di legge all’esame ( attribuzione al procuratore della Repubblica  della  titolarità  esclusiva dell’azione penale che esercita “sotto la sua personale responsabilità nei modi e nei termini stabiliti dalla legge, assicurando il corretto ed uniforme esercizio della stessa e delle norme sul giusto processo”, soppressione della  figura del  Procuratore aggiunto  ,   sostituzione della  “designazione” del sostituto da parte del procuratore capo, con la semplice “delega”, così intendendosi che all’attribuzione delle funzioni connesse al concetto di designazione, si sostituisce un mero esercizio delle funzioni da parte del delegato, funzioni che rimangono comunque attribuite al delegante, necessario assenso del Procuratore per tutti  gli atti dell’ufficio, che incidano o richiedano di incidere su diritti reali o sulla libertà personale, accentramento dei rapporti con la stampa in capo al Procuratore ovvero ad un suo delegato) 

            Con riguardo ai profili disciplinari  il parere richiama l’attenzione del legislatore sulla necessità di un adeguamento della disciplina processuale ancora normata dal codice  di procedura penale del 1930. In relazione alle questioni di incompatibilità ambientale si esprimono perplessità sull’abrogazione del trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale in sede amministrativa, ritenendosi in proprio il trasferimento della materia alla sede disciplinare perché verrebbe a configurare una responsabilità disciplinare oggettiva.

 

Roma, 22 maggio 2003

 

 

 

                                                                                                          Visto: si dirami

                                                                                              IL SEGRETARIO GENERALE