Consiglio
Superiore della Magistratura Prima commissione
Proposta di maggioranza
1.
Come ha più volte ricordato il Presidente della Repubblica, da ultimo nella seduta del
1° agosto 2002, «la stabilità delle istituzioni si fonda sulla divisione dei poteri e
sul rispetto pieno e reciproco delle funzioni di ciascuno». Nellambito del sistema
di «pesi e contrappesi» che caratterizza la moderna democrazia pluralista, le
istituzioni di garanzia, e tra queste la magistratura, traggono dalla Costituzione
autonoma legittimazione. La stessa Costituzione assegna anche al Consiglio superiore il
compito primario di tutelare lindipendenza e lautonomia della magistratura e
in particolar modo di ciascun magistrato nellesercizio concreto delle sue funzioni,
contro attacchi e condizionamenti indebiti, da qualunque parte essi provengano ed in
qualunque modo essi vengano attuati.
Quando singoli magistrati o pronunce di organi giudiziari vengano fatte oggetto non di
critiche, sempre legittime, ma di denigrazioni diffamatorie con generiche e immotivate
accuse di parzialità, il Consiglio deve intervenire a tutela della credibilità della
funzione giudiziaria, perché la fiducia dei cittadini nella giurisdizione è una garanzia
assoluta ed indispensabile della vita democratica.
2. Di recente, da parte di esponenti politici investiti delle più alte responsabilità,
sono stati ripetutamente rivolti attacchi a magistrati del Pm e a collegi giudicanti:
- in relazione a una sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Milano nei
confronti di un uomo politico si è dichiarato, tra laltro, che «il suo obiettivo
non è fare giustizia, ma quello di colpire le forze che hanno avuto il mandato di
governare lItalia» e che detta sentenza sarebbe «frutto di prevenzione,
parzialità ideologico-politica»;
- in occasione della pronuncia della sentenza della Corte dappello di Palermo nei
confronti del senatore Giulio Andreotti, è stato affermato, tra laltro, che tale
sentenza aveva fatto saltare un «teorema giustizialista», formulato da magistrati che
avevano dimostrato in varie forme la loro accesa politicizzazione per «condizionare e
deformare il volto della nostra democrazia»;
- la stampa ha riportato dichiarazioni, che sarebbero state rese allestero, secondo
le quali il processo che si sta celebrando a Milano in relazione ad accuse di corruzione
in atti giudiziari per la vicenda processuale relativa alla dismissione della Sme, sarebbe
«un processo finto e nullo», condotto da «un manipolo di giudici che vuole eliminare
una parte politica» istruendo un dibattimento basato «su prove false e occultate»;
- in una trasmissione televisiva e in relazione alla richiesta di archiviazione di un
filone di un procedimento pendente davanti alla Procura della Repubblica di Torino si è
affermato che la richiesta sarebbe stata formulata da «magistrati combattenti collaterali
alla sinistra» vicini a due esponenti dellopposizione.
3. La sentenza del Tribunale di Milano, le cui motivazioni non sono ancora state
depositate, è stata emessa da tre giudici. Il procedimento si è protratto per quasi 36
mesi, nel corso dei quali sono state tenute 116 udienze, sono stati ascoltati 183
testimoni e compiute numerose altre attività istruttorie, con la continua ed efficace
presenza dei difensori degli imputati; i magistrati che hanno composto lorgano
giudicante si sono sempre astenuti da ogni valutazione o comportamento, al di fuori della
sede processuale, che potesse mettere in dubbio la loro autonomia di giudizio; essi, in
particolare, hanno sempre avuto riconosciute indiscusse capacità professionali sia dal
punto di vista tecnico che da quello dellequilibrio e dellautorevolezza.
Lassunto, poi, di una magistratura
requirente e giudicante che persegue finalità diverse da quelle sue proprie e per di più
volte a sovvertire lassetto istituzionale democraticamente voluto dai cittadini,
oltre ad essere privo di fondamento, costituisce la più grave delle accuse ed integra,
anche per il livello istituzionale da cui tali affermazioni provengono, una obiettiva e
forte delegittimazione della funzione giudiziaria nel suo complesso e dei singoli
magistrati.
Linterpretazione di dichiarazioni di magistrati, volte sobriamente a chiarire laspetto
tecnico della decisione, come manifestazione invece di una persistente volontà
persecutoria, costituisce anch essa elemento di discredito della funzione e dei
singoli magistrati.
In conclusione, lassunto che i magistrati, a diverso titolo impegnati, come
componenti di collegi o come pubblici ministeri, nei processi di cui sopra abbiano
perseguito finalità diverse da quelle di giustizia è assolutamente infondato.
3. I singoli magistrati, gravemente offesi in modo così reiterato, hanno dato unennesima
prova di senso di responsabilità, non reagendo individualmente, o intervenendo in modo
assolutamente equilibrato. Il Consiglio, per parte sua, ha il dovere costituzionale di
ristabilire autorevolmente e pubblicamente la loro immagine. Ora, come è stato altra
volta affermato, «è del tutto fisiologico che nelle difesa della propria indipendenza e
della propria autonomia la magistratura, quale istituzione di garanzia, possa venire a
trovarsi in momenti di rapporto dialettico o addirittura conflittuale con altri poteri»,
ma tale rapporto deve rimanere nella misura di civiltà e rispetto reciproco, non essendo
ammissibile una delegittimazione di unistituzione nei confronti dellaltra,
pena la caduta di credibilità dellintero assetto costituzionale.
Il Consiglio esprime quindi la propria allarmata preoccupazione per un clima di rapporti
istituzionali che travalica quello della fisiologia dialettica e rivolge un pressante
appello a tutte le istituzioni perché sia ristabilito il rispetto dei singoli magistrati
e dellintera magistratura e, quindi, la fiducia dei cittadini, che è condizione
imprescindibile di unordinata vita democratica.
b) Proposta di minoranza
«Il Comitato di Presidenza di questo Consiglio in data 7 maggio 2003 autorizzava, su
richiesta dei componenti consiglieri Arbasino, Civinini, De Nunzio, Fici, Lo Voi, Mammone,
Marini, Meliadò, Menditto, Primicerio, Riello, Salmè, Salvi, Stabile e Tenaglia, lapertura
di una pratica a tutela del collegio giudicante di Milano che ha definito, con sentenza,
il procedimento relativo al caso IMI-SIR/Lodo Mondatori. A sostegno della richiesta di
tutela i firmatari dellistanza di apertura allegavano articoli tratti dai principali
quotidiani nazionali del 30 aprile 2003 (ed in particolare il Corriere della Sera, la
Repubblica, la Stampa, il Giornale, Il Messaggero), articoli nei quali il Presidente del
Consiglio On. Silvio Berlusconi esprimeva la sua solidarietà allOn. Previti,
condannato dal Collegio ad undici anni di reclusione, ed adombrava lipotesi che vi
fosse stato un qualche accanimento nei suoi confronti, effetto di una certa
politicizzazione di una parte della magistratura. Ciò posto, il Premier riferiva che
quello della politicizzazione era un problema che doveva essere legislativamente risolto.
Negli stessi articoli vi erano interventi il cui contenuto andava nella medesima
direzione, quali quelli di altri esponenti del Polo della Libertà.
Considerata la vicenda
nella sua globalità, nelle espressioni usate negli articoli indicati e valutato il loro
contenuto, non è stata travalicata la soglia necessaria e sufficiente per ritenere
integrata una vera e propria lesione all indipendenza ed all autonomia della
Magistratura, che peraltro devono trovare il loro primo alimento soprattutto nella
credibilità dellagire quotidiano.
A tal fine, giova preliminarmente individuare in premessa le corrette coordinate delle
categorie in gioco e del loro intrinseco e naturale significato, a cominciare dai principi
di indipendenza ed autonomia i quali vanno interpretati nella loro più autentica ed
asciutta accezione, rispettivamente, di interesse collettivo a che il Csm regolamenti
autonomamente la vita interna della Magistratura e di interesse pubblico a che questultima
sia messa nelle condizioni, quanto più possibile concrete, di operare senza
condizionamenti di sorta, sia politici sia di lobbìes socio-economiche.
È, inoltre, ulteriormente da premettere che non potrebbe ragionevolmente opinarsi, nel
contempo, che persone non direttamente destinatarie di una decisione giudiziaria di sicuro
pubblico interesse, sia per la natura delle vicende sia per la grande notorietà dei
personaggi coinvolti, a maggior ragione perché trattasi di persone che non potrebbero in
alcun modo far valere i loro diritti attraverso i motivi di gravame messi a disposizione
dallordinamento processuale, possano liberamente criticare una decisione giudiziaria
avvalendosi delluso dei media, sempre che detto diritto di critica sia esercitato,
come è ben noto, nel triplice limite della continenza delle espressioni utilizzate,
attenendosi alle verità dei fatti evidenziati ed avuto riguardo all interesse
collettivo all apprendimento dell opinione prospettata.
Giova a tale proposito rilevare che in una società politicamente molto articolata ed a
potere, pure dinformazione, diffuso il fondamento della democrazia e il suo sviluppo
non possono non risiedere - anche con
riferimento alla giurisdizione, che è esercitata nel nome del popolo nella
dialettica, nel confronto delle opinioni e nella critica anche aspra. Si considerino,
inoltre, i limiti alla non discriminazione non solo di fronte alla legge, ma anche di
fronte alla sua applicazione, evidenziati dal primo comma dellarticolo 3 della
Costituzione.
Ciò posto, considerata la vicenda di specie alla luce dei prospettati parametri e con lausilio
delle suggerite chiavi di lettura, è di tutta emerge:
in primo luogo, che gli interessi in
questione, di cui i predetti consiglieri chiedono tutela, quali appunto lautonomia e
lindipendenza della Magistratura, non siano stati concretamente lesi né tanto meno
- anche volendo anticipare al massimo la soglia della loro tutela, trattandosi di
interessi di espressa rilevanza costituzionale messi in pericolo;
in secondo luogo, che non possa essere messa in discussione, avuto riguardo alla qualità
di terzi dei personaggi intervistati, la loro legittimazione a rendere le dichiarazioni
rese, non essendo appunto, i medesimi, diretti destinatari delle decisione del Tribunale
di Milano;
in terzo luogo, che le espressioni usate sono
rispettose del triplice limite sopra ricordato, anche e soprattutto avuto riguardo, in
concreto, alla ben nota scansione temporale dellandamento del processo di primo
grado, alle istanze di ricusazione più volte avanzate ai ricorsi incidentali depositati
dagli imputati alla richiesta di rimessione (di cui andrebbero valutati con attenzione
vari passaggi della motivazione).
Ciò considerato, e
prescindendo in questa circostanza da ogni considerazione più specifica su eventuali
patologie procedimentali e processuali della vicenda in esame si ritengono sussistenti le
condizioni per il non luogo a provvedere sulla declaratoria di tutela richiesta dai
consiglieri in premessa indicati».
«Il Comitato di Presidenza di questo Consiglio in data 8 maggio 2003 autorizzava, su
richiesta dei componenti consiglieri Aghina, Arbasino, Civinini, De Nunzio, Fici, Lo Voi,
Mammone, Marini, Meliadò, Menditto, Primicerio, Riello, Salmè, Salvi, Stabile e
Tenaglia, lapertura di una pratica a tutela dei magistrati che a Palermo avevano
trattato il processo nei confronti del Sen. Giulio Andreotti, definito nelle fasi di
merito con sentenza emessa dalla Prima Sezione Penale della Corte dAppello il 2
maggio 2003, sentenza che, in parziale riforma di quella pronunciata il 23 ottobre 1999
dal Tribunale Penale di Palermo, dichiarava non doversi procedere per intervenuta
prescrizione in ordine al reato di associazione a delinquere e confermava per la restante
parte la decisione di primo grado.
A sostegno della loro richiesta di tutela i firmatari dellistanza di apertura
allegavano articoli tratti dai principali quotidiani nazionali dei giorni 3, 4, 5, 6 e 7
maggio 2003, (ed in particolare il Corriere della Sera, la Repubblica, la Stampa, il
Giornale, Il Messaggero), articoli in alcuni dei quali il Presidente del Consiglio On.
Silvio Berlusconi ed altri alti Rappresentanti delle Istituzioni manifestavano
soddisfazione asserendo che era caduto il teorema giustizialista che aveva
condizionato landamento dellassetto democratico dei primi anni novanta.
Anche a voler prescindere da chi si intende effettivamente tutelare, a parere del
Consiglio, considerata la vicenda nella sua globalità, nelle espressioni usate negli
articoli indicati e valutato il loro contenuto, non è stata affatto raggiunta la soglia
sufficiente e necessaria per ritenere integrata una vera e propria lesione allindipendenza
ed allautonomia della Magistratura.
Senza dubbio, se i principi di indipendenza ed autonomia vanno interpretati come interesse
collettivo a che il Csm regolamenti autonomamente la vita interna della Magistratura e a
che questultima sia messa nelle condizioni di operare senza condizionamenti di
sorta, sia politici che di lobbies socio-economiche, non si vede quale possa essere stata,
nel caso considerato, la lesione patita da detti principi.
Le dichiarazioni sintetizzate in premessa, infatti, - per cui valgono le regole generali
di comune accettazione secondo le quali persone non direttamente destinatarie di una
decisione giudiziaria di sicuro pubblico interesse, sia per la natura delle vicende sia
per la grande notorietà dei personaggi coinvolti, a maggior ragione perché trattasi di
persone che non potrebbero in alcun modo far valere
i loro diritti attraverso i motivi di gravame messi a disposizione dallordinamento
processuale, hanno il pieno diritto di riflettere criticamente su una decisione
giudiziaria avvalendosi delluso dei media, purché naturalmente detto diritto di
critica sia esercitato nel rispetto del triplice limite della continenza delle espressioni
utilizzate, attenendosi alle verità dei fatti evidenziati ed avuto riguardo allinteresse
collettivo allapprendimento dellopinione prospettata -, né travalicano i
limiti da ultimo accennati, né tantomeno sono state, sia pure solo
astrattamente, idonee a porre in serio pericolo le categorie già richiamate dellautonomia
e dellindipendenza.
Appare, invero, di facilissima ed evidente lettura, quella, cioè, con ogni probabilità
operata dallopinione pubblica, intesa come coacervo di più lettori di media
attenzione, lettori che costituiscono adeguato parametro ai fini della valutazione della
ipotizzata lesione del prestigio magistratuale asseritamene compromesso, che le critiche
alla impostazione giustizialista, mosse in sostanza a chi a vario livello ha
ipotizzato ed aveva avviato il processo Andreotti pretendendo il vaglio dibattimentale
della tesi accusatoria, vanno interpretate con maggiore serenità ed obbiettività. Con
ciò a significare che sarebbe opportuno valutare le ricordate dichiarazioni come
osservazioni, non disgiunte da sottesi aspetti tecnici, che pur enfatizzate, sono dirette
ad evidenziare le lacune di qualsiasi tesi accusatoria che, lungi dallessere
concretamente verificata, pretenda di adagiarsi su principi di esperienza non dedotti da
constatazioni empiriche e, dunque, a loro volta indimostrati.
Non pare, inoltre, che possa essere messo in dubbio, a maggior ragione dopo una doppia
pronuncia assolutoria tale è anche la sentenza di cui allarticolo 530 cpv
Cpp - seguita ad un dibattimento non solo pubblico ma, soprattutto, pubblicizzato, che dei
cittadini, tanto più se di alta rapprentatività politica, muovano critiche sul modo in
cui sono state avviate e condotte delle indagini, anche e soprattutto alla luce dellesito
delle stesse.
Tutto ciò considerato si ritengono sussistenti le condizioni per il non luogo a
provvedere sulla declaratoria di tutela richiesta dai consiglieri in premessa indicati.
Per le riferite ragioni, la Commissione
Delibera
il non luogo a provvedere sulle due declaratorie di tutela
richieste.
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